Il piacere, sentinella della vita

Tutti lo cerchiamo.Pare che si viva solo per quello, ma che senso ha il piacere? A cosa serve? Lo si può educare? È vero che può diventare uno strumento di autodistruzione? Siamo andati ad Assisi per ascoltare chi sul piacere ha indagato per anni e ha scoperto che...

Il piacere, sentinella della vita

da Quaderni Cannibali

del 10 ottobre 2007

“Io coi miei giochi da bambino vedevo il mondo a colori e in tutti trovavo bontà in questa sincerità di amore e sensualità ci metto l’anima e il cuore”: ad Assisi il convegno Il piacere, sentinella di vita si è aperto con un omaggio alle canzoni popolari italiane ed europee, dalla canzone napoletana e pugliese al fado portoghese. Un percorso in cui la musica incarna il piacere dell’amore e della vita, come afferma la cantante di fado Elisa Ridolfi, che dice che la musica deve suscitare passioni, perché unisce la passione alla malinconia, in cui si assapora: “il gusto di perdersi! È come un po’ la situazione del silenzio; quando uno ha il senso di malinconia addosso: è una situazione intimistica, nella quale pensi ai tuoi vecchi piaceri che non hai più e quindi ti mancano… però sono un bel ricordo. Godi un po’ della tua vita fondamentalmente”. La musica, quindi, collega la passione al piacere della seduzione, perché secondo il prof. Emmanuele Jannini, sessuologo e docente all’Università de L’Aquila, “Il piacere della seduzione è l’idea che tutti abbiamo di portare le molecole del nostro cervello in una condizione in cui ci si alimenta dell’altro/a, cioè il piacere della seduzione è il momento in cui ritroviamo qualcosa di noi stessi nell’altro; ritroviamo una diversità che ci arricchisce; ritroviamo, come dice il termine seduzione, il portare a noi stessi qualcuno che è diverso da noi”.

 

 

Dimmi come mangi

 

Inoltre, il piacere sessuale è collegato al piacere alimentare: il mangiar bene significa che sessualmente abbiamo una vita serena. E lo spiega: “Se non c’è questo piacere, c’è la fame, che può essere la fame fisica, ma può essere la fame d’amore, che si sterilizza quando non ci sono desiderio e passione”. Molte malattie dei ragazzi sono sintomo di disagio sessuale, perché il corpo è l’alimento centrale del piacere: “È un discorso della valorizzazione del corpo come luogo della realtà; come luogo sicuramente dell’esperienza di libertà, ma anche come luogo dell’esperienza della perdita. Ma soprattutto il corpo è relazione, è comunicazione; quindi il piacere che è assunto dal corpo in tutte le sue dimensioni, si esprime attraverso il corpo e diventa un’imitazione”, sostiene la sociologa della conoscenza, prof.ssa Elena Besozzi, docente all’Università Cattolica di Milano.

Il discorso sul piacere unito al cibo e soprattutto ai sensi si collega al fattore della ricompensa. Ancora il prof. Jannini precisa: “Il nostro cervello è stato attrezzato per essere ‘ricompensato’ in termini biochimici tutte le volte che fa qualcosa legato al sostentamento, cioè al cibo, oppure alla passione amorosa, come nel caso del sesso”. Il problema della perdita di senso del piacere, secondo la sociologa, dipende dalla discrasia tra etica ed estetica: “Abbiamo assistito ad una crisi del modello fondato sulla forza dell’etica, quindi sui valori di riferimento come guida al soggetto. Siamo passati ad un processo di continua estetizzazione della società. Estetizzazione vuol dire che il bello prende il sopravvento sul buono e sul giusto e lo ingloba; quindi la bellezza fine a se stessa: apparire in ogni occasione. Il far prevalere la propria immagine su quella degli altri, che ha una serie di manifestazioni molteplici a livello di realtà sociale… Questo è un modo di vivere che ci appiattisce sul presente e ci lega al contingente, non chiedendoci di fare scelte per il domani. Oggi ci sono segnali di una insufficienza di questa risposta estetizzante che ha bisogno di riequilibrarsi con una ricollocazione, in prospettiva etica, anche per avere la possibilità di una qualità di vita migliore”.

 

 

Essere per gli altri

 

Il corpo, in questo senso etico, diventa il luogo della libertà della relazione con l’altro: “Il piacere chiede proprio l’incontro con altri e non può chiudersi sul soggetto che prova piacere; è un sentire che si apre al sentimento, proprio perché vive di relazione. Quindi si esalta nell’incontro e non nel ripiegamento su se stesso”, sostiene il filosofo Roberto Mancini, docente all’Università di Macerata. Perciò il piacere non è autoreferenzialità, ma contatto e conoscenza della differenza. Il piacere fa emergere la differenza tra maschio e femmina. Il maschio è portato a privilegiare il senso della vista; la femmina sviluppa invece maggiormente quello del linguaggio. Le crisi coniugali si giocano nell’ 80% dei casi sul discorso dei sensi: la non conoscenza dei propri pregi e dei propri limiti è fonte di insanabili crisi; l’uomo e la donna devono sapere di essere diversi, e proprio per questa diversità sono liberi di sperimentare le contraddizioni della vita, perché il corpo è il luogo della verifica.

