Dopo due anni, termina il ciclo dedicato ai santi nel corso del quale il Papa ha dato una grande lezione di metodo a chiunque s'interessi alla storia della Chiesa. La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell'unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti.
del 14 aprile 2011
 
 
 
          Il 13 aprile si è compiuta una tappa significativa nella storia del Magistero di Benedetto XVI. Dopo due anni, termina il ciclo dedicato ai santi nel corso del quale il Papa ha dato una grande lezione di metodo a chiunque s’interessi alla storia della Chiesa.
          Di ogni santo ha ricostruito la vita e le opere con attenzione al metodo storico e alle scienze umane, senza tacere le eventuali aree problematiche. Ma, nello stesso tempo, non ha svolto opera di mero storico accademico – non è questo, si potrebbe dire, il suo mestiere – ma ha letto ogni santo nel contesto corale della Chiesa in cammino nella storia, chiedendosi sempre che cosa quel santo ha da dire a noi oggi, come può aiutarci a vivere meglio la nostra vita cristiana.
          Arrivato al termine di questo ricchissimo ciclo, su cui certamente i commentatori avranno da lavorare per anni, il Papa ha offerto «qualche pensiero su che cosa sia la santità». «Che cosa vuol dire – si è chiesto – essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. San Paolo, invece, parla del grande disegno di Dio e afferma: “In lui – Cristo – (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). E parla di noi tutti». Quasi tutti i mercoledì, parlando dei singoli santi, Benedetto XVI è ritornato negli ultimi anni sul tema della vocazione universale alla santità, un caposaldo dell’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II e del venerabile Giovanni Paolo II (1920-1005).
          Se «al centro del disegno divino c’è Cristo», in cui «il Dio vivente si è fatto vicino, visibile, ascoltabile, toccabile», allora «tutta l’esistenza cristiana conosce un’unica suprema legge, quella che san Paolo esprime in una formula che ricorre in tutti i suoi scritti: in Cristo Gesù. La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua».
          Lo insegnano, ciascuno con parole proprie, tutti i santi che il Papa ci ha presentato in questi due anni. Lo ribadisce «il Concilio Vaticano II, [che] nella Costituzione sulla Chiesa, parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno ne è escluso: “Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e … seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria” (n. 41)».
          È importante che queste affermazioni non rimangano pura teoria, soltanto belle parole. Dunque, prosegue il Papa, «rimane la questione: come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma». Anche qui il richiamo del Papa è a un testo della Lumen gentium del Concilio Vaticano II: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta» (ibid., 40).
          La chiamata alla santità nasce in ognuno di noi con il Battesimo. «La santità ha dunque la sua radice ultima nella grazia battesimale, nell’essere innestati nel Mistero pasquale di Cristo, con cui ci viene comunicato il suo Spirito, la sua vita di Risorto. San Paolo sottolinea in modo molto forte la trasformazione che opera nell’uomo la grazia battesimale e arriva a coniare una terminologia nuova, forgiata con la preposizione “con”: con-morti, con-sepolti, con-risucitati, con-vivificati con Cristo; il nostro destino è legato indissolubilmente al suo. “Per mezzo del battesimo - scrive - siamo stati sepolti insieme con lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti… così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4)». E tuttavia non c’è nulla di automatico: «Dio rispetta sempre la nostra libertà e chiede che accettiamo questo dono e viviamo le esigenze che esso comporta, chiede che ci lasciamo trasformare dall’azione dello Spirito Santo, conformando la nostra volontà alla volontà di Dio».
          Ancora, il Papa si preoccupa del rischio che queste rimangano soltanto parole. Nella pratica, «come può avvenire che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino il pensare e l’agire con Cristo e di Cristo? Qual è l’anima della santità? Di nuovo il Concilio Vaticano II precisa; ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta». La carità è amore di Dio, ma questo si manifesta nel «compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’Eucaristia e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all’esercizio di ogni virtù».
          «Forse – commenta il Papa – anche questo linguaggio del Concilio Vaticano II per noi è ancora un po’ troppo solenne, forse dobbiamo dire le cose in modo ancora più semplice. Che cosa è essenziale? Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell’Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l’esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni». 
          È quello che un tempo si chiamava piano di vita, il cui punto di partenza è l’amore di Dio preso sul serio e mostrato nella vita quotidiana. Il Papa si richiama a uno dei santi che gli è più cari, sant’Agostino (354-430). «Ecco perché – afferma – sant’Agostino, commentando il capitolo quarto della Prima Lettera di san Giovanni, può affermare una cosa coraggiosa: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”. E continua: “Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; vi sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene” (7,8: PL 35). Chi è guidato dall’amore, chi vive la carità pienamente è guidato da Dio, perché Dio è amore. Così vale questa parola grande: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”».
          A che cosa serve, allora, ricordare tanti santi? In realtà, sempre noi «potremmo chiederci: possiamo noi, con i nostri limiti, con la nostra debolezza, tendere così in alto?». I santi sono la risposta. Forse non tutti parlano con lo stesso vigore al nostro cuore, ma tra i tanti che sono stati canonizzati troveremo certamente qualcuno capace di convincerci e di entusiasmarci. «La Chiesa, durante l’Anno Liturgico, ci invita a fare memoria di una schiera di Santi, di coloro, cioè, che hanno vissuto pienamente la carità, hanno saputo amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa strada. In ogni epoca della storia della Chiesa, ad ogni latitudine della geografia del mondo, i Santi appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione. E sono tipi molto diversi. In realtà devo dire che anche per la mia fede personale molti santi, non tutti, sono vere stelle nel firmamento della storia».
          Tutti, inoltre, abbiamo conosciuto nella nostra vita dei santi, che magari non saranno mai canonizzati ma che ci hanno confermato che la fede è credibile. «Vorrei aggiungere – ha detto il Papa – che per me non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità».
          Sì, «tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana. Ancora una volta san Paolo lo esprime con grande intensità, quando scrive: “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,7.11-13)».
          «Vorrei – ha chiesto il Papa alla fine del lungo ciclo sui santi – invitare tutti ad aprirsi all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, ma lasciamoci guidare in ogni azione quotidiana dalla sua Parola, anche se ci sentiamo poveri, inadeguati, peccatori: sarà Lui a trasformarci secondo il suo amore».
 
Massimo Introvigne
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