I leader di sei partiti diversi che si incontrano tutti insieme per la prima volta da chissà quando.
I leader di sei partiti diversi che si incontrano tutti insieme per la prima volta da chissà quando. Basta questo a fare notizia. Cinque in presenza: Giuseppe Conte (M5S), Enrico Letta (PD), Maurizio Lupi (Noi per l’Italia), Ettore Rosato (IV), Matteo Salvini (Lega), Antonio Tajani (FI); solo Giorgia Meloni (FdI) costretta da altri impegni nel suo, a collegarsi on line. Aggiungasi che i sei hanno dibattuto su temi di fondo e di attualità per quasi due ore e mezza, sottolineando convergenze e divergenze, senza scagliarsi anatemi e senza vaffa. E anche questa è notizia. Tema dell’incontro: “Il ruolo dei partiti nella democrazia oggi”. Moderatore: Michele Brambilla, direttore del Quotidiano nazionale.
Il primo giro di tavolo è un “fuori programma” di bruciante attualità: la posizione sull’Afghanistan: ne riferiamo nel box a fondo pagina. Poi si entra nel tema, introdotto dal presidente della Fondazione per la sussidiarietà, Giorgio Vittadini. «La democrazia è un’amica fragile, per riprendere il titolo di un numero recentissimo della nostra rivista “Nuova Atlantide”. Il 56% degli italiani se ne dice deluso. «Va bene pensare che dei partiti non c’è più bisogno – è la prima domanda di Brambilla – o c’è una esperienza da non buttare via?”.
Conte è per una organizzazione politica che si pretenda portatrice di una visione generale del mondo, che sia anche capillare sul territorio ma leggera, grazie alla rete, e rigorosa nel rispetto dell’etica pubblica. Letta vede una democrazia “malata”: tre governi con tre maggioranze diverse in tre anni di legislatura, 200 cambi di casacca in Parlamento. Indicazioni: limitare il trasformismo parlamentare, ripristinare le preferenze, dare più spazio alle donne. Per Lupi è in crisi la capacità di rappresentanza dei partiti, di coniugare la “parte” con il bene comune. «Non pura ricerca del consenso, ma idealità e gratuità. Non abbandono dei corpi intermedi, ma scommessa sulla libertà e responsabilità”. Per GiorgiaMeloni senza visione non c’è forza politica degna: «Senza identità non si fa dialogo, si diventa violenti nel discorso pubblico”. I partiti per esistere devono essere “pesanti”, cioè vissuti in carne ed ossa (all’opposto dell’idea di Conte). Bene Letta sulle preferenze: se non è un bluff, lo dimostri. Per Ettore Rosato occorre aprire ai giovani e alle donne, e selezionare le classi dirigenti investendo soprattutto sugli amministratori locali. Partito pesante anche per Salvini: «Noi con 1500 sedi locali con la gente protagonista”. La politica soffre lo squilibrio dei poteri: «Oggi il potere giudiziario decide in nome e per conto di tutti”. Da cui le proposte referendarie. Infine, anche Antonio Tajani rivendica la necessità che i partiti si ispirino ai valori. Come il suo: «Sono cristiano, liberale, europeista, garantista: in dubio, pro-reo”.
Secondo giro. Letta guarda avanti e si schiera per Draghi a Palazzo Chigi sino al 2023 Il confronto tra i leader evidenzia le differenti posizioni, alcuni molto distanti, altre più componibili, forse. La bozza di decreto Orlando sulla delocalizzazione delle imprese, criticata da Tajani come punitiva, trova una difesa dovuta da parte di Letta, che però stempera auspicando per questo autunno un nuovo Patto sociale sul modello di quanto fece Ciampi nel 1993. Quello che ne esce peggio è il reddito di cittadinanza: i più ne denunciano il fallimento in quanto disincentiva lavoro e imprese, Conte ovviamente lo difende aprendo a modifiche.
Chiude Vittadini con un appello stile Francesco: la politica ricominci respirando l’odore delle pecore, la gente che vive, educa, lavora, assiste, crea imprese e opere a vantaggio di tutti.
Non stiamo a riferire le divergenze su vaccini e green pass: niente di nuovo. Se non l’invito di Letta: “Applichiamo in tutta Italia il metodo Meeting: libertà nelle regole”.
tratto da meetingrimini.org
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