Il volto indiano di don Bosco

Incontro con don Pascual Ch√°vez Villanueva, rettor maggiore dei Salesiani, sulla vita e il lavoro dei discepoli del santo di Valdocco nel subcontinente indiano: 196 scuole, 85 istituti professionali, 2.400 religiosi, un ruolo significativo nell'assistenza ai ragazzi di strada riconosciuto anche dalle autorità governative.

Il volto indiano di don Bosco

da Rettor Maggiore

del 01 dicembre 2006

«In effetti si tratta di un fatto straordinario. Già non pochi altri Paesi in passato hanno dedicato delle serie filateliche a san Giovanni Bosco, ma è la prima volta che a farlo è una grande nazione in cui però i cattolici non arrivano neppure al due per cento». Don Pascual Chávez Villanueva, rettor maggiore dei Salesiani, è particolarmente soddisfatto dell’iniziativa presa dalle autorità di Nuova Delhi per celebrare il primo centenario della presenza dei seguaci di don Bosco nel subcontinente indiano. Ma don Pascual è ancora più contento del fatto che l’India è la regione in cui la presenza salesiana è cresciuta in maniera più massiccia negli ultimi anni. Tanto che la sua ultima Lettera circolare, datata 21 settembre 2006, è dedicata alla presentazione della regione Asia Sud della Congregazione salesiana, che ha il suo epicentro proprio nel subcontinente indiano.

 Per parlare di don Bosco e di India incontriamo don Chávez, 59 anni, messicano, rettor maggiore dall’aprile 2002, nella sede della curia generalizia dei Salesiani a Roma, in via della Pisana.

     

 Don Chávez, lei è rimasto sorpreso dall’emissione di questo francobollo in onore di don Bosco…

 Don Pascual ChÁvez Villanueva: Piacevolmente sorpreso. Anche perché la nostra presenza in India è relativamente giovane, rispetto a quella di altri ordini religiosi. Siamo lì da appena un secolo, ed è proprio alla fine dei festeggiamenti di questo primo centenario, che si sono protratti dal febbraio 2005 al febbraio 2006, che abbiamo avuto questo bel riconoscimento, secondo me molto significativo. Ma la vicinanza delle autorità indiane si era già registrata all’inizio delle celebrazioni, quando all’inaugurazione di un complesso educativo a Guwahati aveva partecipato addirittura il primo ministro Manmohan Singh.

     

Quando arrivarono i primi missionari salesiani in India?

ChÁvez Villanueva: Già nel 1875 don Bosco parlò dell’India come uno dei possibili futuri Paesi in cui mandare i suoi missionari. Ma dopo alterne vicende fu solo il 5 gennaio 1906 che il primo gruppo di cinque salesiani, guidato da don Giorgio Tomatis, arrivò a Thanjavur, che allora faceva parte della diocesi di Mylapore, nel sud-est dell’India. Gli inizi però furono un po’ difficili, la nostra presenza non riuscì a essere molto incisiva. Fino a quando negli anni Venti del secolo scorso arrivarono in India due grandissime figure di missionari salesiani.

 

Chi erano?

ChÁvez Villanueva: Il francese Louis Mathias, il salesiano più illustre, e lo spagnolo José Carreno, il missionario salesiano più amato del secolo scorso. Con loro i salesiani iniziarono a svolgere la loro missione soprattutto nell’Assam, nell’estremo nord-est del Paese, ma anche a Calcutta, Bombay e altrove. Don Carreno era una personalità veramente poliedrica e affascinante: si racconta che quando lui e i suoi avevano fame ma non c’era nulla da mangiare, prendeva la fisarmonica e con la musica e i canti, visto che lo stomaco era vuoto, riempiva almeno il cuore. Mathias fu anche arcivescovo di Madras, ed è sepolto proprio nella Cattedrale di quella città, dove si trova anche la tomba di san Tommaso apostolo, il primo evangelizzatore delle Indie. Una vicinanza altamente significativa.

 

Oggi quanti sono i salesiani in India?

