Il prete ucciso dalla mafia

Il prete ucciso dalla mafia. Martire, ucciso dalla mafia in odio alla sua fede, ritenuta pericolosa. Don Puglisi ha speso tutta la vita per educare alla legalità e ai diritti, contro la cultura mafiosa e la povertà. Dal suo esempio, un incoraggiamento a non arrendersi mai al male.

Il prete ucciso dalla mafia

 

          Martire, ucciso dalla mafia in odio alla sua fede, ritenuta pericolosa. Don Puglisi ha speso tutta la vita per educare alla legalità e ai diritti, contro la cultura mafiosa e la povertà. Dal suo esempio, un incoraggiamento a non arrendersi mai al male.           Il Servo di Dio don Pino Puglisi sarà beatificato il prossimo 25 maggio 2013. Lo ha annunciato l’arcivescovo di Palermo, Cardinale Paolo Romeo il 15 settembre scorso al termine della celebrazione Eucaristica in occasione del XIX anniversario del martirio del sacerdote ucciso dalla mafia in odium fidei, in odio alla fede, il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo 56° compleanno, a poco più di un anno dalle stragi di Falcone e Borsellino.

          «L’opera di don Pino - dice il card. Romeo - e di quanti collaborarono con lui, fu sempre animata dalla fede. La mafia non poteva stare tranquilla: la fede di don Pino usciva dalla chiesa nel quartiere Brancaccio e rischiava di cambiare la realtà facendosi lievito di novità sulla strada. La mafia fu infastidita da questa “fede pericolosa”, che altro non fu se non una “fede incarnata”». L’uccisione di Puglisi, probabilmente, fu anche una risposta della mafia alle parole che Giovanni Paolo II pronunciò quattro mesi prima, nella Valle dei Templi ad Agrigento, contro la criminalità organizzata.

          Don Ciotti - ispiratore e fondatore dapprima del Gruppo Abele, come aiuto ai tossicodipendenti e altre varie dipendenze, quindi dell’Associazione Libera contro i soprusi delle mafie in tutta Italia - vede questo ennesimo martirio «un incoraggiamento a servire la Chiesa nelle periferie, nei quartieri difficili, nel contrasto alla violenza, con la dimensione educativa, con la testimonianza cristiana, con la responsabilità civile, per dare aiuto a cercare verità e costruire giustizia». “Più che uccidermi non possono fare”

          Così padre Pino Puglisi, o 3P come gli piaceva farsi chiamare, rispondeva sorridendo a chi lo invitava alla prudenza quando sceglieva di non cedere alle lusinghe e ai ricatti dei mafiosi. E anche quel 15 settembre 1993, quando gli si sono avvicinati con la pistola in pugno, padre Puglisi ha sorriso ai suoi assassini e ha detto: “Me l’aspettavo”; e gli hanno sparato alle spalle. Poi hanno composto il corpo a terra e gli hanno incrociato le braccia sul petto.

          Don Puglisi ha vissuto il suo sacerdozio con la forza della coerenza e l’armonia della lealtà. Non usava parole complicate, non compieva gesti clamorosi; viveva straordinariamente l’ordinario, testimoniando a tutti la fede semplice del Vangelo tradotta con l’umanità del pastore che chiama e corregge i suoi figli ed è sempre pronto ad accoglierli. Una vita vissuta nella solidarietà, al servizio dei giovani dei quartieri più emarginati, una vita donata nell’umiltà. Una testimonianza di santità posta al servizio di una piaga sociale che non ha risparmiato e non risparmia tuttora i giovani, colpendoli e privandoli di prospettive sociali sane. Una testimonianza di fede autentica stroncata, solo fisicamente, dalla sopraffazione e dalla violenza della mafia. Il messaggio di don Puglisi rimane un monito nell’impegno per la legalità e per la denuncia sociale. Il suo martirio dovrebbe indurre a riflettere amministratori locali e operatori di giustizia; dovrebbe incoraggiare tutti a sentirsi responsabili nella costruzione della pace e del bene comune, nella rettitudine e nell’onestà. Una fede incarnata

          Trentatre anni di vita sacerdotale, di cui gli ultimi tre da parroco della chiesa di San Gaetano al Brancaccio, resero Don Puglisi educatore attento e sensibile, capace di incidere nella formazione delle coscienze: la sua attenzione fu rivolta in particolare verso i giovani e i bambini. Il suo impegno, rivolto a promuovere il rispetto della dignità umana, fece di lui un prete capace di incontrare le persone per capirne i problemi e con loro battersi per l’affermazione dei propri diritti. Nel quotidiano, attraverso iniziative semplici, a misura di tutti, don Puglisi sapeva coniugare e far coniugare il Vangelo con le situazioni concrete, con le vicende della vita reale di ciascuno; aiutava le persone, i giovani principalmente, ad aprire gli occhi, a comprendere cause e responsabilità; a vivere una fede “incarnata”, che sa inquietare ed impegnare, condannare i soprusi, invocare dignità e giustizia, affrancare dal bisogno, far alzare la testa. Don Pino riusciva a promuovere consapevolezza, spirito critico, partecipazione responsabile, senso di comunità. Sapeva unire la mitezza e la generosità con la chiarezza delle parole e la fermezza dei comportamenti. Con serenità e intransigenza denunciava i privilegi dei pochi, la corruzione, il clientelismo, il malaffare, le sopraffazioni e i tanti egoismi.

