«...Come è sporco, si è cagato addosso», dicono i compagni. Poi, un ragazzo magrolino, gel nei capelli, gli dà una sberla sulla pancia, quindi una spinta e un colpo in faccia....A schiaffeggiare, inneggiare alle SS, lanciare libri, filmare, erano in quattro. Ma a ridere, e a lasciar fare, erano forse in venti. Quattro mascalzoni, e venti vigliacchi. Una gregarietà che fa forse anche più paura degli spintoni e delle beffe degli altri...
del 14 novembre 2006
Dalle immagini si vede una classe di una scuola superiore italiana, con studenti di diciassette, diciotto anni. A un certo punto viene fatto entrare un ragazzo down, vienecondotto al centro della classe, messo di spalle per mostrare il sedere, i pantaloni sporchi: «…come è sporco, si è cagato addosso», dicono i compagni. Poi, un ragazzo magrolino, gel nei capelli, gli dà una sberla sulla pancia, quindi una spinta e un colpo in faccia.
Il regista con la telecamera intanto riprende la classe. C'è una ragazza che continua a scrivere, sulla faccia ha un'espressione che sembra più una smorfia che un sorriso. In fondo un altro compagno tiene gli occhi puntati sul libro, come per non vedere la scena, per non vedere nemmeno se stesso in quella classe. Gli altri partecipano, racconta il quotidiano nazionale. C'è chi si avvicina alla lavagna e scrive:«Sensibilizziamo culi diversi», poi aggiunge un «SS» tanto per chiarire.
C'è una ragazzina, la belloccia della classe, che si sventola un giornale davanti al naso: «Se l'è fatta addosso». Ecco di nuovo il «cattivo» che si lancia in un saluto nazista, poi finge di telefonare: «Salve, siamo di Vividown, un nostro mongolo si è cag... addosso e mò non sappiamo che fare perchè l'odore ci è entrato nelle narici». Poi il «lancio».
Il ragazzo down è solo davanti alla lavagna e i compagni cominciano: «Vai con il lancio». Parte un libro e lo colpisce in pieno. E il regista: «Aspetta, rifatelo, non è venuto».E allora si ripete, finchè lui perde gli occhiali e d'un tratto capisce, fa per piangere, cerca di difendersi. Ma lui non può: «Cretino, buuhhh», urla la classe.
 
 
 Della storia del ragazzo Down maltrattato in aula dai compagni e ripreso in un video rimasto su Google per giorni prima di essere oscurato, colpisce prima di tutto la spavalda certezza di impunità di quei quattro che hanno schiaffeggiato e deriso un handicappato. In ogni villaggio, da millenni, c'è sempre stato qualcuno chiamato sciocco, e sempre è stato oggetto di scherzi anche crudeli. Ma non erano imprese che s'andava a raccontare in giro con fierezza, e anzi, se si sentiva avvicinare qualcuno, della comunità, di autorevole, la banda di teppisti scappava.
Quella meschina prodezza esibita su Internet
di Marina Corradi ( www.avvenire.it )
 
 
Impressiona come invece gli alunni della sconosciuta scuola in cui si sbeffeggia e malmena un compagno non abbiano avuto alcun timore nel mettere in rete la loro prodezza, pur immaginando che le loro facce potrebbero essere facilmente riconosciute. Quasi vivessero in un orizzonte in cui non esiste più alcuna autorevolezza da rispettare, nessuno i cui passi che si avvicinano mettano addosso un po' di inquietudine. Nessun padre o maestro, di cui temere il giudizio. Semplicemente, nessuno, e in questo vuoto solo la vanità di vedere il proprio video in un grosso motore di ricerca, alla voce «video divertenti». Un piccolo filmato ignobile per dire di esistere, così come una volta si scrivevano frasi oscene sui muri delle latrine.
L'altro elemento che impressiona e addolora è che a schiaffeggiare, inneggiare alle SS, lanciare libri, filmare, erano in quattro. Ma a ridere, e a lasciar fare, erano forse in venti. Quattro mascalzoni, e venti vigliacchi. Una gregarietà che fa forse anche più paura degli spintoni e delle beffe degli altri. Quella massa passiva di ragazzi e ragazze che sta a guardare e non muove un dito, non ha nemmeno l'abietto coraggio di fare del male. Potrebbero, domani, dire: noi? Noi, non abbiamo fatto niente. E chi crede di non avere fatto niente non prova dolore, e non può cambiare.
Ci siamo chiesti anche se questa piccola storia ignobile sia del tutto estranea allo spirito dei tempi, e all'im perativo del «diritto al figlio sano». Di tempi in cui, e da molti anni, alla diagnosi di sindrome di Down segue nella grande maggioranza dei casi, quasi automaticamente, un aborto. Se insomma questi sedicenni del video di Google non siano, per la cultura inconsciamente respirata, naturaliter eugenetici. Avendo sempre sentito dire che è normale, anzi che è meglio, i Down, eliminarli prima che nascano, hanno guardato forse a quello lì invece venuto al mondo e seduto nel banco accanto, come a un fenomeno ridicolo e strano.
Ma, di ogni spiegazione di ciò che è accaduto in quell'aula, forse la peggiore, e pure possibile, è che quei ragazzi, scoperti, dicano che era tutto uno scherzo, che era «per gioco». Per scherzo, gli insulti al compagno che si era sporcato, e il libro lanciato addosso che manda in frantumi gli occhiali dalle lenti grosse e mostra, dietro, gli occhi sbalorditi della vittima. Per gioco, magari, nella insostenibile leggerezza di chi non immagina nemmeno cos'è un figlio, e cos'è averlo malato e sperare comunque di dargli un futuro. Per gioco, ma il gioco dei forti e degli idioti: incapaci di rispettare un uomo perché a loro sembra goffo, e li guarda con occhi di bambino.
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)