Ogni anno, la conclusione del ciclo liturgico invita a innalzare lo sguardo verso l'orizzonte ultimo della storia: il compimento del tempo e il giudizio finale che attende tutti gli uomini, la pedagogia della Chiesa prepara in tal modo, quasi senza soluzione di continuità, la liturgia dell'Avvento:
Ogni anno, la conclusione del ciclo liturgico invita a innalzare lo sguardo verso l’orizzonte ultimo della storia: il compimento del tempo e il giudizio finale che attende tutti gli uomini, la pedagogia della Chiesa prepara in tal modo, quasi senza soluzione di continuità, la liturgia dell’Avvento.
Con l’inizio del nuovo anno liturgico, i testi del Messale e dell’Ufficio Divino non metteranno a tema soltanto l’imminente celebrazione del Natale, ma vorranno soprattutto risvegliare la consapevolezza dei cristiani nell’andare incontro a Colui che è, che era e che viene. La Liturgia indica in tal modo al fluire dei nostri giorni il senso e la meta del loro scorrere: Dio in tutti e in tutte le cose.
In questo itinerario, il mistero di Dio viene riproposto alla meditazione orante come principio e come termine della parabola della storia: Dio che ha dato inizio all’esistere del mondo e dell’uomo lo attende, ora e all’eschaton, per compiere la sua promessa di vita eterna.Ogni esistenza è quindi protesa verso l’incontro ultimo e definitivo con il Padre il Figlio e lo Spirito Santo. Al cuore di tutte le attese degli uomini e dei popoli, siano essi coscienti o non del proprio destino, urge segretamente il desiderio che innalza verso la pienezza di comunione con il Tu, anima della vita di ogni persona e della tensione della storia.
Interamente orientata verso questo incontro, descritto come venuta, cioè come la gratuità di un dono, la Liturgia richiama allo stesso tempo a prendere coscienza che Dio si è avvicinato a noi, nel Cristo, ed è già presente, nel mistero sacramentale della Chiesa, ma viene sempre di più verso di noi, giorno per giorno. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1/1). La nascita di Gesù, che celebrerà la Festa di Natale, non esaurisce né appaga la dimensione di attesa della vita cristiana, ma la alimenta, la accresce e la sostiene verso il suo secondo ritorno, quando Egli realizzerà in sé l’unità di tutti gli uomini.
Con il suo fascino e la sua bellezza, la liturgia del tempo di Avvento sollecita così tutti i cristiani a rimettersi in cammino, accogliendo la parola dei profeti, di Giovanni Battista e del Vangelo: e lo fa, suggerendo più che un percorso penitenziale simile a quello della Quaresima, rinnovando agli occhi dello spirito la percezione della meta ultima dell’umano pellegrinaggio; Dio è l’origine da cui proveniamo ma è anche il futuro verso il quale siamo ontologicamente protesi.
La luce di questo punto focale illumina in modo particolare la vita finalizzata all’incontro con il Signore Gesù: già ora, nei suoi giorni uguali eppure sempre così nuovi, l’attesa della Sua presenza dà senso alla vita, perché Egli attende ciascuno oltre la soglia dell’umano esistere e risplende nella sua Signoria, quando ogni cosa viene meno. L’avvento è soprattutto per noi un tempo di speranza e di gioia: antifone, inni, responsori sono attraversati dall’esultanza che già pregusta il dono dell’incontro; la parola della consolazione attraversa l’annuncio profetico che esorta alla fede. alla vigilanza, alla certezza nel Signore vicino.
La vigilanza che già coglie in anticipo l’evento della consolazione, è però intrinsecamente articolata al desiderio di vedere Dio: ma dire desiderio è allo stesso tempo chiamare con il loro nome la esperienza di povertà e le realtà di incompiutezza che lo alimentano. Invocare la venuta del Salvatore ha senso solo per coloro che hanno bisogno di essere salvati, e il desiderio di vedere Dio ha senso solo per coloro che, coscienti di essere fatti per lui e insoddisfatti della realtà creaturali, bramano di vedere nel suo Volto. Nella Chiesa, la vita rende testimonianza di questo anelito e dell’attesa della dimora dei cieli, non solo per sé, ma in nome di tutti gli uomini. E quindi avverto il tempo di Avvento come particolarmente vicino alla propria esperienza. “Se tu squarciassi i cieli e scendessi! … Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore” (Is 63,19,16). Riconoscere se stessi nel desiderio che anima il tempo di Avvento: attendere Colui che è già presente, ma che si rivela sempre di nuovo, oggi, domani, fino alla pienezza della Sua parusia.
La nostra vita è quindi profezia del Regno: segno dell’anelito spirituale che abita il cuore dell’uomo, pellegrinaggio che muove verso l’incontro nell’umile obbedienza di una continua conversione. La Liturgia sembra rivolgere a ciascuno di noi l’invito a riprendere coscienza di quello che siamo chiamati a vivere, innalzando lo sguardo verso Dio: A te Signore, elevo l’anima mia (Introito e Offertorio della I Domenica di Avvento). L’inizio della conversione, il momento del risveglio, a un’apertura del cuore e di tutta la persona verso Dio è interamente inizio, risurrezione dello spirito, un accorgersi colmo di stupore e di gratitudine di Colui che sempre viene.
L’Avvento non è perciò solo memoria dell’attesa dell’Antico Testamento, colmata dalla venuta di Cristo, ma è anche celebrazione dell’esperienza presente della Chiesa e del mondo, della sua realtà di incompiutezza protesa verso la definitività del Regno. Il dono di Dio è dato a noi, oggi, come un già e un non ancora. Il richiamo della liturgia ci invita nello stesso tempo a guardare con umile realismo i vuoti di senso, di contraddizione,m di distrazione e superficialità del nostro quotidiano per risollevarsi alla speranza, al grido della preghiera ed aprirci a ricevere in pienezza il dono della Presenza di Dio. Per essere testimonianza dell’attesa e del desiderio degli uomini, essa ci ridesta alla domanda fondamentale di ogni esistenza: Per chi vive l’uomo? Per chi agisce? E dove va?
Forse mai come nell’avvento di un anno come questo vive in molti il desiderio di un mondo nuovo, di una rinascita dei valori dello spirito, di una riaffermazione della verità, della giustizia e dell’amore evangelico. La storia dei popoli e delle nazioni attende ancora dal Vangelo un fermento di civiltà, di umanesimo e di speranza nel futuro. Secondo la parola profetica (Is 2,2-5; Mic 4,1-5), anche la testimonianza silenziosa è invitata a risplendere come una luce sul monte di Dio, la Chiesa, per orientare dall’interno, con lo splendore segreto della sua misteriosa efficacia apostolica, il cammino dei popoli e delle nazioni.
Le tre grandi figure di questo tempo liturgico (Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria) sono le icone luminose offerte a noi come punti di riferimento nel pellegrinaggio verso l’eschaton: sono le immagini e i modelli classici proposti alla vita di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che incarnano non solo l’attesa antica, ma la tensione perenne verso il Dio Vivente, fattosi carne in mezzo a noi nella persona del Figlio Suo, Gesù Cristo.
Fausto Ferrari
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