L'assuefazione e la rassegnazione sembrano contaminare molte comunità, lambiscono anche la comunità cristiana tentata anch'essa dall'accidia, vera e propria malattia del cuore. Gesù “organizza” la speranza, fa dividere la folla in gruppi e poi recita la benedizione.
del 10 giugno 2010
 
             Sono vari i punti di vista da cui partire per “raccontare” e leggere il documento preparatorio in vista della prossima Settimana sociale di Reggio Calabria. Vorrei soffermarmi su alcune parole che attraversano il testo e sulle quali più volte il Comitato si è confrontato.
 
 
             Un`operazione verità anzitutto, che propone di uscire da quel politicamente corretto che induce all’uniformismo e sospinge i punti di vista troppo franchi ai margini del dibattito pubblico, quel politicamente corretto che inneggia ai valori ma praticandoli assai poco. E che ripropone quel noioso refrain del non-va-poi-così-male che cloroformizza il pensiero critico, il desiderio e la voglia di rischiare una intrapresa.
             L’assuefazione e la rassegnazione sembrano contaminare molte comunità, lambiscono anche la comunità cristiana tentata anch’essa dall’accidia, vera e propria malattia del cuore. Operazione verità sul nostro Paese per indicarne i limiti, le responsabilità spesso molto diffuse e i mali che lo attanagliano, come annota tra l’altro il documento ultimo della Cei sul Mezzogiorno. Debito pubblico fuori misura seppure sotto controllo, scarto drammatico tra generazioni, corporazioni e privilegi diffusi, Paese spaccato e disomogeneo, Paese in cui le libertà economiche sono minacciate dall’illegalità ma anche da tanta e troppa burocrazia, Paese che non vede diminuire le povertà e spreca risorse ingenti per politiche sociali che difendono gli insider, i cittadini già ben protetti.
             Ma l’operazione verità è anche un’operazione spirituale, un discernimento che permette di guardare oltre le difficoltà immediate e comprendere ciò che Gesù si aspetta da noi. Un discernimento che porterà frutto solo se guidato e ispirato dallo Spirito Santo donato e promesso alla Chiesa, e che opera misteriosamente soprattutto all’interno delle debolezze degli uomini e della stessa comunità cristiana. Un discernimento che non produce solo denuncia ma che sa osare coraggiosamente la novità cristiana nella storia concreta degli uomini. Come far sì che la realtà fraterna dell’essere figli di Dio ispiri forme di vita che attestino il senso dell’esistenza umana?
             E’ questa la dimensione fondativa della prossima Settimana sociale impegnata a comprendere i segni dei tempi, le speranze che albergano nelle comunità locali, le esperienze che stanno costruendo bene comune. Nel testo riecheggia spesso la parola realismo, realismo cristiano che partendo dal poco, dalle debolezze appunto, sa guardare oltre. “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta” dicono i discepoli a Gesù nell’episodio eucaristico della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sano realismo diremmo oggi. Ma non è il realismo cristiano di cui stiamo parlando. E infatti Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Una chiamata diretta alla responsabilità dei discepoli, quasi perentoria, senza appello. Immagino i volti stupiti dei discepoli, che rispondono, forse balbettando, “non abbiamo che cinque pani e due pesci”.
             Gesù “organizza” la speranza, fa dividere la folla in gruppi e poi recita la benedizione. Conosciamo la conclusione della vicenda: dal quel poco mangiarono tutti a sazietà, non solo, avanzarono dodici “ceste di speranza”. Ecco perché il testo preparatorio conclude riproponendo il nesso profondo tra eucaristia e impegno dei cristiani a spezzare il proprio pane per la città degli uomini. “Gesù li spezzò (i pani) e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”: ecco, la festa del Corpus Domini appena celebrata è davvero la festa dei “cristiani spezzati”, impegnati a costruire fraternità e a testimoniare il bello, il giusto e il buono dell’esistenza umana.
Edoardo Patriarca
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