«Non ci avevo pensato più di tanto ma, ascoltando alcuni giorni fa l'omelia di un mio confratello, ho prestato attenzione a un particolare prezioso della predicazione del Vangelo che può aiutare coloro che sono chiamati a rapportarsi con i giovani in famiglia, nella scuola, nell'oratorio...». Parte di qui la riflessione di don Vittorio Chiari.
del 01 gennaio 2002
Il profeta di Nazaret, Gesù, grande narratore e poeta, utilizzava il metodo, molto ebraico, delle domande nel rivolgersi alle persone. C’è chi le ha contate, con gusto matematico, statistico: in San Marco se ne trovano 61, in Matteo 40, 25 in Luca e 48 in Giovanni. Esse rivelano il metodo del dialogo che non si impone ma interpella le persone, le fa ragionare, le ascolta, le coinvolge. Per Gesù la domanda è “quasi come una mano che esce dal testo”, afferra l’altro e lo rende protagonista.
Non erano domande da inquisitore, da scrutatore, da prepotente, ricattatorie. Da Pietro era una richiesta di amore, di fede: “Mi ami?”, con gli altri discepoli, quasi una supplica dopo il discorso di Cafarnao, dove avendo parlato dell’Eucaristia molti si erano allontanati da Lui, scandalizzati: “Volete andarvene anche voi?”. Dove andare, se solo il Cristo aveva parole di vita eterna? «Che volete che faccia per voi?», chiederà a Giovanni e Giacomo, obbligandoli a esprimersi sui loro desideri che non erano quelli del Cristo ma loro, piccole ambizioni di piccoli uomini chiamati a seguire un grande profeta, il Figlio di Dio.
Domande e non imposizioni, tentativi di capire l’altro, andando incontro, muovendosi per primi. La domanda può essere anche una proposta chiara, un invito a seguire: se vuoi, vieni e seguimi. Per fare domande, bisogna averle dentro, essere umili nel riconoscere i nostri limiti e quelli degli altri, superare le sicurezze narcisiste, dove solo noi abbiamo la verità e la imponiamo.
Di fronte ai nostri ragazzi, domandare tenendo presente l’età, domandare senza la pretesa che subito rispondano, domandare e lasciare il tempo per la risposta, domandare su temi importanti che li interessano, domandare con fiducia, domandare con coraggio, domandare invitando a lasciare la propria vita per seguire Cristo in un percorso di fede. Don Bosco domandava anche ai ragazzini che incontrava per strada: «Vuoi fare a metà con me?», disse un giorno al piccolo Michele, che sarebbe diventato il suo Successore!
In tempi di sondaggi, di interviste, in cui le domande si moltiplicano a migliaia, disperdendo interessi e risposte, occorre selezionarle e indirizzarle sui temi fondamentali della vita e della morte, del dolore e della gioia, della disperazione e della speranza. Oltre all’arte del sorriso, come educatori dobbiamo apprendere anche l’arte della domanda, del “discernimento”.
In educazione non si è mai finito di imparare e sperimentare! A chi sa domandare, non mancano le sorprese, lo stupore di risposte quasi “incredibili” come quella di un operaio milanese, che alla domanda di tre intervistatori in erba, ragazzini di terza media: «Cosa ha fatto lei di buono nella vita?», ha risposto. «Niente! Solo una volta con mia moglie abbiamo preso in casa tre ragazzini, oltre ai nostri quattro. La mamma era stata ricoverata in ospedale… Nessuno si prendeva cura di loro. Ci abbiamo pensato noi!».
don Vittorio Chiari
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