All'udienza generale ripercorre le tre tappe del viaggio in Africa...
Papa Francesco ha ricordato il suo recente viaggio in Africa (25-30 novembre), all’udienza generale in piazza San Pietro, rivelando che la terza e ultima tappa in Repubblica Centrafricana era, in realtà, «la prima» nella sua intenzione, «perché quel Paese sta cercando di uscire da un periodo molto difficile, di conflitti violenti e tanta sofferenza nella popolazione». A partire da una missionaria-infermiera italiana di 81 anni, giunta in canoa dal Congo a Bangui per vederlo con una bambina, Bergoglio ha dedicato un lungo elogio dei missionari che dedicano la loro vita al servizio degli altri, raccomandando di non fare proselitismo e invitando i ragazzi presenti a non escludere di partire in missione.
«Che bella è l'Africa!», ha esordito Francesco. Il Kenia, prima tappa, «è un Paese che rappresenta bene la sfida globale della nostra epoca: tutelare il creato riformando il modello di sviluppo perché sia equo, inclusivo e sostenibile. Tutto questo trova riscontro in Nairobi, la più grande città dell’Africa orientale, dove convivono ricchezza e miseria, ma questo è uno scandalo! Non solo in Africa: anche qui, eh? Dappertutto. La convivenza tra ricchezza e miseria è uno scandalo, è una vergogna per l’umanità. E lì ha sede proprio l’Ufficio delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che ho visitato», ha proseguito il Papa che nel paese ha rivolto un appello al vertice sul clima di Parigi (Cop21). In ogni occasione della prima parte del viaggio, «ho incoraggiato a fare tesoro della grande ricchezza di quel Paese: ricchezza naturale e spirituale, costituita dalle risorse della terra, dalle nuove generazioni e dai valori che formano la saggezza del popolo». E il motto «Siate saldi nella fede, non abbiate paura» è «una parola testimoniata in modo tragico ed eroico dai giovani dell’Università di Garissa, uccisi il 2 aprile scorso perché cristiani. Il loro sangue è seme di pace e di fraternità per il Kenia, per l’Africa e per il mondo intero». In Uganda, seconda tappa, «la mia visita è avvenuta nel segno dei Martiri di quel Paese, a 50 anni dalla loro storica canonizzazione, da parte del beato Paolo VI», ha ricordato il Papa, rammentando poi la testimonianza cristiana dei catechisti, quella della Casa di Nalukolongo e di «tante comunità e associazioni nel servizio ai più poveri, ai disabili, ai malati», quella dei giovani e quella di sacerdoti, religiosi e suore, ha detto il Papa, sottolineando, tra l’altro, «l’opera efficace compiuta in Uganda nella lotta all’AIDS e nell’accoglienza dei rifugiati». «La terza tappa del viaggio è stata nella Repubblica Centrafricana, nel cuore geografico del continente», ha detto il Papa. «Questa visita era in realtà la prima nella mia intenzione, perché quel Paese sta cercando di uscire da un periodo molto difficile, di conflitti violenti e tanta sofferenza nella popolazione. Per questo ho voluto aprire proprio là, a Bangui, con una settimana di anticipo, la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia, in un Paese che soffre tanto, come segno di fede e di speranza per quel popolo, e simbolicamente per tutte le popolazioni africane più bisognose di riscatto e di conforto. L’invito di Gesù ai discepoli, “Passiamo all’altra riva”, era il motto per il Centrafrica. “Passare all’altra riva”, in senso civile, significa lasciare alle spalle la guerra, le divisioni, la miseria, e scegliere la pace, la riconciliazione, lo sviluppo». L’ultima Messa, allo stadio di Bangui, «è stata meravigliosa: era piena di giovani, uno stadio di giovani! Ma più della metà della popolazione della Repubblica Centrafricana sono minorenni, hanno meno di 18 anni! Ma è una promessa per andare avanti!».
A braccio, il Papa si è poi soffermato sui missionari: «A un certo momento ho trovato a Bangui una suora, era italiana. Si vedeva che era anziana: “Quanti anni ha?”, ho chiesto. “81” – ma, non tanto: due più di me, non tanto... Era con una bambina. E la bambina, in italiano, le diceva: “Nonna” alla suora… 81 anni. E era là da quando aveva 23-24 anni. Tutta la vita. E come lei, tante. “Ma io, proprio non sono di qua, del Paese vicino, del Congo; ma sono venuta in canoa, con questa bambina …”. Così sono i missionari: coraggiosi. “E cosa fa lei, suora?” – “Ma, io sono infermiera e poi ho studiato un po’ qui e sono diventata ostetrica e ho fatto nascere 3.200 e tanti bambini”: così mi ha detto. Tutta una vita per la vita, per la vita degli altri. E come questa suora, ce ne sono tante, tante: tante suore, tanti preti, tanti religiosi che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. È bello, vedere questo. È bello».
Il Papa ha poi proseguito: «Io vorrei dire una parola ai giovani. Ma ce ne sono pochi, perché la natalità è un lusso, sembra, in Europa: natalità 0, natalità 1%… Ma mi rivolgo ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita. Pensate a questa suora e a tante come lei, che hanno dato la vita e tante sono morte, là, eh? La missionarietà, non è fare proselitismo perché mi diceva questa suora che le donne musulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene, e non fanno la catechesi per convertirle! Testimonianza. Poi, a chi vuole, fanno la catechesi. Ma “testimonianza”: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa. Annunziare Gesù Cristo con la propria vita! Io mi rivolgo ai giovani: pensa a cosa vuoi fare tu della tua vita. È il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la Sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo: no. Quello lo fanno quelli che cercano un’altra cosa. La fede si predica prima con la testimonianza e poi con la parola. Lentamente».
Iacopo Scaramuzzi
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