Il martirio dei due Confratelli Versiglia e Caravario, ci offre l'opportunità per tante riflessioni spirituali. Vi invito ad approfondire il misterioso tema della “passione”: appartiene all'essenza stessa della vita cristiana. Lo spirito che ci ha lasciato in eredità Don Bosco è costantemente permeato da un continuo “martirio di carità e di sacrificio”...
del 25 febbraio 2012
Tweet !function(d,s,id){var js,fjs=d.getElementsByTagName(s)[0],p=/^http:/.test(d.location)?'http':'https';if(!d.getElementById(id)){js=d.createElement(s);js.id=id;js.src=p+'://platform.twitter.com/widgets.js';fjs.parentNode.insertBefore(js,fjs);}}(document, 'script', 'twitter-wjs');
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          Alla scuola di Don Bosco questo stile è contrassegnato dalla luce del “da mihi animas”, portata fino alle estreme conseguenze. Si tratta di una vita apostolica vissuta i n una mistica di martirio incruento, per rendersi veramente conformi a Cristo nel dono totale di sé per il Regno.
San Luigi Versiglia
          Fra i martiri canonizzati il 1° ottobre dell’anno giubilare del 2000, papa Giovanni Paolo II ha proclamato santi due membri della Famiglia Salesiana, monsignor Luigi Versiglia e padre Callisto Caravario, che insieme furono assassinati dalla furia dei briganti, che odiavano i missionari.Luigi Versiglia nacque il 5 giugno 1873 a Oliva Gessi, in provincia di Pavia; a 12 anni venne mandato a Torino a studiare alla scuola di san Giovanni Bosco, il quale, in un fugace incontro nel 1887, gli disse: «Vieni a trovarmi ho qualcosa da dirti», ma don Bosco non potè più parlare con Luigi perché si ammalò e morì. Il giovane era legatissimo alla figura di don Bosco, tanto che, per rispondere alla chiamata vocazionale, decise a 16 anni di emettere i voti religiosi nella congregazione dei Salesiani.
          Dopo aver completato gli studi superiori, frequentò la Facoltà di Filosofia all’Università Gregoriana di Roma e le ore libere le trascorreva fra i giovani. Venne ordinato sacerdote nel 1895 a soli 22 anni. L’anno dopo fu nominato direttore e maestro dei novizi nella Casa di Genzano di Roma, carica che tenne per dieci anni, durante i quali si distinse per le notevoli capacità formative sui futuri sacerdoti.Fin dal principio la sua aspirazione era quella di raggiungere le missioni per portare Cristo ai popoli, aspirazione che si realizzò a 33 anni, diventando il responsabile dei primi Salesiani che nel 1906, con coraggio e fede indomita, partirono alla volta della lontanissima, per quei tempi molto più di oggi, nazione cinese.
          Padre Versiglia si stabilì a Macao dove fondò la Casa Madre dei Salesiani, che divenne un attivo centro di apostolato e di fede per tutti i cattolici della città e dove il missionario si occupò con grande amore dei bambini soli. Nella città era da tutti conosciuto come il «padre degli orfani».Aprì la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung, nel sud della Cina, della quale nel 1920 venne nominato e consacrato primo vescovo e Vicario Apostolico. Fu un vero pastore, completamente dedito ai fedeli e nonostante le molte difficoltà, in un tempo di gravi tensioni sociali e politiche, che culmineranno con la nascita della nuova Repubblica cinese, il Vescovo riuscì a dare una solida struttura alla diocesi, realizzando un seminario, alcune case di formazione, delle residenze, un orfanotrofio, scuole, casa di riposo per anziani e lavorando notevolmente nell’opera catechistica. Monsignor Versiglia fu un vero maestro, padre e pastore dall’enorme anima caritatevole, un punto di riferimento sia per i sacerdoti salesiani che per i cinesi, nel quale riconoscevano la dedizione totale e disinteressata.Intanto la situazione politica in Cina era alquanto agitata: la nuova Repubblica Cinese, nata il 10 ottobre 1911, con il generale Chang Kai-shek, aveva riportato all’unità la Cina, sconfiggendo nel 1927 i signori della guerra che tiranneggiavano varie regioni. Ma la pesante infiltrazione comunista nella nazione e nell’esercito, sostenuta dall’Unione Sovietica di Stalin, aveva persuaso il generale ad appoggiarsi alla destra e a dichiarare fuori legge i comunisti (aprile 1927), avviando così una feroce guerra civile.
