Ritroviamo il vero significato della festa cristiana. I sentimenti dell'infanzia? Un pasto dignitoso ai poveri? Qualche residuo di bontà? No. E' la memoria della venuta carnale del Signore sulla terra, inizio di un mondo nuovo.
del 31 dicembre 2008
Una parentesi passeggera. Il Natale 2008, come del resto il Natale 2007, sarà per tanti cristiani e non cristiani, quindi per l’intera società, il ritorno di una consuetudine largamente prevista e addirittura tollerata nella struttura impietosa e disumana di questa società. Una parentesi, nella quale cristiani e no si prodigano a ritrovare i sentimenti della loro infanzia, i sentimenti e le aspirazioni dimenticati da anni, qualche residuo di bontà che fa aprire almeno il giorno di Natale le case e le istituzioni ai poveri, come se il problema fosse un pasto dignitoso a Natale. Insomma, il Natale come una caramella: la si assapora, la si succhia, si scioglie e qualche istante dopo non rimane più niente. Non dico che non ci siano cose buone o momenti significativi o testimonianze di benevolenza contro l’orrore dei rapporti quotidiani, retti solo da logiche di potere e di sopraffazione. Ma il Natale cristiano non è questo.
 
Il cuore «lontano da Dio». Il Natale è la venuta di Dio nella carne. E Dio non è venuto «nella nostra carne mortale», come dice Sant’Agostino, per costruire una precaria parentesi buonista in una società rigida e ferrigna, ma per costruire in sé l’uomo nuovo e il mondo nuovo. Perché accettiamo che il Natale diventi questa piccola e meschina caricatura? Perché il nostro cuore è malato o meglio perché, come dicevano i profeti, «il nostro cuore è lontano da Dio». Il popolo cristiano è quasi «costretto» a partecipare, impotente, a un fenomeno terribile che dura da secoli e che si sta compiendo sotto i nostri occhi. Benedetto XVI ha avuto il coraggio di chiamarlo con il suo nome e cognome: l’APOSTASIA DA GESÙ CRISTO.
 
La fede non diventa cultura. Il peccato mortale della cristianità di oggi è la mancanza di fede, non come intenzione morale o sentimentale, ma come mentalità. Dove la fede raggiunge la sua pienezza e la sua maturità: quando diviene cultura. Quanti cristiani di oggi, ecclesiastici e laici, vecchi e giovani, proclamano con orgoglio ed entusiasmo quel numero 423 del Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui è stato genialmente sintetizzato il contenuto reale ed esauriente della fede? «Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazareth, nato ebreo da una figlia d’Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell’imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l’imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è «venuto da Dio» (Gv 13,3), «disceso dal cielo» (Gv 3,13; 6,33), venuto nella carne; infatti «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. [...] Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,14.16)».
 
L'incarnazione nell'uomo. Gesù Cristo non è uno dei contenuti fondamentali della fede, che trova la sua collocazione in rapporto ad altre certezze o valori che gli sono equivalenti: Gesù Cristo è il contenuto fondamentale e totalizzante della fede. Credere vuol dire credere in Gesù Cristo Figlio di Dio. I Padri dei primi concili, quelli del IV e del V secolo, hanno formulato in modo diverso una grande verità nella quale si riconosceva tutto il popolo cristiano: chiunque nega che uno di noi (cioè l’uomo Gesù Cristo) è Uno della Trinità, sia scomunicato. Il Cristianesimo è dunque l’incarnazione di Dio nell’uomo Gesù Cristo; non Dio che si collega ad un uomo ma che diventa un uomo, in un’unica persona in cui vivono in piena comunione la totalità della divinità e la totalità dell’umanità. Ma poiché un uomo diventa uomo perché nasce dal ventre di una donna, il Natale ci ricorda con puntualità e precisione anagrafica e carnale che il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è nato a Betlemme, dalla Vergine Maria. E quella nascita, piccola e casuale come tutte le nascite umane, segnata da precisi condizionamenti, come il rifiuto a poter nascere in una casa di uomini, è già l’inizio dell’unico grande sconvolgimento della storia e del cosmo: la venuta di Dio sulla terra.
 
«Innanzi a Dio prostrata». Nel Bambino Gesù, verso cui va da duemila anni l’affezione profonda e totale di tante generazioni cristiane, è già contenuta l’identità del Redentore: così che ogni gesto, anche faticoso, dell’inizio della vita di un uomo si carica della pienezza e della definitività del mondo nuovo di Dio, che nasce nel mondo vecchio e miserevole degli uomini. La Madre del Signore comprese tutto questo: dopo averlo generato dolorosamente dalla profondità del suo cuore e della sua carne e dopo averlo deposto nella mangiatoia e avvolto in poveri panni si prostrò ad adorare quel Dio cui aveva dato carne mortale. «La mira Madre in poveri / panni il Figliol compose, / e nell’umil presepio / soavemente il pose; / e l’adorò: beata! / innanzi al Dio prostrata, / che il puro sen le aprì» (Manzoni, Il Natale).
mons. Luigi Negri
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