«Il progresso non è riuscito a cancellare la fede»

Dio sembra sparito dall'orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti. La storia mostra che «non c'è stata alcuna grande civiltà, dai tempi più lontani fino ai nostri giorni, che non sia stata religiosa». «L'uomo è per sua natura religioso». Non si tratta di un dato di cultura, ma di natura: «L'immagine del Creatore è impressa nel suo essere».

«Il progresso non è riuscito a cancellare la fede»

da Benedetto XVI

del 12 maggio 2011

 

 

           A una settimana dall’inizio di quella che ha chiamato una «scuola della preghiera», che sarà proposta nel corso di numerose udienze del mercoledì, Benedetto XVI ha continuato a riflettere l’11 maggio sul ruolo della preghiera nella storia. Una riflessione, ha detto, fondamentale oggi «in un’epoca in cui sono evidenti i segni del secolarismo.

          Dio sembra sparito dall’orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti». Ma le teorie della secolarizzazione non descrivono completamente il contesto contemporaneo. Ci sono anche «molti segni che ci indicano un risveglio del senso religioso, una riscoperta dell’importanza di Dio per la vita dell’uomo, un’esigenza di spiritualità, di superare una visione puramente orizzontale, materiale della vita umana».

          Anzi, le teorie illuministe che prevedano l’estinzione come futuro della religione sono a loro volta cadute in discredito, sconfitte non da nuove teorie ma dai fatti. «Guardando alla storia recente, è fallita la previsione di chi, dall’epoca dell’Illuminismo, preannunciava la scomparsa delle religioni ed esaltava una ragione assoluta, staccata dalla fede, una ragione che avrebbe scacciato le tenebre dei dogmatismi religiosi e avrebbe dissolto il “mondo del sacro”, restituendo all’uomo la sua libertà, la sua dignità e la sua autonomia da Dio». Del resto, il mondo nuovo illuminista grondava a sua volta di lacrime e di sangue: «l’esperienza del secolo scorso, con le due tragiche Guerre mondiali ha messo in crisi quel progresso che la ragione autonoma, l’uomo senza Dio sembrava poter garantire».

          La storia mostra che «non c’è stata alcuna grande civiltà, dai tempi più lontani fino ai nostri giorni, che non sia stata religiosa». Questa conclusione sociologica riposa su una sicura base antropologica: «L’uomo è per sua natura religioso, è homo religiosus come è homo sapiens e homo faber». Non si tratta di un dato di cultura, ma di natura: «L’immagine del Creatore è impressa nel suo essere ed egli sente il bisogno di trovare una luce per dare risposta alle domande che riguardano il senso profondo della realtà; risposta che egli non può trovare in se stesso, nel progresso, nella scienza empirica. L’homo religiosus non emerge solo dai mondi antichi, egli attraversa tutta la storia dell’umanità. A questo proposito, il ricco terreno dell’esperienza umana ha visto sorgere svariate forme di religiosità, nel tentativo di rispondere al desiderio di pienezza e di felicità, al bisogno di salvezza, alla ricerca di senso. L’uomo “digitale” come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena».

          Ancora una volta, il dato che si ricava dall’esperienza conferma quello che deriviamo dalla ragione, la quale ci permette di concludere che «la vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità, alla quale tendiamo tutti, è proiettata spontaneamente verso il futuro, in un domani ancora da compiersi». La stessa presenza di tante religioni, che pure pone problemi teologici complessi – sul punto, il Papa si è riferito alla dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II –, conferma che «l’uomo sa che non può rispondere da solo al proprio bisogno fondamentale di capire. Per quanto si sia illuso e si illuda tuttora di essere autosufficiente, egli fa l’esperienza di non bastare a se stesso. Ha bisogno di aprirsi ad altro, a qualcosa o a qualcuno, che possa donargli ciò che gli manca, deve uscire da se stesso verso Colui che sia in grado di colmare l’ampiezza e la profondità del suo desiderio».