          La provincia di Shiu-Chow di monsignor Luigi Vermiglia era territorio di fitto passaggio e di sosta dei vari gruppi combattenti, perciò divennero frequenti i furti e le violenze perpetrate anche ai danni di coloro che venivano definiti «diavoli bianchi», cioè i missionari, amati dalla gente più povera, che spesso trovava, proprio nelle Missioni, il rifugio da ladri, assassini e dai loro saccheggi. I più temibili erano i pirati e la soldataglia comunista, per la quale la distruzione del Cristianesimo era un dovere programmato. In questo contesto di terrore, le attività missionarie subirono un forte danno, soprattutto quando si trattava di spostasi nei vari e sparsi villaggi: le catechiste e le maestre non si mettevano in viaggio se non accompagnate dai missionari; d’altronde per il pericolo incombente sia sulle vie di terra che sui fiumi, il Vescovo Luigi Versiglia non aveva più potuto visitare i cristiani della missione di Lin-Chow (villaggio di 40 mila abitanti, devastato dalla guerra civile), composta da due piccole scuole e duecento fedeli, tuttavia, verso la fine del gennaio 1930, il Vescovo, dopo molta attesa, decise di partire per non lasciare più solo il suo piccolo gregge, affidandosi unicamente alla volontà di Dio.
San Luigi Caravario
          Nel 1885 san Giovanni Bosco aveva rivelato ai Salesiani riuniti a San Benigno Canavese, in Piemonte, di aver sognato una turba di ragazzi che gli erano andati incontro dicendogli: «Ti abbiamo aspettato tanto» e in un altro sogno vide alzarsi verso il cielo due grandi calici, l’uno ripieno di sudore e l’altro di sangue. Quando nel 1918 il gruppo di missionari Salesiani partì da Valdocco, in Torino, alla volta di Schiu-Chow nel Kwang-tung in Cina, il Rettor Maggiore dell’ordine, don Paolo Albera, donò loro il calice con il quale aveva celebrato le sue nozze d’oro di consacrazione ed i 50 anni del Santuario di Maria Ausiliatrice. Il prezioso e simbolico dono venne consegnato da don Sante Garelli a monsignor Versiglia, il quale dichiarò: «Don Bosco vide che quando in Cina un calice si sarebbe riempito di sangue, l’Opera Salesiana si sarebbe meravigliosamente diffusa in mezzo a questo popolo immenso. Tu mi porti il calice visto dal Padre: a me il riempirlo di sangue per l’adempimento della visione».
          In 12 anni di missione, dal 1918 al 1930, il Vescovo Versiglia riuscì a compiere prodigi in una terra del tutto nemica dei cattolici: istituì 55 stazioni missionarie primarie e secondarie rispetto alle 18 trovate; ordinò 21 sacerdoti, due religiosi laici, 15 suore del luogo e 10 straniere; lasciò 31 catechisti (18 donne), 39 insegnanti (8 maestre) e 25 seminaristi. Portò al battesimo tremila cristiani convertiti, a fronte dei 1.479 trovati al suo arrivo. Eresse un orfanotrofio, una casa di formazione per catechiste, una scuola per catechisti sia femmine che maschi; l’istituto Don Bosco, comprensivo delle scuole professionali, complementari e magistrali per i ragazzi; l’Istituto Maria Ausiliatrice per le ragazze; un ricovero per gli anziani; un brefotrofio, due dispensari per medicinali e la Casa del missionario, come desiderava fosse chiamato l’episcopio.
          Il Vescovo martire non si fermava mai di fronte a nulla, neppure alle carestie, alle epidemie, alle sconfitte che si presentavano al coraggioso monsignore e ai suoi collaboratori, non sempre umanamente ricompensati: apostasie, calunnie, abbandoni, incomprensioni, viltà… Ma tutto veniva superato grazie alla preghiera, intensa, costante, significante. Negli anni dedicati alla Cina, monsignor Versiglia non si è mai stancato di esortare i suoi sacerdoti al dialogo con il Signore e con la Vergine Maria. Non a caso teneva una corrispondenza con le monache Carmelitane di Firenze, domandando loro sostegno spirituale. Leggiamo nell’ultima sua lettera inviata alla superiora delle Carmelitane, scritta poche settimane prima della morte: «… solleviamo in alto i nostri cuori, dimentichiamo di più noi stessi e parliamo di più di Dio, del modo di servirlo di più, di consolarlo di più, del bisogno e del modo di guadagnargli delle anime. Voi, Sorelle, potrete più facilmente parlare a noi delle finezze dell’amore di Gesù, noi forse potremo parlare a voi della miseria di tante anime, che vivono lontano da Dio e della necessità di condurle a Lui; noi ci sentiremo elevati all’amore a Dio, voi vi sentirete maggiormente spinte allo zelo».
