Si è parlato di inaudita barbarie, di incivile brutalità, di disumana efferatezza, di crudeltà sanguinaria. Si è persino arrivati a paragonare - alquanto impropriamente - i poveri tori ai martiri cristiani dati in pasto alle fameliche belve nei circhi romani, durante le persecuzioni.
del 04 agosto 2010
 
             Dal primo gennaio 2012 in Catalogna non si potrà più assistere alle corride. Con una storica decisione, il parlamento di quella regione iberica ha cancellato la plurisecolare “fiesta”, tra un mare di infuocate polemiche.
 
 
             Confesso che la questione non mi ha appassionato più di tanto. Non vi è dubbio che si tratti di un espectáculo de sangre, ove la violenza gioca un ruolo determinante, ma è anche vero che esso discende direttamente dalla tauromachia conosciuta già nel II millennio a.C., ed è indissolubilmente legato alla storia, alla tradizione ed alla cultura mediterranea del popolo ispanico. E, forse, è pure vero che è meglio veder morire un toro nell’arena che in un mattatoio.
             Ciò che più mi ha colpito di questa notizia, in realtà, sono state alcune affermazioni rese nella foga dagli abolizionisti. Soprattutto quelle di autorevoli esponenti politici delle istituzionali catalane.
             Si è parlato di inaudita barbarie, di incivile brutalità, di disumana efferatezza, di crudeltà sanguinaria. Si è persino arrivati a paragonare - alquanto impropriamente - i poveri tori ai martiri cristiani dati in pasto alle fameliche belve nei circhi romani, durante le persecuzioni.
             L’espressione che più ha attirato la mia attenzione, però, è stata quella secondo cui la corrida incarna un’odiosa forma di violenza nei confronti di esseri innocenti e indifesi. Qualcosa non quadra.
             La Catalogna, infatti, è la regione che non solo registra uno dei tassi di aborto più elevati d’Europa, ma anche quella in cui tale pratica avviene spesso fuori dai limiti della legalità e con modalità alquanto barbare. Fece scalpore, ad esempio, qualche anno fa, l’episodio degli aborti su feti di sette e otto mesi compiuti con iniezioni letali.
             Allora, diversi medici di cliniche barcellonesi furono denunciati alla magistratura, e grazie alle perquisizioni eseguite dalla Guardia Civil nelle cliniche del gruppo Cidemex-Tcb - che portarono all’arreso di sei medici, fra cui il responsabile Carlos Morin -, fu scoperto un verminaio di orrori nella pratica sistematica di aborti illegali su pazienti provenienti da tutta l’Europa.
             Oggi il fenomeno dell’aborto è giunto al punto che, per evitare il collasso negli ospedali, l’Assessorato alla Sanità della Catalogna ha deciso di consentire l’assunzione della pillola RU-486 a domicilio, entro la settima settimana di gestazione. La decisione si è imposta a seguito della nuova legge sulla salute sessuale e riproduttiva che ha introdotto l’obbligo di garantire in tutte le strutture sanitarie pubbliche l’interruzione volontaria della gravidanza, finora praticata, nel 98% dei casi, in cliniche private.
             Tale obbligo comporterà, stando alle stime ufficiali rilasciate dall’Assessorato alla Sanità e pubblicate da El Periódico de Catalunya, un ulteriore aggravio di 26.000 interventi ginecologici abortivi all’anno, rispetto a quelli attualmente praticati.
             Gli ospedali catalani non sono in grado di resistere a un simile tsunami, per cui le autorità sanitarie hanno deciso di consentire la distribuzione, nei quarantadue centri regionali di assistenza sessuale, della pillola RU-486 alle donne che intendono interrompere la gravidanza a domicilio. Dallo scorso 5 luglio si può quindi facilmente reperire, nei quarantadue centri regionali di assistenza sessuale, la “pastilla para abortar”, e procedere all’interruzione fai da te.
             L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere l’aborto farmacologico, come ha chiaramente affermato Joaquin Calaf, responsabile del servizio di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale Sant Pau di Barcellona, il quale ha parlato di «uno strumento incruento che le donne possono utilizzare in casa e in forma privata».
             Come si vede sul concetto di crudeltà, e su cosa possa definirsi cruento o incruento, le autorità pubbliche catalane hanno opinioni molto soggettive. È infatti cruento lo spettacolo in cui si uccide un animale, ma è incruento il micidiale veleno con cui si elimina un essere umano. Joaquin Calaf ci deve poi spiegare perché i tori si possano considerare esseri innocenti e indifesi, mentre i bimbi nel grembo di una madre no.
             C’è, invece, una risposta per coloro che hanno esultato all’abolizione della corrida, ritenendo che in questo modo si potrà attenuare o addirittura disinnescare la componente di violenza che caratterizza la società catalana.
             La risposta la affido volentieri alle parole pronunciate due anni fa, lontano dalle polemiche sulla corrida, dal Presidente dell’Asociación de Médicos Cristianos de Cataluña, Fernando García-Faria: «È proprio con l’aborto che la violenza si produce al primo stadio della vita e viene poi diffusa in tutta la società». Parole rimaste, purtroppo, inascoltate.
Gianfranco Amato
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