          La sua opera educativa era volta alla promozione integrale delle persone - degli ultimi soprattutto - attraverso una feriale, costante, capillare azione di formazione delle coscienze, dei cuori, delle menti. Gli stava principalmente a cuore che ai ragazzi, ai giovani non mancassero gli strumenti di crescita culturale e spirituale per essere in grado di trovare - nella legalità - le strade concrete, idonee a risolvere i problemi della collettività e a soddisfare le esigenze personali senza svendersi alla logica del clientelismo, della corruzione, della mafia. Piccoli e grandi andavano prendendo coscienza che l’ignoranza e il degrado erano la causa principale della loro sudditanza e del potere, della ricchezza di “quelli che contano”, degli “uomini d’onore”. Da qui l’importanza di socializzare il territorio, di pretendere dalle autorità civili scuole, presidi sanitari, palestre, il risanamento degli edifici degradati e ridotti a covi per attività illecite. Doveva finire il tempo della rassegnazione e della paura, della chiusura in una pratica religiosa disincarnata, dell’attesa inoperosa. Al Brancaccio, il luogo in cui tutto ciò si rendeva “visibile” era il Centro Padre Nostro, tenacemente voluto da don Puglisi perché ciascuno potesse recuperare il significato più vero di quel “nostro”, in opposizione a “cosa nostra”. Egli voleva creare nuove relazioni di comunità, di solidarietà che facessero del Padre nostro non più una preghiera “recitata” senza capirne tutte le conseguenze, ma “vissuta” con la consapevolezza delle responsabilità che ne derivano. Una vita fiorita al Brancaccio

          Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana del Brancaccio, il 15 settembre 1937, da Carmelo, calzolaio, e da Giuseppa Fana, sarta. Nel giorno del suo 56° compleanno, nella stessa borgata, viene ucciso dalla mafia. Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa al Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. Nel 1967 è nominato cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi. Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.

          Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. In questi anni segue anche le battaglie socia li di un’altra zona della periferia orientale della città, lo «Scaricatore». Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente, direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Nel 1983 è responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni dedica con passione lunghi anni realizzando, attraverso numerosi “campi scuola”, un percorso formativo umano e cristiano. Don Giuseppe Puglisi insegna matematica e poi religione presso varie scuole: all’istituto professionale Einaudi, alla scuola media Archimede, di Villafrati e alla sezione staccata di Godrano, all’istituto magistrale Santa Macrina e infine al liceo classico Vittorio Emanuele II. Dal 23 aprile 1989 sino alla morte  svolge il suo ministero sacerdotale presso la Casa Madonna dell’accoglienza dell’Opera Pia Card. E. Ruffini, in favore di giovani donne in difficoltà. Nel 1992 assume l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo. A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipe Notre Dame. Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. Lo spirito del concilio Vaticano II era entrato nel suo cuore e nella sua mente ed egli sentiva l’ansia evangelica di portare l’annunzio della speranza con la testimonianza della vita. Per tutta la vita era stato un formatore di giovani e ora, da tre anni, come parroco di Brancaccio, l’attenzione era per i giovani di un quartiere della città, particolarmente segnato dalla presenza mafiosa”. Il 29 gennaio 1993 inaugura al Brancaccio il centro “Padre Nostro”: diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere che trovano la forza nel sostegno del loro parroco. Collabora con i laici della zona per rivendicare i diritti civili della borgata, denunciando collusioni e malaffari e subendo minacce e intimidazioni. Viene ucciso sotto casa il 15 settembre 1993. Legalità tra fede e cultura

          Don Puglisi ha sempre desiderato incarnare, nel territorio e nelle realtà della vita, l’annuncio di Gesù Cristo. “Coraggioso testimone del Vangelo” lo definì Giovanni Paolo II durante la visita in Sicilia, a Catania e a Siracusa, nel novembre 1994. Don Pino ha incarnato fino al dono della vita i valori cristiani in una realtà come quella di Brancaccio, simbolo delle tante periferie siciliane dove la voce della Chiesa è spesso l’unica a confortare e promuovere il riscatto degli ultimi, con il coraggio della denuncia.

          La sua attenzione, rivolta in particolare al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermò nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. La sua attività pastorale, come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie, costituì un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui sono state intitolate a Palermo e in tanti luoghi della Sicilia. Dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo.

          L’attuale arcivescovo di Palermo, Card. Paolo Romeo, ricordando Don Puglisi con affetto e ammirazione, lo indica come «esempio per ogni presbitero, di impegno evangelizzatore nella società».

 

 

Anna Maria Gellini

 

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