Sfuggire al silenzio spesso significa fuggire da se stessi e dalle proprie responsabilità; paura di guardare in faccia le difficoltà; ubriacarsi di superficialità, disperdersi, dilazionare.
Il silenzio ambientale
Il silenzio di solito è inteso come una “condizione ambientale definita dall’assenza di perturbazioni sonore” (Devoto – Oli). In alcuni momenti della vita, un luogo silenzioso può essere desiderato come un’oasi; in altre, invece, può suscitare paura, repulsione ed essere sfuggito.
Gli adolescenti e i giovani sono generalmente attratti da ambienti con giochi movimentati, canzoni e musiche assordanti, incontri facili; ambienti che suscitano emozioni in grado di placare momentaneamente tensioni e angosce, di distogliere da preoccupazioni, di distrarre, salvo poi ritrovarsi di fronte alle difficoltà senza soluzioni. Sfuggire al silenzio spesso significa fuggire da se stessi e dalle proprie responsabilità; paura di guardare in faccia le difficoltà; ubriacarsi di superficialità, disperdersi, dilazionare.
Ogni tanto, un po’ di “stordimento” non fa male. Potrebbe, se non altro, far apprezzare maggiormente il valore del silenzio. Rompere la monotonia del quotidiano, scandire i tempi con la festa, il gioco, la musica, …è doveroso, sano, sacro.
Quello che nuoce a una crescita armonica è l’essere continuamente esposti alle parole, al chiasso, alle musiche assordanti e la ricerca ossessiva di tutto questo.
Senza spazi e tempi di silenzio, non è possibile mettersi in contatto con se stessi e con la natura, elaborare una identità personale integra, piena e dare una direzione alla propria vita con scelte prudenti e durature; non è possibile una riflessione seria, una meditazione profonda, una preghiera di unione.
I silenzi personali
Fin da piccoli s’impara ad esprimersi con parole e con silenzi e a cogliere il significato delle une e degli altri.
A differenza delle parole che sono molte e abbastanza pertinenti ad esprimere i diversi stati d’animo, il silenzio, pur presentandosi in forme diverse, è uno.
Nella comunicazione interpersonale, interpretare adeguatamente i silenzi, è fondamentale. Quando si conoscono le persone, la lettura è relativamente facile. Nella maggioranza delle situazioni, comunque, il silenzio si rende decifrabile solo attraverso la parola dell’interlocutore. Credere di capire al volo, a volte, è solo una pretesa.
Quando si desidera comprendere il silenzio di una persona, di solito si cerca di riandare alla situazione che lo ha generato, si osserva l’atteggiamento di chi tace e si interpella rispettosamente l’interessata/o. Di fronte al figlio, alla/o studente, alla persona affidata, che non parla, il genitore, l’insegnante, la persona responsabile, si chiede e chiede: “Cosa c’è che non va? Cos’è successo?”. E, mentre interpella, pensa a cosa è accaduto prima, cosa si è detto, cosa si è fatto o non fatto. E resta in ascolto. Se, però, chi ascolta – e può succedere – pur con tutto il desiderio di comprendere, si lascia prendere dalla paura o da sensi di colpa e comincia a parlare, a spiegare le sue ragioni, può chiudere la comunicazione e lasciare spazio a penosi fraintendimenti. I silenzi sono molti, come molti sono i vissuti che li inducono. Possono essere positivi o negativi o problematici.
I grandi silenzi
Sono i profondi silenzi dell’anima nell’unione mistica, nell’estasi, nella meditazione profonda, nella preghiera di unione, nell’intesa fra amanti. È sperimentare l’incanto, lo stupore, l’attesa gioiosa dell’oltre, è vivere la comunione, ai vertici più alti, dove la razionalità non è annullata, ma è superata dall’amore e le parole diventano inutili, vacue.
I silenzi dell’empatia, della prudenza, del rispetto, della compassionecomunicazione
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Sono i silenzi di chi ascolta con attenzione e rispetto, cercando di mettersi in sintonia con colui che parla e di cogliere il suo punto di vista, per comprendere, aiutare, sostenere, guarire. Sono i silenzi di chi preferisce aggiustare un malanno piuttosto che cercare il colpevole; di chi tace per non umiliare chi è già messo in cattiva luce; di chi non vuol togliere autorità nei confronti di chi fa già fatica ad animare un gruppo, una comunità. È “lo stare” (stabat mater) di fronte a un male irreparabile, a un dolore personale indicibile; è “lo stare” colmo di compassione di fronte a chi soffre. È il silenzio dignitoso di chi, di fronte a chi crede di avere la verità e vuole avere ragione, lo preferisce a una inutile e disgustosa polemica. È il silenzio dell’offerta.
