Nel primo decennio dell'Oratorio di Valdocco (1846-1856) esisteva ancora la Casa Pinardi affiancata anche da un altro edificio fatto erigere da Don Bosco come ospizio annesso alla chiesa di San Francesco di Sales.
del 17 gennaio 2011
             Nel primo decennio dell’Oratorio di Valdocco (1846-1856) esisteva ancora la Casa Pinardi affiancata negli anni 1853- 54 da un’altra casa fatta erigere da Don Bosco come ospizio annesso alla chiesa di San Francesco di Sales, da lui eretta nel 1852. In quegli anni Don Bosco, con il suo apostolato tra la gioventù povera ed abbandonata, aveva ottenuto anche la simpatia e l’aiuto dell’Abate Rosmini e dei suoi Padri Rosminiani.   Il casato dei birichini            Scrivendo, dunque, il 18 gennaio del 1851 al Rosminiano Don Giuseppe Fradelizio che si era trasferito da Stresa alla Sacra di San Michele, Don Bosco gli diceva: «Mi è molto rincresciuto il non essermi trovato a casa quando [lei] passò per Torino. Ora però, dimorando a minor distanza che non a Stresa, spero di vederla presto, e qui in casa birichinòira (E35).            «Casa birichinòira» è un simpatico piemontesismo di Don Bosco con il quale egli indicava la sua povera Casa Pinardi piena di birichini. Bisogna, ora, sapere che in piemontese la parola «casa» non si usa se non per indicare il titolo di una famiglia nobile: «Casa Savoia», «Casa Cavour». Così era pure la famiglia dell’Abate Antonio Rosmini, filosofo e teologo, fondatore dell’Istituto della Carità (detto dei Rosminiani), nato a Rovereto (TN) nel 1797 da Pier Modesto e da Giovanna dei Conti Formenti. In piemontese la parola italiana «casa » nel suo significato comune è detta semplicemente «ca».            Quindi Don Bosco parlando di «Casa Birichinòira» voleva scherzare sul suo proprio umile «casato» ben diverso da quello del Rosmini, una casa insomma «birichinesca» ovvero abitata da birichini di strada.   Si tratta di inesperti            Una domenica sera, nella primavera del 1848, Don Bosco stava facendo il catechismo ai suoi ragazzi nella stanza accanto alla cappella. Voltava le spalle alla finestra che dava sulla strada esterna. Improvvisamente un tristo figuro armato di archibugio apparve, puntò l’arma contro Don Bosco e sparò dileguandosi poi immediatamente. Chi fosse quel figuro e chi fosse il suo mandante non si venne mai a sapere, ma è facile immaginarsi il terrore negli occhi di tutti quei ragazzi al veder comparire dietro la finestra quell’uomo ed al sentire quella detonazione.            Il proiettile, forato il vetro della finestra e buttato giù dei calcinacci della parete, non colpì Don Bosco al cuore, ma passò tra il suo braccio sinistro e le costole, stracciandogli la veste sul petto e nella manica.            Don Bosco sentì un urto leggero, ma non si scompose per nulla ed ebbe tanta tranquillità di spirito da calmare lo spavento dei suoi ragazzi dicendo loro: – Eh! vi spaventate di uno scherzo fatto di mala grazia? Certa gente maleducata non sa mai fare uno scherzo senza offendere la buona creanza! Mi ha stracciato la veste e guastato il muro! Ma torniamo al nostro catechismo!            E poi disse loro: – Se la Madonna non gli faceva sbagliare il colpo, mi avrebbe colpito davvero, ma si tratta di un cattivo musico! E poi aggiunse ancora ridendo: – Oh, povera mia veste! Mi rincresce per te che sei l’unica mia risorsa (cf MB 3,300-301).   «Per farlo più buono!»            Anni più tardi i figli di Don Bosco dovettero accorgersi quale penitenza egli facesse nel mangiare. Il Card. Giovanni Cagliero, uno dei primi suoi discepoli, ebbe a testificare: «La mensa di Don Bosco fu sempre frugalissima, per non dire meschina. Io da giovanetto nel 1852 e 1853 assistevo al suo desinare ed alla sua cena.            La minestra ed il pane era quello che mangiavamo noi e la pietanza che gli preparava la sua Mamma Margherita era per lo più di legumi e alle volte con pezzettini di carne o di uova; sovente di zucca condita, e vedevo che lo stesso piatto presentato a mezzogiorno ritornava riscaldato alla sera».            Don Bosco preferiva patate, rape e verdura cotta per quanto insipida, portando per motivo che erano più adatte al suo stomaco. Mangiava poi così poco che i suoi ragazzi non capivano come potesse reggere a tante fatiche. Anche nel bere era modello di temperanza. Il poco vino che beveva era fornito dal Municipio che mandava all’Oratorio fondi di botte rimasti nel mercato, mescolato il bianco con il nero, o il dolce col forte. Ma Don Bosco lo annacquava ancora.            Ed a chi gli chiedeva se così era buono, cercava ancora l’acqua “per farlo più buono”. E poi aggiungeva: «Ho rinunziato al mondo e al demonio, ma non alle pompe», alludendo alle pompe per attingere l’acqua (cf MB 4,189-192).   Nel cestino dei grissini            Così descriveva il Card. Giovanni Cagliero la sua entrata in Casa Pinardi il 2 novembre 1851: «Ricordo, sempre il momento della mia entrata all’Oratorio la sera del 2 novembre. Don Bosco mi presentò alla buona Mamma Margherita dicendo: “Ecco, mamma, un ragazzino di Castelnuovo che ha buona volontà di fare il bravo e di studiare!” Rispose la mamma: “Oh, sì, tu non fai altro che cercare ragazzi, mentre sai che manchiamo di posto”. Don Bosco sorridendo soggiunse: “Oh, qualche cantuccio lo troveremo”. “Mettendolo nella tua stanza”.            “Oh, non è necessario. Lo metteremo a dormire nel cestino dei grissini e con una corda lo attaccheremo su in alto ad una trave. Ed ecco il posto belle trovato alla maniera della gabbia dei canarini”. Rise la mamma ed intanto mi cercò un posto per quella sera con un mio compagno ai piedi del suo letto» (cf MB 4,290-291).            Chi avrebbe pensato che quel ragazzino sarebbe diventato uno di primi Salesiani e poi il Capo della prima spedizione missionaria in Argentina, e poi ancora il primo Vescovo ed il primo Cardinale Salesiano? A 88 anni di età esclamava: – Se io rinascessi 88 volte, 88 volte mi rifarei Salesiano!Natale Cerrato
Versione app: 3.25.0 (f932362)