Lo scrittore Guido Davico ha scelto e ordinato nel suo nuovo libro "Sogno di Natale e altri racconti", nove racconti tratti dalle "Novelle per un anno" che siano legati dal filo del Natale, dal problema della fede e dal tema della Chiesa
del 24 novembre 2010
          Guido Davico Bonino non è solo un fine studioso di letteratura e di teatro nonché, not least, scrittore, ma anche un infaticabile curatore di testi. La sua lunga esperienza nell’editoria nasce dall’amore per i libri: e ama curarli lui stesso pensandoli come un dono.  Abbiamo ancora in mente la deliziosa silloge di cento poesie d’amore da Dante a De André, cara al lettore comune quanto allo specialista.            Ed ecco, con l’approssimarsi del Natale, un volumetto della collana 'Nativitas' di Interlinea, nella quale Roberto Cicala va proponendo gioiellini spesso inediti o dimenticati.           Non inedite certo sono le Novelle per un anno di Luigi Pirandello: dovevano essere 365, giusto una al giorno, ma lo scrittore si arrestò a quota 256: un numero troppo grande perché certi nuclei tematici non si disperdessero nella memoria del lettore, anche del più attento. Così Davico ha scelto e ordinato nove racconti legati dal filo del Natale o comunque dal problema della fede o al tema della Chiesa (Sogno di Natale e altri racconti, pagine 120, euro 8).           Nei due testi d’apertura il Natale campeggia già nella vetrina del titolo. Il Natale sul Reno riflette l’esperienza autobiografica di Pirandello che lasciò l’università di Roma per andare a laurearsi a Bonn, discutendo una tesi sulla parlata della sua Girgenti (allora la dialettologia tedesca era formidabile, e anche oggi non scherza). Solo chi è vissuto in quelle contrade sa quale sapore speciale, quale commozione accompagni i riti della preparazione dell’albero e dei regali.            Ma alla fine la gioia per la festa è vinta dalla malinconia: un sentimento d’amore è frenato dalla timidezza, riaffiora la nostalgia del paese natìo, e soprattutto il rimpianto per chi non c’è più, sicché le bambine di casa scoppiano a piangere invocando il loro papà morto. Qui l’autore ha mano leggera con il suo pirandellismo, che si limita allo scontro fra essere e apparire, fra lo sforzo di sorridere e il cedimento all’onda-marea dell’amarezza.            La dimensione psicologica prevale, qui, su quella speculativa, generalmente felice nel narratore ed esposta invece a forzature intellettualistiche nel drammaturgo.           La dimensione fantastica e l’interesse teologico prevalgono invece nel Sogno di Natale: racconto onirico carico di trasparente allegoria. Il Cristo che batte invano alle porte dei palazzi e dei tuguri per vedere se Gesù Bambino vi sia ben accolto, trovando ovunque risposte deludenti, palesa il pessimismo dell’autore non sulla figura del Salvatore, ma sulla sordità degli uomini nei confronti del suo messaggio.            L’onirismo domina anche nel terzo racconto, Il vecchio Dio: quell’uomo dalla barba veneranda che confessa a un anziano assopito in una chiesa deserta, lamentandosi, di essere stato messo in pensione dagli uomini è il Padreterno miracolosamente apparso o il sagrestano sognato nel dormiveglia?           Il testo più sottile e coinvolgente è però La messa di quest’anno: il protagonista torna nel suo villaggio prealpino per Natale, ma trova la zia devota e tutto il paesino affranti. Il nuovo curato ha spogliato la chiesa di ogni addobbo trasformandola in una sorta di stalla per essere coerente con il messaggio evangelico ed esorta i parrocchiani a sospendere ogni atto festoso che accompagna il giorno natalizio, dalle decorazioni al cenone, per far penitenza.            Il narratore però dà voce anche all’altro punto di vista: per quei poveri vestiti di stracci era una consolazione vedere almeno la Madonna ingioiellata, e la calda bellezza del tempio li risarciva dei loro miseri tuguri. Giusto il pauperismo coerente?           O la consolazione che, in attesa di un premio troppo differito, elargiscono in chiesa un rito fastoso e in casa una mensa imbandita? L’autore lascia sospeso il giudizio, così come negli altri racconti di questa ben costruita scelta. Del resto, l’arte del suspense è propria dello scrittore scaltrito come del pensatore problematico.            Una novella che avrebbe ben figurato nella scelta rappresentando la posizione aperta dello scrittore è quella intitolata Dal naso al cielo: la contesa fra un positivista e uno spiritualista resta irrisolta anche quando dal corpo dello scientista morto misteriosamente durante una passeggiata in pineta (accidente o castigo?), esce un minuscolo ragno (un animaletto? l’anima?). Il ragnetto si arrampica su un filo di ragnatela che collega il naso alla sommità degli alberi e forse sale ancora più su, poiché il sole che filtra tra il fogliame impedisce di scorgere la fine del filo ascendente.             Altri studiosi avevano accennato alla sensibilità religiosa di Pirandello (Umberto Colombo, Antonio Sichera), Davico tratta il tema con grande equilibrio, parlando di un Pirandello laico ma aperto al dialogo con l’Oltre.           Anni fa, intitolai un mio scritto Mattia Pirandello fu Pascal. Per me il celebre romanzo di Pirandello era la sottintesa risposta ai pensieri di Blaise Pascal: il grande giansenista aveva indirizzato la sua opera ai 'libertini', come allora si chiamavano i liberi pensatori. Pirandello, con le sue sottili e criptiche strategie, proponeva la risposta del libertino al lettore cristiano, in uno spirito di grande apertura. Questo bel volumetto mi rafforza in quella convinzione.
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