I silenzi della paura, di difesa
Come gli altri silenzi, per comprenderli, è necessario cogliere le circostanze che li hanno generati. Nei regimi totalitari, la paura, spesso, non consente di esprimere il proprio pensiero divergente, neppure ai familiari. Di fronte a genitori intransigenti, è facile che un brutto voto preso a scuola, un primo tentativo di fumare, trovino rifugio e copertura in un silenzio timoroso. Così pure, di fronte a un capo-ufficio, a un superiore, a una superiora, piuttosto autoritari e rigidi, la paura di essere rimossi o di perdere alcuni privilegi o di essere sgraditi e “presi di punta”, può far preferire un silenzio di difesa, anche se penoso. Può indurre al silenzio la paura di risposte sprezzanti e umilianti nell’interazione con persone arroganti e preferirlo a un battibecco, come pure la paura di non essere all’altezza o di disturbare. Sono pure silenzi di difesa quelli dello sprezzante che esclude, del risentito che si autoesclude, dell’arrabbiato che non si sa dove va a finire. Col tempo e in determinate circostanze, i silenzi di paura e di difesa possono trasformarsi in bugie o in atteggiamenti aggressivi.
I silenzi – lacune
Non sono facili da cogliere. Appartengono alla “normalità”, ma possono anche rasentare la patologia. Creano, comunque qualche difficoltà. Si trovano nelle narrazioni delle storie personali.
Quando una persona, nel narrare verbalmente o nello scrivere non accenna mai a uno stadio importante della sua vita o a una persona significativa con la quale ha vissuto, di solito lo fa inconsciamente per coprire un trauma, una sofferenza che, per il suo peso insopportabile è stata rimossa, eliminata dalla memoria.
Nel mio lavoro, l’ho sperimentato più volte. Un esempio. Anni fa, una studente universitaria, di vent’anni, si trovava nella difficoltà di mantenere rapporti di amicizia-innamoramento con ragazzi interessati a lei e a lei graditi. Nel narrarmi la sua storia, prima oralmente e poi nello scriverla sul suo diario, non fece un minimo cenno alle mestruazioni. Richiesta su questa lacuna, riuscì a parlarne con disagio. L’aveva vissuta come qualcosa di oscuro, di negativo. Non aveva potuto parlarne con la madre, perché, a sua volta le aveva vissute molto male. Nel corso degli incontri di chiarificazione e di sostegno, anche la madre, ancora sofferente e con sensi di colpa, sentì il bisogno di parlarne per rasserenarsi.
Silenzi-lacune di non grave entità, sono abbastanza comuni. Possono riferirsi a un genitore, a un fratello o sorella, a un parente o insegnante, a un evento. Se, con un po’ di coraggio e superando le paure sempre in agguato, si riesce a coglierli, a elaborarli e a inserirli serenamente nella propria storia, oltre che vivere meglio, ci si abilita anche ad aiutare gli altri a farlo.
I silenzi patologici
Sono generati, normalmente, da difficoltà, traumi, sofferenze che la persona non è riuscita a superare. Si tratta dei casi più gravi di depressione, del mutismo nelle sue varie forme, dell’autismo, della paura quando diventa terrore. Per l’approfondimento di questi disturbi, esiste una vasta e specializzata letteratura di facile accesso.
Silenzio e comunicazione
Il silenzio fa parte della comunicazione. È una delle sue più alte forme, nei confronti degli altri, della natura, di Dio e anche di se stessi. Nei rapporti interpersonali sociali, comunitari, educativi, saperlo interpretare adeguatamente è importante quanto comprendere le parole nel loro vero significato.
Un silenzio profondo che si fa ascolto rispettoso ed empatico, che crea spazio per l’altra/o, può cogliere, oltre alle parole, le mille sfumature dei silenzi di chi avvicina, comprese le posture e la mimica.
E le parole che emergono dopo aver affondato le radici in questo “sacro” silenzio, possono generare senso, vita, serenità, benessere e aprire orizzonti impensati sia a chi le accoglie, sia a chi le dona. Anche le apparentemente strane e incomprensibili espressioni dei giovani, come pure quelle dei “diversi” per cultura, religione, lingua, possono trovare comprensione in un ascolto silenzioso, rispettoso, empatico.
Il problema è che tutti vorrebbero trovare questo tipo di ascolto, ma solo pochi lo sanno offrire. Per poterlo offrire, bisognerebbe aver raggiunto quella maturità e serenità di fondo che viene dall’accettazione piena di se stessi e del proprio limite e dal superamento delle paure profonde che spesso si crede di non avere.
Il silenzio consente anche di mettersi in contatto con la natura, di sperimentare un sano e spontaneo stupore davanti alle sue meraviglie, istanti di chiara intuizione sul senso e l’armonia del tutto, un’ingenua sorpresa di fronte alla meraviglia di un colore, di un sapore, di una scintilla di luce che orientano e introducono al cuore stesso della realtà, all’immenso oceano di luce e di vibrazioni di cui siamo circondati, come in una continua sinfonia di silenti melodie (Cf. BELLESTER Mariano, Meditare un sogno, Messaggero, Padova 2011, pag. 96).
Non è dimostrato che non si possa incontrare Dio nel frastuono, ma i grandi maestri dello spirito e anche l’esperienza personale di ciascuna/o, consigliano spazi e tempi di silenzio per rendere maggiormente possibile una meditazione, una preghiera profonda, un incontro con Lui.
Il silenzio, nella sua accezione positiva, per il fatto che consente di essere e stare in contatto con se stessi, con gli altri, con la natura, con Dio, rende liberi e fedeli, capaci di guardare e apprezzare le mille e attraenti possibilità che l’attuale società offre, senza esserne dipendenti o distratti o tentati di inseguirle come un miraggio.
Maria Rossi
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