ChÁvez Villanueva: Siamo già circa 2.400, di cui solo una cinquantina sono non originari dell’India. L’età media è molto bassa, 35-40 anni, e i noviziati sono sempre pieni di nuovi candidati. Abbiamo dieci ispettorie ma credo che in futuro ne sorgeranno delle altre. Si può veramente dire che don Bosco oggi ha un volto indiano!

 

Come spiega questo boom?

ChÁvez Villanueva: Il Signore quando vuole compie miracoli. L’incremento della presenza salesiana in Indi a non è il frutto di una particolare strategia o di un particolare piano missionario. Certamente è anche frutto di un grande impegno pastorale di tanti salesiani, ma in questo sviluppo per certi versi travolgente il dito di Dio è stato determinante.

 

In quali campi lavorano i salesiani indiani?

ChÁvez Villanueva: Seguendo il carisma di don Bosco la nostra attenzione principale è rivolta ovviamente ai giovani, alla loro educazione.  Abbiamo 196 scuole e collegi universitari con un numero complessivo di oltre 230mila studenti. Gestiamo inoltre 85 istituti professionali e due istituzioni agricole, servendo un totale di oltre 14mila giovani. Si tratta di numeri grandi, che però diventano piccoli se rapportati alla totalità dell’India che conta ormai oltre un miliardo di abitanti. Dove invece i salesiani giocano un ruolo significativo, ampiamente riconosciuto anche dalle autorità governative, è il campo dell’assistenza dei cosiddetti ragazzi di strada. Ci sono delle ispettorie che dedicano oltre cento sacerdoti a questa missione. Missione che appartiene proprio al cuore del carisma salesiano. Don Bosco voleva e vuole che ci occupiamo soprattutto dei giovani più deboli e sfortunati.

 

Il governo è riconoscente per questo vostro lavoro?

ChÁvez Villanueva: Oggi sostanzialmente sì. Ho visitato tre volte l’India – un quarto viaggio lì è già previsto per il prossimo febbraio – e in queste occasioni ho avuto modo di incontrare membri del governo centrale e dei governi locali che si sono mostrati soddisfatti del nostro lavoro. In fondo, seguendo don Bosco, anche noi ci impegniamo per formare degli onesti cittadini. E questo conviene anche alle autorità civili.

 

Negli anni passati non sono mancati i problemi con le autorità...

ChÁvez Villanueva: Fino al 2004 c’è stato un governo egemonizzato da estremisti nazionalisti indù che ha tollerato e per certi versi fomentato forme di intolleranza e di odio verso i cristiani. E alcuni nostri confratelli sono caduti vittime di questo odio. Oggi per fortuna c’è un governo laico più tollerante, anche se qua e là ci sono zone e governi locali in cui permangono problemi. Da parte nostra la posizione è chiara: noi non imponiamo la nostra fede a nessuno, ma se uno vuole liberamente convertirsi non ci dovrebbero essere leggi che glielo impediscano. Senza contare poi che in India ci sono ancora circa cento milioni di appartenenti a tribù indigene senza religione verso i quali ci dovrebbe essere una piena libertà di svolgere anche una attività missionaria.

 

Una crescita così tumultuosa e in un periodo così breve ha provocato delle prospettive nuove ma anche dei problemi?

ChÁvez Villanueva: Ogni crescita pone delle questioni che necessitano di una risposta. Nella mia ultima Lettera dedicata proprio ai salesiani dell’Asia meridionale ne ho individuato alcune.

 

Immagino che la prima questione sia quella della inculturazione.

ChÁvez Villanueva: In effetti è così. Non c’è dubbio che in tutta l’Asia il cristianesimo è percepito come una religione occidentale, anche se poi in realtà la sua culla è il Medio Oriente. Mantenere quindi una identità cristiana e al contempo una identità indiana è problematico. Anche perché l’India ha una storia e una cultura millenaria, più antica del cristianesimo. Una cultura che crea una mentalità, una forma di pensare molto radicata. C’è il rischio quindi di voler conservare una mentalità, una forma di pensiero che in realtà è incompatibile con ciò che è proprio del cristianesimo. Penso ad esempio, ma non solo, all’unicità salvifica di Gesù che a volte sembra essere messa in discussione anche al nostro interno per un malinteso senso di rispetto nei confronti di altre forme religiose.

 

Questa la prima area problematica; e le altre?