          Chiuso nel cerchio dell’immanenza l’uomo non si spiega. «L’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio». Che cos’è, allora, la preghiera? È la manifestazione della consapevolezza che con Dio si può parlare: «l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare. San Tommaso d’Aquino [1225-1274], uno dei più grandi teologi della storia, definisce la preghiera “espressione del desiderio che l’uomo ha di Dio”. Questa attrazione verso Dio, che Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della preghiera, che si riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo, il momento, la grazia e persino il peccato di ciascun orante. La storia dell’uomo ha conosciuto, in effetti, svariate forme di preghiera, perché egli ha sviluppato diverse modalità d’apertura verso l’Altro e verso l’Oltre, tanto che possiamo riconoscere la preghiera come un’esperienza presente in ogni religione e cultura».

          Quello che sta a cuore al Papa è affermare che la presenza pressoché universale della preghiera delle storia non si spiega con semplici ragioni culturali. Non si prega perché si vive in una società religiosa, né solo perché qualcuno ci ha insegnato a pregare. Si prega perché Dio ha deposto nel cuore di ogni persona umana l’aspirazione a rivolgersi a Lui. Pertanto «la preghiera non è legata ad un particolare contesto, ma si trova inscritta nel cuore di ogni persona e di ogni civiltà». Naturalmente, qui il Pontefice parla «della preghiera come esperienza dell’uomo in quanto tale, dell’homo orans», da tenere distinta da quelle «serie di pratiche e formule» che sono invece specifiche di una data religione.

          Se però «la preghiera ha il suo centro e affonda le sue radici nel più profondo della persona», allora essa «non è facilmente decifrabile e, per lo stesso motivo, può essere soggetta a fraintendimenti e a mistificazioni. Anche in questo senso possiamo intendere l’espressione: pregare è difficile». Se l’aspirazione universale alla preghiera è una cosa buona, possono esserci modi di pregare sbagliati e perfino mistificanti. «Infatti, la preghiera è il luogo per eccellenza della gratuità, della tensione verso l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile. Perciò, l’esperienza della preghiera è per tutti una sfida, una “grazia” da invocare, un dono di Colui al quale ci rivolgiamo».

          E tuttavia, ha spiegato il Papa, l’atteggiamento di preghiera è di per sé un valore. «Nella preghiera, in ogni epoca della storia, l’uomo considera se stesso e la sua situazione di fronte a Dio, a partire da Dio e in ordine a Dio, e sperimenta di essere creatura bisognosa di aiuto, incapace di procurarsi da sé il compimento della propria esistenza e della propria speranza. Il filosofo Ludwig Wittgenstein [1889-1951] ricordava che “pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori del mondo”». È molto significativo che il Papa citi un filosofo non cattolico che, dopo avere dato l’impressione di avere chiuso il mondo in una rigida impalcatura di regole logiche, si convinse che le cose più importanti per la vita non risiedono all’interno di questa impalcatura ma nella sfera – da lui chiamata «mistica» - che le rimane esterna e inattingibile.

          Il Pontefice ha voluto anche sottolineare che «la preghiera ha una delle sue tipiche espressioni nel gesto di mettersi in ginocchio», qualche cosa che può apparire molto semplice ma che in realtà non lo è. Quello d’inginocchiarsi «è un gesto che porta in sé una radicale ambivalenza: infatti, posso essere costretto a mettermi in ginocchio – condizione di indigenza e di schiavitù –, ma posso anche inginocchiarmi spontaneamente, dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro». Nel secondo caso, «in questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente».

          Se è vero che la preghiera è presente in tutte le religioni, «tuttavia solo nel Dio che si rivela trova pieno compimento il cercare dell’uomo. La preghiera che è apertura ed elevazione del cuore a Dio, diviene così rapporto personale con Lui. E anche se l’uomo dimentica il suo Creatore, il Dio vivo e vero non cessa di chiamare per primo l’uomo al misterioso incontro della preghiera». Qui, di fronte a «Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, impariamo a riconoscere nel silenzio, nell’intimo di noi stessi, la sua voce che ci chiama e ci riconduce alla profondità della nostra esistenza, alla fonte della vita, alla sorgente della salvezza, per farci andare oltre il limite della nostra vita e aprirci alla misura di Dio, al rapporto con Lui, che è Infinito Amore».

Massimo Introvigne

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