I bambini sono un “utile” modello per crescere nella preghiera. La preghiera si fa in maniera distesa e con spirito d'infanzia, infatti solo i bambini hanno dei moti incontrollati del cuore... Gli adulti ringraziano a voce bassa, i bambini lo fanno a voce alta. La preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo rivolto verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore.
del 12 aprile 2011
 
          Tra gli “esercizi” quaresimali c’è quello della preghiera. Ma quale preghiera? Nei forum giovanili a tema, su internet, si possono leggere pensieri come questo: Io non riesco a pregare: non so bene a chi rivolgermi, non riesco a sentire qualcuno “dall’altra parte” che veramente stia lì ad ascoltare le mie preghiere ed intervenga nel mondo per esaudirle.
          Possiamo pensare che sia qualcuno lontano dalla Chiesa o che non frequenti gruppi, però mi è capitato di sentire durante un momento di preghiera, alla proposta di fare qualche intenzione personale di preghiera, un bambino di terza elementare dire così: “Signore, ti perdono perché…”, concludendo, naturalmente, con una piccola disobbedienza nei confronti dei genitori.
          E’ vero che è un caso singolo, ed è pur vero che nell’emozione un bambino di quell’età può anche sbagliarsi facilmente (forse non solo a quell’età!). Comunque dai bambini vogliamo partire lo stesso perché sono un “utile” modello per crescere nella preghiera. 
          Per sapere che cosa vuol dire pregare – scrive il Card. Godfried Danneels -  bisogna guardare delle persone in preghiera. Solo coloro che pregano sanno che cosa significa. Un breve testo di Teresa di Lisieux la dice lunga: “Per me, la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo rivolto verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore sia nella prova sia nella gioia”. È tutto. È come qualcosa di incontrollato che sfugge dal cuore. Ciò che Teresa chiama “pregare” è essere rapiti da qualche cosa di bello. Quand’è che il nostro cuore sobbalza, quand’è che innalziamo gli occhi e cantiamo? Vedendo ciò che è bello.
          La preghiera si fa in maniera distesa e con spirito d’infanzia, infatti solo i bambini hanno dei moti incontrollati del cuore... Gli adulti ringraziano a voce bassa, i bambini lo fanno a voce alta. È qualcosa di difficile stare davanti come un bambino davanti a Dio? Questo grido e questo sguardo non sono affatto così difficili, ma voler essere fanciulli... Il problema non è di saper come devo pregare, con l’aiuto di quali libri, con quale metodo. Il solo problema è di essere umili come un fanciullo. Pregare infatti è assumere un atteggiamento di dipendenza, di umiltà, di disponibilità, è un lasciarsi fare – cosa che non amiamo perché siamo attivi e produttivi. Prendiamo l’iniziativa. Noi “facciamo” ma non ci lasciamo fare. Ecco il problema.
          Ora gli scopi della preghiera possono essere molteplici: invocare, chiedere un aiuto, lodare, ringraziare, santificare, o esprimere devozione o abbandono. Tutto questo è a rischio malintesi come afferma ancora il Card. Godfried Danneels: Questa è spesso la nostra prima reazione, come se dovessimo fare tutto noi. Come arrivare fin lassù? In realtà è il contrario: è Dio che discende. Pregare è un lasciarsi fare, assumere un atteggiamento passivo, recettivo. Quando dei giovani mi domandano come devono adorare o che cosa bisogna fare per adorare, in fondo rispondo che non bisogna fare niente. Durante l’estate quando andate alla spiaggia per abbronzarvi forse vi domandate: “Come fare?”. Niente affatto: vi mettete in costume da bagno e vi sdraiate al sole. Adorare, spiritualmente, è esporsi al sole.
          Un secondo malinteso è di domandarsi dove scoprire la preghiera in se stessi. Quale esercizio fare? È necessario che legga qualcosa o che pensi a qualcosa? Bisogna risvegliare dei sentimenti, dei desideri? No, perché la preghiera non si pone al livello dell’intelligenza, della volontà o della forza. La Bibbia ce lo dice mille volte: la preghiera si pone al livello del cuore. Ciò non vuol dire che si tratti soltanto di emozioni, o in primo luogo di affettività. Il cuore, è qui dove sono incollato a Dio, dove sono attaccato a lui. È qui dove Dio tocca coloro che gli appartengono. Niente di sentimentale! Non bisogna pertanto cercare dove attaccarmi a lui, poiché sono già “incollato”. Prima ancora che io pensi, egli prega già in me. Gesù diceva: “è lo Spirito che prega in voi, perché voi non sapete come dovete pregare”.
          L’organo della preghiera è già presente, l’uomo non deve costruirlo né piantarlo. Ancora un malinteso: l’uomo dovrebbe cercare Dio. È ambiguo. Dove potreste cercarlo? Non è necessario poiché è Dio che vi cerca. Sant’Agostino l’ha detto: Dio ha sete di noi. Se abbiamo bisogno di bere, è perché egli ha sete di noi. Per pregare bisogna perciò rovesciare le cose come si fa con una clessidra...
          Infine, per coloro che sono ancora nella posizione del giovane che ha scritto sul forum su citato, ci viene in aiuto un pensiero dello scrittore Luis De Wohl, tratta dal romanzo “L’ultimo crociato”: Pregare per qualche cosa o per qualcuno è una cosa molto, molto pericolosa. Si è sempre ascoltati. E mai nessuno sa veramente quello che sta chiedendo. Non domanderei mai nulla senza aggiungere: “Se è la tua volontà”, “Se è per il mio bene” o qualcosa di simile. Naturalmente, talvolta Dio dice “no” alle nostre preghiere…E’ tutta apparenza. Quando lo fa, il Suo “no” in qualche modo si trasforma in un torrente di grazie per un altro, spesso per tanti altri.
 
Marco Pappalardo
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