Tanti giovani tendono alla ricerca del successo e della visibilità piuttosto che alla serena realizzazione dei propri sogni, riconoscendo i propri limiti e le risorse. I mass media non fanno altro che sostenere questo modello. ma noi che cosa siamo disposti a perdere? Ci fidiamo di Lui? Siamo capaci di scelte controcorrente? Amare come Lui: dare la vita?
del 08 aprile 2011
 
          Oggi tanti giovani tendono alla ricerca del successo e della visibilità piuttosto che alla serena realizzazione dei propri sogni, riconoscendo i propri limiti e le risorse. I mass media non fanno altro che sostenere questo modello, senza far vedere quanto dura davvero il tempo del successo, a volte quanto uno spot.
          Il problema è anche il modo in cui ciò deve essere realizzato, cioè spesso a costo della dignità, del vendersi e dello svendersi, del compromesso estremo, della rottura con la famiglia, del perdere contatto con la realtà.
          Tutto viene mostrato come facile, tutto diventa a portato di mano grazie ad un provino, ad una telefonata, ad un book fotografico. Direte che è così che va il mondo e che le “normali” vie per realizzare se stessi non sono più percorribili e spesso irte di problemi. Forse può valere per alcuni ma non per chi si professa cristiano, poiché dovrebbe seguire nella sua vita lo stesso cammino. Non dovrebbe lasciarsi tentare dalla gloria terrena, ma ricercare piuttosto la vera gloria nella lotta contro il male in questo mondo e nella vittoria su di esso. Non si può giungere a questa vittoria e a questa gloria se non seguendo le orme di Cristo nel cammino della croce. Per giungere alla vera vittoria, non bisogna confidare solo in se stessi, nelle proprie forze, ma avere fiducia nella grazia di Dio; bisogna prendere le “armi” di Dio, che sono, come precisa san Paolo: verità, giustizia, zelo apostolico, fede, parola di Dio e preghiera. Ciò non vuole dire che un “cristiano di successo” non cammini sulla via del Vangelo, ma che bisogna stare in guardia sì, perché per l'uomo è più facile guardare la terra che non alzare gli occhi al cielo; è più piacevole cercare i piaceri del corpo che non assumersi rinunce e sacrifici; è più soddisfacente ricevere le lodi e gli onori di questo mondo che non aspettare la ricompensa di Dio dopo la morte.
          Per festeggiare l'ultima Pasqua della sua vita terrena, Gesù fa ingresso nella città di Gerusalemme come Signore. La folla festosa lo saluta come l'inviato da Dio e lo acclama. Tuttavia il suo trono era la croce, le sue “armi” l'amore, il suo regno la pace, il suo trionfo la vittoria sul peccato e sulla morte. Così la sua entrata trionfale a Gerusalemme non era, per Gesù, che un pallido preludio del trionfo spirituale al quale lo avrebbero portato la sofferenza e la morte sulla croce, poi la risurrezione dai morti.
          La liturgia della Domenica delle Palme è quasi un solenne portale d'ingresso nella Settimana Santa – diceva Giovanni Paolo II nell’omelia della Domenica delle Palme del 2003 – poiché associa due momenti tra loro contrastanti: l'accoglienza di Gesù a Gerusalemme e il dramma della Passione; l’“Osanna” festoso e il grido più volte ripetuto: “Crocifiggilo!”; il trionfale ingresso e l'apparente disfatta della morte sulla Croce. Anticipa così l’“ora” in cui il Messia dovrà soffrire molto, verrà ucciso e risusciterà il terzo giorno e ci prepara a vivere in pienezza il mistero pasquale. Gioia e tristezza mescolate che si riflettono anche nella doppia celebrazione di questa giornata: da una parte la Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) diocesana e dall’altra l’apertura solenne della settimana Santa. Da vent'anni, grazie a Papa Giovanni Paolo II, - afferma Papa Benedetto XVI nell’omelia della Domenica delle Palme 2006 - la Domenica delle Palme è diventata in modo particolare il giorno della gioventù – il giorno in cui i giovani in tutto il mondo vanno incontro a Cristo desiderando di accompagnarlo nelle loro città e nei loro paesi, affinché Egli sia in mezzo a noi e possa stabilire nel mondo la sua pace. Se noi vogliamo andare incontro a Gesù e poi camminare insieme con Lui sulla sua strada, dobbiamo però chiedere: Che via è quella su cui Egli intende guidarci? Che cosa ci aspettiamo da Lui? Che cosa Egli s’aspetta da noi?
          Si potrebbe aggiungere indegnamente: Che cosa siamo disposti a perdere? Ci fidiamo di Lui? Siamo pronti ad essere giudicati dal mondo? Siamo capaci di scelte controcorrente? Amare come Lui: dare la vita? Accettare il fallimento, diventare oggetto di burla per abbracciare la croce? Dove finisce la gioia della fede e della vita cristiana? Domande legittime. Tuttavia, se come cristiani affondiamo le nostre radici nell’amore, allora, questa forza è così poderosa che ci aiuta ad incontrare gioia e allegria anche nel cammino del calvario, della passione e della croce. Allora l’amore non è quel sentimento che nasce all’improvviso, esplode e si spegne rapidamente, ma una decisione libera, cosciente, sofferta che però ci riempie di serenità e da’ senso a tutto quello che facciamo.
          Per capire quello che avvenne nella Domenica delle Palme – continua Papa Benedetto nell’omelia - e sapere che cosa essa, oltre che per quell'ora, significa per ogni tempo, si rivela importante un particolare, che diventò anche per i suoi discepoli la chiave per la comprensione dell'evento quando, dopo la Pasqua, ripercorsero con uno sguardo nuovo quelle giornate tumultuose. Gesù entra nella Città Santa cavalcando un asino, l'animale cioè della semplice gente comune della campagna, e per di più un asino che non gli appartiene, ma che Egli, per questa occasione, chiede in prestito. Non arriva in una sfarzosa carrozza regale, non a cavallo come i grandi del mondo, ma su un asino preso in prestito. Giovanni ci racconta che in un primo momento i discepoli questo non lo capirono. Solo dopo Pasqua si accorsero che Gesù, agendo così, dava compimento agli annunci dei profeti, che il suo agire derivava dalla Parola di Dio e la portava al suo adempimento.
          Tutto può sembrare troppo esigente, ma in fondo è dei giovani essere esigenti e persino concreti. Percorrere i propri sogni, curare la realizzazione dei propri progetti può essere benissimo accostato all’esperienza evangelica, può mescolarsi e dare frutti di vera santità. I Santi giovani non sono dei musoni frustrati e che non hanno raggiunto i propri obiettivi, basta leggere le loro biografie per capirlo: belli, intelligenti, gioiosi, operosi! Al contrario molti giovani vivono con la prospettiva del successo immediato, con il “mordi e fuggi” della realizzazione, pronti all’Osanna ma non al Crocifiggilo, ma nel primo caso spesso non si è davvero felici e nel secondo caso ci si toglie la vita. Coraggio, allora, perché dopo la Croce c’è sempre la Resurrezione!
 Marco Pappalardo
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