Riflessione sul messaggio per la GMG 2013 di Rio de Janeiro. Si fraintende la «prudenza» cristiana con la «moderazione» umana, come se la cultura cattolica sia solo una versione minore di quella non cattolica: fa il rock, ma a volume più basso; fa cinema, ma con più garbo; dice quello che dicono tutti, ma un po' dopo; naviga in rete, ma senza andare troppo al largo...
Il 18 ottobre Benedetto XVI ha firmato il suo messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2013 di Rio de Janeiro. In questo ampio e ricco messaggio ci sono anche alcune parole che fanno riferimento al «progresso tecnico» che sono state interpretate in vario modo, a mio avviso anche errato. Ecco il passaggio al quale mi riferisco:
«Stiamo attraversando un periodo storico molto particolare: il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone».
Queste parole sono state interpretate come un invito alla «prudenza», come a dire: «sì, ma fino a un certo punto». E’ davvero così? Sono un semplice invito all’essere in Rete purché ciò avvenga con moderazione?
Il problema di fondo, a mio avviso, nella lettura di queste righe è più ampio e riguarda una certa ermeneutica del cattolicesimo che definirei una sorta di ermeneutica della moderazione ad oltranza.
Si fraintende la «prudenza» cristiana con la «moderazione» umana, come se la cultura cattolica sia solo una versione minore di quella non cattolica: fa il rock, ma a volume più basso; fa cinema, ma con più garbo; dice quello che dicono tutti, ma un po’ dopo; naviga in rete, ma senza andare troppo al largo…
Non è così che deve essere letto questo messaggio infiammato di Benedetto XVI. E non è questa la prudenza cristiana! Quest’ultima è la virtù che dispone all’azione, scegliendo le strade e cogliendo il vero bene. E’ una virtù dinamica che mai può essere confusa con la timidezza, con il timore (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1806). La prudenza è definita (ivi) «auriga virtutum», cocchiere delle virtù, dunque una virtù estremamente lanciata sulla strada.
Il Papa dunque che cosa ha detto veramente? Ecco per punti:
1. «Stiamo attraversando un periodo storico molto particolare»
Il Papa nota una discontinuità, nota che stiamo vivendo una tappa peculiare del cammino dell’umanità, della storia. Perché?
2. «il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni»
Il Papa lega questa discontinuità all’interazione, alle relazioni permesse dal progresso tecnico, cioè quelle legate sostanzialmente alle tecnologie digitali. Non si tratta dunque di una tra le tante tappe, per il Papa, ma di qualcosa di veramente particolare: un cambiamento che permette possibilità «inedite». Più specificamente il Papa nota l’interazione non solamente tra singoli individui, ma anche «tra popolazioni». Dunque sono le relazioni ad emergere non solamente le individualità. Il mondo intero vive una dinamica di relazione, di interconnessione. vivendo dinamiche globali: non più solamente io-tu, ma anche noi-voi.
3. «ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se…»
Qui il Papa pone una condizione. Non parla semplicemente di «moderazione». Pone una condizione precisa. C’è un «ma» e un «solo se». Dunque c’è qui ben più che una richiesta di umana prudenza e circospezione.
C’è un si/n», un «ma», un «solo se»…
4. «…solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone».
Ecco la condizione: il fondamento non può essere il materialismo ma l’unica realtà capace di unire le persone, cioè l’amore. Attenzione a questo passaggio che è centrale. Il Papa qui sostanzialmente sta negando che l’unità tra le persone, la loro relazione, possa essere frutti di contenuti staccati dalle relazioni. Questo è «il» punto. Se si ritiene che siano i «beni», i «contenuti», le «cose» a fare la vera socialità umana, dice il Papa, allora si va verso un vicolo cieco, verso una globalizzazione distorta, rischiosa. Il fondamento della unità umana resa possibile dal progresso tecnico in questo periodo storico molto particolare sono dunque le relazioni, l’amore. Dicendo questo il Papa sta dicendo una cosa che la società digitale non è più pensabile e comprensibile solamente attraverso i contenuti. Non ci sono innanzitutto le cose, ma le «persone». Ci sono soprattutto le relazioni: lo scambio dei contenuti che avviene all’interno delle relazioni tra persone. La base relazionale della conoscenza in Rete è radicale. La pura e semplice moltiplicazione sconfinata dei dati offerti indurrebbe a una sorta di relativismo agnostico dei contenuti dal quale ci si salva per connessione relazionale, per «amore»: io ascolto una cosa perché la dici «tu»… La logica delle reti sociali ci fa comprendere meglio di prima che il contenuto condiviso è sempre strettamente legato alla persona che lo offre e al tipo di «legame» che crea.
Non c’è, infatti, in queste reti nessuna informazione «neutra»: l’uomo è sempre coinvolto direttamente in ciò che comunica. E’ questo che il Papa, ancora una volta, ha voluto ribadire con decisione.
Antonio Spadaro
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