È meglio non parlarne se non si è capaci di perdono: Dio è grande perché perdona, dimentica e non rinfaccia. È meglio non parlarne se non si ama, perché Dio è amore e chi non ama nega la non esistenza. È meglio non parlarne se non si è uomini di speranza, perché Dio è Speranza. Il rischio di parlare di Lui è grande se si disprezza la verità, se si è doppi nel cuore, se ci si crede giusti dinanzi a Lui e agli uomini, se ci si sente superiori agli altri per razza, per soldi, se non si vive in comunione con la gente...
del 19 gennaio 2008
È meglio non parlarne se non si è capaci di perdono: Dio è grande perché perdona, dimentica e non rinfaccia. È meglio non parlarne se non si ama, perché Dio è amore e chi non ama nega la non esistenza. È meglio non parlarne se non si è uomini di speranza, perché Dio è Speranza.
Il rischio di parlare di Lui è grande se si disprezza la verità, se si è doppi nel cuore, se ci si crede giusti dinanzi a Lui e agli uomini, se ci si sente superiori agli altri per razza, per soldi, se non si vive in comunione con la gente... Allora chi può parlare di Dio, quando ai suoi occhi non siamo esenti dal peccato e non possiamo scagliare pietre su nessuno, perché gli stessi santi non lo possono fare? Eppure Dio, facendosi Uomo, venendo in mezzo a noi, ha voluto avere bisogno di noi, ci ha mandati per il mondo a portare il suo Vangelo, ha scelto peccatori come Pietro, che lo ha tradito, come Paolo che si considerava l’aborto degli uomini!
Essi hanno corso il rischio di parlare di Dio, riconoscendosi servi inutili, figli suoi, da Lui perdonati, amati, salvati. Fin dalle origini Dio ha scelto i deboli per abbattere i potenti, i fragili per confondere i superbi...
Non ha scelto «i perfetti» Colui che ama i peccatori, si rivolge loro perché cambino il cuore di pietra in cuore di carne. Possiamo correre il rischio di parlare di Dio, se diamo spazio a Lui, liberandoci dal male che è in noi, se cerchiamo di essere un raggio del suo Amore: «Dicono che l’amore è una prova di te. Forse è per quello che non ti ho incontrato, non sono mai stato amato in modo da sentire la tua presenza».
Così scriveva un ragazzo di 15 anni, che non sapeva pregare perché nessuno glielo aveva insegnato mai e implorava di incontrare «un amore fedele, generoso, disinteressato», che fosse l’immagine di Dio. Solo chi ama, può correre il rischio di parlare di Dio, senza deformarne l’Immagine, senza essere un istrione, uno che dice parole e poi non le vive.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di testimoni per «salvare Dio» in un mondo che tende ad eliminarlo. «Fare di Cristo il cuore del mondo» è il compito che riguarda tutti noi, preti e laici, assediati da scienza e tecnologia, economia e politica, da nuove culture che mettono alla prova la nostra fede.
Si assiste purtroppo ad una diminuita passione per l’animazione cristiana del mondo: è tempo invece di uscire dal nostro isolamento e di parlare di Dio in famiglia, nella realtà in cui viviamo, se Lo vogliamo salvare!
È la preoccupazione che hanno i nostri missionari, quando, rientrando in Italia, trovano tanta indifferenza e tanta chiusura nei nostri ambienti di Chiesa, dove si ha timore di una testimonianza pubblica della fede: «Essa rischia, infatti di essere percepita come un fatto privato senza rilievo pubblico, limitata a rapporti corti e gratificanti all’interno di un gruppo, oppure di essere ridotta ad una proclamazione di valori senza mostrare come la Fede trasformi la vita concreta» (Dalla Traccia di riflessione del Convegno ecclesiale di Verona, ottobre 2005).
Parlare di Dio è un rischio ma i nostri ragazzi ce lo chiedono? Non molto se guardiano alle tante ricerche sulla condizione giovanile, dove le prime domande non sono legate al problema di Dio. Non parlarne tuttavia, sarebbe un tradimento nei loro confronti: nel tempo, non ce lo perdonerebbero tanto facilmente!
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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