Se i diritti sono reali (e non mere e vaghe aspirazioni) e vanno tutelati e promossi come tali, ne segue che è inaccettabile leggerli in chiave puramente pragmatica o peggio ancora relativistica: questo infatti è un modo di indebolirli e alla lunga di negarli.
del 21 aprile 2008
Il discorso di Benedetto XVI all’Assemblea plenaria dell’Onu costituisce un esempio rilevante di come debba essere correttamente impostato un discorso antropologico. Il Papa comincia coll’elogiare i principi fondativi che stanno alla base delle Nazioni Unite: la pace e la giustizia, il rispetto per la persona, la cooperazione umanitaria, l’assistenza, la sicurezza, lo sviluppo, la protezione dell’ambiente, la riduzione delle disuguaglianze. Principi elevati e nobili, facilmente condivisibili da parte di tutti, ma di per sé - osserva non coincidenti con il 'bene comune totale' della famiglia umana. Per perseguirli adeguatamente, infatti, bisogna fare uno sforzo ulteriore, leggere questi principi in un contesto di libertà, al fine di riconoscere che la libertà vive soltanto nella correlazione tra diritti e doveri, nella relazionalità interpersonale, nell’assunzione del principio di responsabilità, colpevolmente ignorato da quegli scienziati che pretendono di svincolare dall’'ordine della creazione' il loro operato. In un contesto di responsabilità, quale quello auspicato dal Papa, ciò che si impone è piuttosto la necessità di adottare metodi scientifici rispettosi degli imperativi etici.
  Il tema della responsabilità richiede però un ulteriore approfondimento, il cui primo passo è compiuto da Benedetto XVI col richiamo al nuovo principio della 'responsabilità di proteggere' (spesso espresso tramite l’acronimo 'R2P'). Quando i singoli Stati si manifestano incapaci di difendere la dignità e i diritti dell’uomo, è necessario che di tale protezione si faccia carico la comunità internazionale (naturalmente attraverso il rigoroso rispetto dei mezzi giuridici previsti dalle stesse Nazioni Unite). Il Papa è consapevole delle obiezioni che vengono mosse alla R2P e che si condensano nell’affermazione che essa si potrebbe tradurre in una inaccettabile limitazione della sovranità degli Stati. Sono però obiezioni superabili: di fronte alla violazione dei diritti, 'è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale'. Si noti la semplicità e insieme la forza di questa affermazione: i diritti non vivono nel cielo degli ideali, ma nella concretezza di questa terra e chiedono di essere difesi concretamente.
  Il discorso continua ad allargarsi. Se i diritti sono reali (e non mere e vaghe aspirazioni) e vanno tutelati e promossi come tali, ne segue che è inaccettabile leggerli in chiave puramente pragmatica o peggio ancora relativistica: questo infatti è un modo di indebolirli e alla lunga di negarli. Il preteso realismo di chi ritiene che i diritti, non avendo una loro intrinseca 'verità', andrebbero continuamente adattati a contesti culturali, etnici, religiosi differenti, o ridotti al rango di meri principi procedurali, produce inevitabilmente la loro erosione interna. Non si riesce più a comprendere, infatti, perché dovrebbero avere forza vincolante tante proclamazioni internazionali, qualora i diritti fossero ridotti a 'deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale', avulsi dal radicamento nella giustizia.
  Ma il discorso non può terminare qui: è necessario compiere un ultimo passo, il più difficile, ma anche il più importante. Non basta affermare i diritti, non basta riconoscere che essi devono essere concretamente difesi, non basta nemmeno stabilirne un assoluto radicamento nella giustizia, se viene a mancare quell’indispensabile discernimento che consente, nel procedere della storia, di distinguere il bene dal male e di orientare conseguentemente l’agire degli Stati, così come degli individui. Per attivare tale discernimento, afferma il Papa, è indispensabile il riconoscimento del valore trascendente e in ultima istanza religioso di ogni essere umano. Spetta alle Nazioni Unite sostenere, come esse effettivamente fanno, il dialogo interreligioso, così come spetta ai credenti proporre la loro fede non in termini di violenza e intolleranza, ma di rispetto per la verità, di coesistenza, di riconciliazione. Il richiamo alla libertà religiosa, che conclude la parte dottrinale del discorso del Papa, va ben al di là del richiamo al rispetto di un diritto umano fondamentale (anzi, del primo e del più importante di tutti i diritti): esso implica il riconoscimento del carattere individuale e al tempo stesso comunitario dell’ unità della persona umana. La costruzione dell’ordine sociale ha bisogno di ambedue questi pilastri; la dimensione del cittadino e quella del credente non possono assolutamente essere confuse, ma tra le due non è nemmeno lecito erigere steccati, pena il rischio di smarrire la dimensione comunionale delle persone e di favorire un approccio individualistico alla logica dei diritti, che inevitabilmente frammenterebbe l’unità della persona. È un monito, questo del Papa, particolarmente grave, sul quale dovrebbe concentrarsi l’attenzione di tutti coloro ai quali il bene umano sta sinceramente a cuore.
Francesco D’Agostino
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