ChÁvez Villanueva: Innanzitutto dobbiamo riuscire a comprendere come accompagnare lo straordinario sviluppo economico e sociale che sta portando l’India, subito dopo la Cina, a giocare un ruolo unico nel panorama mondiale. E siccome credo che un punto cruciale dello sviluppo dell’India sarà quello dell’educazione, allora credo e spero che i salesiani possano avere un ruolo importante in questo campo. Avendo sempre a cuore il destino dei più poveri e operando sempre secondo la massima di don Bosco: dare di più a coloro cui la vita ha dato di meno. E in questo campo in India c’è molto da lavorare, anche su alcuni elementi strutturali della società…

 

A cosa si riferisce?

ChÁvez Villanueva: Alle ricadute sociali della mentalità buddista, in base alla quale chi sta male, chi è povero, chi è tribolato, chi è malato, in fondo si merita questa situazione perché in qualche vita precedente ha avuto un qualcosa che ha causato la sua situazione attuale, che quindi è considerata irredimibile… Oppure al fenomeno delle caste. In India un numero considerevole della popolazione viene identificato come “dalit”, fuori casta. Costoro sono trattati come dei paria dagli altri e riescono a sopravvivere grazie ai sussidi del governo e alle opere caritative delle Chiese e delle comunità cristiane. Ora, questa mentalità di disprezzo nei confronti dei “dalit” – e il 70% dei cristiani in India è “dalit” – è presente anche nelle nostre comunità religiose, nelle nostre Chiese locali, persino nel collegio episcopale. Come possiamo pretendere che la società cambi se non siamo noi i primi a dare l’esempio?

 

Da questo forse deriva l’invito da lei rivolto nella sua ultima Lettera a «irrobustire la vita comune» dei salesiani?

ChÁvez Villanueva: Nella Lettera c’è scritto: «È, dunque, da incoraggiarsi che nelle comunità, siano locali o ispettoriali, dove ci sia una marcata presenza di culture, etnie e caste diverse, si studino e si mettano in atto processi e iniziative per aiutare i confratelli ad affrontare e apprezzare le differenze e a superare possibili disagi o malintesi». Con l’aiuto di Dio spero che problemi di questo tipo possano essere risolti quanto prima. Anche se si tratta di mentalità molto radicate…

 

Don Chávez, nella sua Lettera di presentazione dei salesiani dell’Asia meridionale lancia un appello a «vivere appassionati la missio ad gentes»…

ChÁvez Villanueva: In effetti, lei prima mi chiedeva ragione del boom delle nostre vocazioni religiose. Opera innanzitutto di Dio, rispondevo, ma anche della infaticabile azione missionaria dei nostri confratelli. Che in India hanno trovato terreno fertile, visto che ci sono tanti giovani, tanta povertà e un forte sentimento religioso che pervade tutta la società: tre elementi che aiutano molto. Ma se non ci fossero appunto confratelli appassionati della missio ad gentes tutto potrebbe essere vano. In India i salesiani hanno convertito tantissimi cosiddetti “tribali” – penso allo straordinario sviluppo nell’Assam – e adesso si ritrovano con un numero di sacerdoti straordinario. E questo offre alla Chiesa in India, ai salesiani in India, una prospettiva nuova, una responsabilità storica grandissima.

 

A cosa pensa?

ChÁvez Villanueva: I sacerdoti, i salesiani indiani hanno molto da fare in patria. Ma hanno anche molto da fare per la Chiesa in altre parti del mondo. E questa espansione missionaria, che per certi versi ricorda quella della Chiesa europea dei secoli passati, è già in atto. Salesiani indiani si trovano già in Africa, in Papua Nuova Guinea, in Mongolia, in Medio Oriente – Kuwait e Yemen – e persino nel Vecchio continente. Sono stato molto contento che nella celebrazione conclusiva del centenario dei Salesiani in India, il 7 febbraio 2006, c’è stato il solenne invio di 25 missionari in tutto il mondo. Speriamo che con il Suo aiuto e l’intercessione di don Bosco l’India continui ad essere sempre generosa nel fornire nuovi operai nella vigna del Signore! 

Gianni Cardinale, don Pascual Ch√°vez Villanueva (intervista)

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