E l’accordo avviene, secondo il prof. Jannini, nel momento in cui: «Si impara l’uno dall’altro, perché se io uso il linguaggio di ‘Marte’ e parlo con una ‘venusiana’, non ci si capisce. Quindi devo imparare un po’ la lingua che si parla su ‘Venere’ ed aspetto che le ‘venusiane’ imparino un po’ della lingua dei ‘marziani’». Da questo riconoscimento che siamo diversi ma compatibili deriva il fatto che il piacere deve essere governato da regole certe, pena il rischio -secondo la prof.ssa Besozzi- di entrare nell’anarchia della comunicazione: “Il piacere va ricollocato nella comunicazione. Il piacere va ancorato dentro un governo; noi siamo venuti fuori da un’esperienza di un piacere assolutamente opposto al dovere: prima il dovere, poi il piacere. Poi abbiamo assistito ad una liberazione del sesso e del corpo e quindi ad una estetizzazione dell’esistenza, che chiede oggi di essere ricollocata nella dimensione della relazione con l’altro: la dimensione dell’altro è la dimensione della responsabilità”.

 

 

Piacere e responsabilità

 

La dimensione della responsabilità chiama in causa il discorso della gioia, di cui il piacere è il nucleo centrale. Ancora il prof. Mancini precisa che il piacere: “È un nucleo irrinunciabile della gioia, che ha anche altre componenti: il senso, la condivisione, la giustizia. Però la gioia mi pare un tratto emotivo ed affettivo irrinunciabile”. E quindi una società in cui il piacere perde il tratto della gioia, ma è solo estetizzante, diventa una società chiusa e ‘vecchia’, perché il piacere chiede lo spazio dell’orizzonte, che è infinito, che non deve essere racchiuso nel concetto del ‘carpe diem’. Quindi riscoprire il piacere in una società anestetizzata significa: “liberarsi da questa angoscia di morte, attraverso una ricerca seria. Possiamo organizzare la convivenza ed imparare a coesistere senza riprodurre logiche di morte. A quel punto abbiamo liberato lo spazio per un piacere autentico”. Questa scoperta del piacere come vitalità dell’armonia, è un movimento di condivisione, che porta alla soglia della gratitudine ed alla scoperta dell’esperienza del dono, perché -ribadisce ancora il prof. Mancini: “il piacere non è un’invenzione nostra, ma è la risonanza di qualcosa che riceviamo. Evidentemente di qualcosa di positivo! Un atto di gratuità e di attenzione nei nostri confronti, che viene da altri. Quindi il piacere è imparentato con la gratitudine: è l’essere gratificati”.

 

 

Piacere e gratitudine

 

La gratitudine presuppone anche un percorso biblico, in cui il piacere è svuotamento (kenosi). In questo senso, secondo la teologa Rosanna Virgili, il piacere è legato alla creazione, perché è il luogo della condivisione: “Il piacere secondo la Bibbia è quello che si crea tra due persone che si pongono in relazione ed è un luogo dell’incontro. Il piacere è qualcosa puro, che è il segno proprio di una comunione, che fa uscire i due che si mettono in contatto, quasi dai loro confini corporei, e li fa fondere come se fossero pura anima. Quindi il piacere è qualcosa che anima il corpo e fa aprire la carne stessa su una finestra verso l’eternità”. Una condivisione che rende belli, perché è l’evento della Grazia: “Se c’è uno statuto fondamentale nella Bibbia è che non c’è una finalità ulteriore; il piacere non è funzionale a nulla, ma è assolutamente puro, perché è un dono che l’uno fa all’altra e quindi non potrebbe esistere fuori da un contesto di Grazia”. Grazia che permette al piacere di godere dello stare insieme, cioè del ‘banchetto’ come racconta il vangelo di Giovanni nel racconto della ‘moltiplicazione del pane e dei pesci’: “Quello è un momento di grande piacere per diversi motivi, perché prima di tutto c’è la condivisione di un pasto, che è gratuito, che non è guadagnato con il sudore della fronte, quindi in maniera autonoma ed individuale, ma è proprio il dono dell’altro; il miracolo della gratuità. Questo pasto è sovrabbondante, eccedente, per cui ognuno non solo può sfamare il suo bisogno, ma in questo banchetto c’è qualcosa di più. Il piacere non deriva solo dalla soddisfazione di un bisogno, ma dall’assaggiare qualcosa di ulteriore, quasi di superfluo. L’altro aspetto del piacere del banchetto è quello della orizzontalità. Infatti in quella giornata, in cui banchettarono tutti insieme e si erano seduti su un prato, il cibo si moltiplica nel passaggio dalle mani dell’uno alle mani dell’altro. Il banchetto non può dare piacere se il rapporto tra chi consuma questo banchetto è un rapporto di dominio. Il piacere deriva proprio dal rapporto di essere l’uno accanto all’altro; l’uno abbracciato all’altro in una dimensione di orizzontalità e quindi di autentico scambio di comunione”.

Simone Baroncia

http://www.dimensioni.org

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