          Fra coloro che lo sostenevano in quell’impresa impavida votata alla salvezza delle anime (il fine reale di ogni sacerdote e di ogni consacrato, anche se è un concetto che abitualmente non si sente più, dando rilievo, invece, a concezioni di carattere più economico-sociali che spirituali) e consequenzialmente alla dignità dell’uomo, come è sempre accaduto con l’evangelizzazione e la diffusione del cristianesimo, c’era anche il giovane don Callisto Caravario, nato a Cuorgnè (Torino) l’ 8 giugno 1903.La sua famiglia si era trasferita a Torino e qui il piccolo Callisto poté frequentare l’oratorio e la scuola dei Salesiani fino agli studi del Liceo classico. Nel 1919, sedicenne, conobbe monsignor Versiglia, di passaggio a Torino, al quale rivelò: «La seguirò in Cina». Così avvenne. Si imbarcò a Genova a 21 anni. Prima lavorò in Estremo Oriente, nell’isola di Timor, poi a Shangai e infine a Schiu Chow, dove fu ordinato sacerdote da monsignor Versiglia nel 1929. Egli ha lasciato delle splendide e struggenti lettere alla mamma, dove si può ammirare tutto il suo amore per Dio e per il quale era pronto a qualsiasi cosa, anche al sacrificio supremo della vita: «Oramai il tuo Callisto non è più tuo, deve essere completamente del Signore, dedicato completamente al suo servizio! […] Sarà breve o lungo il mio sacerdozio? Non lo so, l’importante è che io faccia bene e che presentandomi al Signore io possa dire d’aver, col suo aiuto, fatto fruttare le grazie che Egli mi ha dato». Si presentò al Signore con i suoi frutti già l’anno successivo, sacerdote di otto mesi.
          Il Vescovo Luigi Versiglia e don Callisto Caravario partirono il 24 febbraio in treno insieme a due allievi del Collegio Don Bosco, che tornavano a casa per le vacanze, due loro sorelle ed una catechista insegnate. La situazione politico-sociale era turbolenta a causa di continue guerriglie che tormentavano i territori del sud della Cina: da tempo il Vescovo attendeva tempi migliori per la sua visita pastorale ai cristiani di Lin Chow. Alla fine del 1930 partì ugualmente perché «Se aspettiamo che le vie siano sicure, non si parte più… No no, guai se la paura prende il sopravvento! Sarà quel che Dio vorrà!».
          Il giorno 25 proseguono il viaggio in barca sul fiume Pak-kong. Poi una breve sosta a Ling Kong How. A mezzogiorno traghettano nuovamente il fiume, diretti a Li Thau Tzeui. Stanno recitando l’Angelus, quando improvvisamente dalla riva esplode un urlo selvaggio. Una decina di uomini, con i fucili puntati, intimano all’imbarcazione di approdare alla riva. Il barcaiolo è costretto ad obbedire. «Sotto quale protezione viaggiate?», gli chiedono e il barcaiolo: «Di nessuno, mai nessuno l’ha imposta ai missionari…». Due uomini si avventano sull’imbarcazione e scoprono, sotto il tettuccio di riparo, le tre donne, che vogliono portare via, ma monsignor Luigi e don Callisto le difendono, facendo barriera. I criminali, urlando, brandiscono con violenza il calcio dei fucili sui loro corpi, che cadono atterra. Il Vescovo ha la forza di esortare Maria Thong: «Aumenta la tua fede», mentre don Callisto mormora: «Gesù… Maria!». I missionari vengono legati e trascinati in un bosco. Un bandito afferma: «Bisogna distruggere la Chiesa Cattolica».
          Monsignor Luigi e don Callisto comprendono che è giunto il tempo di testimoniare con la vita la fede in Cristo. Sono sereni. Si mettono a pregare ad alta voce, in ginocchio e guardando in alto. Cinque colpi di fucile interrompono la loro lode estatica.
          I due allievi con le tre giovani avevano udito e visto tutto e tutto testimonieranno. Le donne, in lacrime, dovettero seguire i loro aggressori, mentre i ragazzi furono obbligati ad andarsene senza voltarsi indietro. Le spoglie dei martiri furono raccolte e sepolte a Schiu Chow, poi dissepolte e disperse.
          Papa Paolo VI nel 1976 li dichiarò martiri e Giovanni Paolo II il 15 maggio 1983 li ha beatificati per poi proclamarli santi il 1° ottobre 2000, insieme ad altri 120 martiri cattolici.
Don Egidio Viganò
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