Noi siamo finestra del Mistero. Solo nell'accoglienza dell'altro possiamo comprendere noi stessi e superare l'angoscia del vivere. Secondo Lévinas all'inizio vi è la percezione dell'esistenza di ciascuno di noi, come esistenza anonima...
del 29 ottobre 2008
Il significativo e stimolante filosofo di origine ebraica Emmanuel Lévinas è nato a Kaunas, nella Lituania, (che recentemente è entrata nella Unione Europea dei Venticinque), nel 1905, in un ambiente influenzato in particolare dalla grande letteratura russa di Dostoevskij, Gogol e Puskin. Nel 1923 si trasferisce in Francia, e poi in Germania, dove, tra l’altro ha modo di conoscere personalmente Martin Heidegger, dal cui pensiero viene profondamente colpito. Il suo capolavoro è La Totalità e l’infinito, che viene pubblicata nel 1961.
Intanto, insegna dalla cattedra universitaria di Poitiers, poi di Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona di Parigi. Muore nel 1995.
 
Volti anonimi
Il punto di partenza del pensiero di Lévinas risente dell’influsso di Heidegger. Secondo Lévinas all’inizio vi è la percezione dell’esistenza di ciascuno di noi, come esistenza anonima. Questa esistenza è chiamata da Lévinas, con la semplice espressione francese, il y a. Da questo anonimato, che accomuna tutti gli uomini, si esce soltanto con il rapporto con gli altri, anzi con l’Altro, come qualcosa di radicalmente diverso e irripetibile che condiziona radicalmente la nostra vita.
Per sottolineare questa relazione fondamentale, Lévinas scrive l’Altro con la maiuscola, proprio per evidenziare come noi siamo provocati e condizionati dagli altri, a cominciare dai genitori, dall’ambiente in cui cresciamo, dal contesto storico in cui viviamo (se fossimo vissuti, per ipotesi, in un’altra epoca storica, ad esempio nell’Alto Medioevo, la nostra vita sarebbe stata radicalmente diversa. Come pure, se invece di nascere in Italia, uno di noi fosse nato nell’Africa Subsahariana o in un arcipelago sperduto del Pacifico, la nostra vita, anche in questo caso, avrebbe tutto un altro svolgimento). L’Altro si rivela soprattutto nel volto di colui che ci guarda, che ci incontra, con il quale intessiamo una relazione o la rompiamo, in maniera unica ed irripetibile. Questo è anche il significato del Quinto Comandamento: “Tu non ucciderai”. L’Altro rimanda, secondo Lévinas, a un Altro unico e trascendente, fonte e fondamento di tutte le relazioni. Che si identifica con Dio, come il Volto trascendente, al di là di tutti noi, ma anche profondamente immanente nella storia dell’uomo.
 
L’uomo
Ma chi è l’uomo? Per Lévinas, l’uomo, non è soltanto colui che si pone la domanda sul senso dell’essere, ma è anche quell’ente che non si lascia ridurre alla nozione di essere.
Le cose sono diverse l’una dall’altra, ma tutti sono oggetti posti davanti a me: l’uomo non può ridursi ad un oggetto puro e semplice del mondo; l’Esserci non è mai una semplice presenza come le cose, giacché l’uomo è proprio quell'ente per cui le cose sono presenti. Il modo di essere dell’Esserci è l’esistenza, l’essenza dell'Esserci consiste nella sua esistenza, e l’essenza dell’esistenza è data da una possibilità da attuare e, di conseguenza, l’uomo può scegliersi perdendosi o conquistandosi. L’uomo che si trova a dover decidere della propria vita, conosce la disperazione della solitudine. Secondo Lévinas, il fatto di essere è quanto di più privato ci sia, l'esistenza è la sola cosa che non posso comunicare perché la posso raccontare, ma non condividere. La solitudine appare come lo stesso evento di essere: «Siamo circondati da esseri e da cose con i quali intratteniamo relazioni. Siamo con gli altri con la vista, con il tatto, con la simpatia, con il lavoro in comune. Io tocco un oggetto, vedo l'altro, ma non sono l'altro. Tra esseri ci si può scambiare tutto tranne l'esistere».
 
Il problema etico
Il pensiero di Lévinas nasce però dallo stupore del silenzio di Dio verso le tragedie. Da qui il problema etico. Del comportamento dell’uomo. Pensare è ascoltare la Parola dell'infinito che è udibile dal volto dell'altro nella cui nudità e povertà risplende la traccia di Dio. Ciò è possibile solo nel rispetto della sua alterità, della sua solitudine, del suo mistero e della sua persona: è questo il principio primo dell'etica: se non violo il mistero dell'altro, cioè se non lo riduco ad un'essenza pre-determinata e pre-giudicata, arrivo ad un tipo di conoscenza che è reale perché è traccia dell'infinito. La mia esperienza non sarà mai paragonabile a quella di un altro, io non posso vivere il dolore, la gioia e le altre esperienze limite di un altro. L’etica permette di uscire dalla conoscenza come comprensione dell'altro che viene generalmente assimilato a sé ed espropriato della sua alterità e diversità. L'altro, per essere tale, non può essere ricondotto né alla conoscenza che io ne ho (che è sempre un'interpretazione parziale), né all'amore che parte da me e intende abbracciarlo.
 
Il mistero dell’Altro
Un'altra manifestazione dell’alterità è la filialità o la paternità perché la donna ha difficoltà nel distinguere il figlio da sé, mentre vero padre è colui che distingue il figlio da sé pur sentendolo da sé generato. Lévinas è contro l'amore romantico inteso come la fusione di due esseri. Il volto non può essere assorbito nella mia identità perché la vera unione è un faccia a faccia, alterità reciproche che non vengono assorbite o eliminate.
La società non sarà mai la somma di soggettività fuse nel tutto, ma sarà fondata su una relazione intersoggettiva che non abolisce l'altro, ma ne rispetta il mistero. L'altro è soggettività che trascende la totalità. L'etica di Lévinas è una forte provocazione per chi svilisce il messaggio evangelico dell'amore nell'estensione della propria soggettività. Il rapporto con l'altro non è immediato, ma è mediato dall'Infinito. Il culmine dell'identità è la distinzione, il culmine dell'amore è l'alterità personale pienamente realizzata nel rapporto, il culmine della giustizia è il faccia a faccia con l'altro, che è tutto ciò che impedisce di ridurre l'altro a me. Per questo Lévinas può affermare che il principio primo dell'etica è la separazione, ossia il muoversi verso l'altro sentito come altro da sé; occorre considerare sempre l'altro come un fine e mai come un mezzo. Nel volto dell'altro c’è la traccia dell’Infinito, tuttavia questa traccia non giunge mai a farsi realmente segno di Dio che rimane, perciò, assente perché la traccia sul volto dell'altro è cancellata come una traccia lasciata sulla sabbia che è segno di un passaggio ma anche di un’assenza.
Il volto dell’altro mi apre all’arcano di ciò che è Totalmente Altro da me, di ciò che è per sé e, dunque, non manipolabile da me, in quanto segno del Mistero. In una società come quella di oggi, che si avvia sempre di più ad essere interetnica, interreligiosa ed interculturale, si intravede subito l’attualità anche bruciante del pensiero di Lévinas.
 
Giovanni Balocco
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