Giustamente premiato con la Palma d'oro 2002 a Cannes, 'Il pianista' è la cruda e struggente narrazione dell'occupazione tedesca di Varsavia (1939-'45) vista attraverso gli occhi del musicista ebreo Wladyslaw Szpilman. ...
del 10 ottobre 2002
Appartenente alla media borghesia intellettuale, Szpilman, uno dei più giovani e talentuosi pianisti polacchi, lavora per una radio di Varsavia quando i tedeschi occupano la città. Il suo mondo presto si capovolge: da cittadini liberi, gli ebrei perdono i loro diritti e sono costretti a vivere nel ghetto alla mercé delle violenze gratuite degli invasori. Unico della sua famiglia a scampare miracolosamente alla deportazione, Wladyslaw conosce la comunque dura realtà della vita nel ghetto. Umiliato, maltrattato, deriso, assiste impotente allo sterminio della comunità ebraica. A confortarlo e salvarlo dalla disperazione c'è solo la musica che non può suonare, ma che rivive nella sua mente e a cui si aggrappa disperatamente fino alla liberazione ad opera dell'esercito russo.
Raccontando la vicenda umana personale di un singolo, il film, in realtà, mostra tre comunità diverse (ebrei, polacchi e tedeschi) che sono unite, paradossalmente, da un analogo atteggiamento di abbrutimento.
Gli ebrei non solo vengono trattati come animali, ma si comportano loro stessi con scarsa umanità. L'uomo che percuote una donna per rubarle della minestra senza che nessuno intervenga, i volontari della polizia ebrea che lavorano per i tedeschi e che umiliano e maltrattano i loro simili, i ricchi mercanti che speculano sui più deboli, sono tutti atteggiamenti provocati dal perverso mondo in cui sono precipitati. La fame e la disperazione portano ad un ripiegamento sul proprio io, dove l'unica cosa che importa è la sopravivenza a tutti i costi, a prescindere dal modo.
I polacchi sono i primi ad additare persone che, fino al giorno prima erano loro vicini di casa e vegetano quasi invisibili accanto agli invasori.
I tedeschi, d'altro canto, compiono azioni delle più feroci senza rimorso o ripensamento, come se gli uomini fossero oggetti, perché vivono loro stessi spersonalizzati e, quindi, spersonalizzano chi gli circonda.
Tra i personaggi, spiccano il protagonista, splendidamente interpretato da Adrien Brody, e suo fratello. Il carattere di Wladyslaw, mite e pacato, che si prodiga per aiutare tutta la famiglia, entra a volte in conflitto con questo giovane intellettuale dal carattere più irruento e passionale, che maschera l' orrore sotto il sarcasmo e l'aggressività. Tutti gli altri personaggi sono poco più che abbozzati ma simboleggiano le diverse realtà con cui Szpilman si trova in contatto, mostrando che l'aiuto può venire anche dalle persone più improbabili (i tedeschi) e che disonesto può essere anche chi è apparentemente amico.
Prima pellicola sull' Olocausto del regista ebreo polacco Roman Polanski, il film è tratto dalle memorie delle stesso Szpilman ed è stato sceneggiato dal regista e da Ronald Harwood, già autore di 'A torto o a ragione', altro film legato al periodo nazista. L'occupazione tedesca è mostrata senza clemenza: non c'è un misericordioso cambio di scena durante le sequenze più crude, non c'è una spiegazione ai comportamenti perversi e crudeli, non ci sono storie d'amore a spezzare la tensione. Atroce è la retata in una casa ebraica, con il solo scopo di trovare bersagli umani e, se possibile, è ancora più atroce la morte dell'anziano paraplegico gettato dalla finestra solo perché impossibilitato ad alzarsi. Tutto è mostrato sotto la luce impietosa del realismo, ma è proprio per questo che arriva diritto dentro l'essere e che strazia nel profondo.
Francesca Pascuttini
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