In Cina l'obbedienza non è più una virtù

In numero crescente, vescovi, preti e fedeli della Chiesa ufficiale rifiutano la sottomissione alle autorità comuniste. Il papa e il cardinale Zen li incoraggiano: 'Basta con i compromessi'.

In Cina l'obbedienza non è più una virtù

da Attualità

del 25 gennaio 2007

Da oggi, in Vaticano, è in corso un incontro 'sub secreto' che ha per oggetto la Chiesa in Cina. Vi partecipano dirigenti della segreteria di stato e della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, ma anche personalità esterne alla curia: il vescovo di Hong Kong, cardinale Giuseppe Zen Ze-kiun (nella foto, col papa), il cardinale Paolo Shan Kuo-shi, di Taiwan, il vescovo di Macao, José Lai Hung-seng, il professor Anthony Lam, dell’Holy Spirit Study Centre di Hong Kong.

 

Al centro dell'attenzione c'è una questione evocata da Benedetto XVI nell'Angelus del 26 dicembre 2006. Ricordando il primo martire santo Stefano e tutti quelli che oggi 'sono perseguitati e soffrono, in vario modo, per testimoniare e servire il Vangelo', Benedetto XVI aveva così proseguito:

 

'Penso a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte a prezzo di gravi sofferenze. Tutta la Chiesa ne ammira l’esempio e prega perché essi abbiano la forza di perseverare, sapendo che le loro tribolazioni sono fonte di vittoria, anche se al momento possono sembrare un fallimento'.

 

Le notizie dalla Cina di questi ultimi mesi confermano proprio questa bipartizione: tra i cristiani che si piegano ai comandi delle autorità comuniste e quelli che vi resistono; tra la Chiesa ufficiale creata dal regime in contrasto con Roma e quella unita al papa e non ufficialmente riconosciuta dallo stato.

 

Ma le stesse notizie mostrano che vi sono divisioni ed evoluzioni anche dentro la Chiesa ufficiale. Tra i vescovi ufficiali, ormai otto su dieci hanno cercato e ottenuto l'approvazione di Roma. E ora si trovano in una scomoda situazione di doppia obbedienza: alla Chiesa universale e alla politica antiromana delle autorità comuniste.

 

Commenta il cardinale Zen, esponente di punta della nuova politica vaticana con la Cina:

 

'Questo compromesso non può durare per sempre. Essere in comunione con il Santo Padre e nello stesso tempo rimanere in una Chiesa che si definisce indipendente è una contraddizione. La Santa Sede, in maniera magnanima, la tollera. Ma è giunto il momento di abbandonare questa contraddizione'.

 

È ciò che stanno già facendo alcuni vescovi della Chiesa ufficiale, che tendono sempre più a sottrarsi alla sottomissione al regime.

 

 

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L'ordinazione episcopale illecita effettuata il 30 novembre nella città di Xuzhou, nel Jiangsu, Cina centro-orientale, è l'ultimo episodio rivelatore di questa situazione in movimento.

 

Illecita è un'ordinazione episcopale che non ha l'approvazione del papa. Essa è punita con la scomunica automatica di chi la compie per sua libera volontà, senza costrizioni. Nei passati decenni, il regime comunista cinese ha fatto ordinare molte decine di vescovi illegittimi. Prima del 30 novembre scorso, le ultime due ordinazioni di questo tipo erano state effettuate il 28 aprile e il 3 maggio 2006, seguite da una dura protesta della Santa Sede. Dopo di che, in giugno, una delegazione vaticana si recò a Pechino a chiedere un alt. Ricevette delle assicurazioni, poi smentite dai fatti.

 

Ma le autorità comuniste hanno faticato più del solito per organizzare la cerimonia del 30 novembre. Al filogovernativo vescovo di Xuzhou, il 94enne Qian Yurong, le autorità volevano affiancare come concelebranti dell'ordinazione illegittima altri vescovi anch'essi della Chiesa ufficiale, ma riconciliati con Roma. Per averli, hanno però dovuto costringerli con la forza. Due vescovi li hanno messi in isolamento e 'trattati' per diversi giorni prima della cerimonia. Altri due li hanno letteralmente sequestrati, senza peraltro ottenere quanto voluto. Uno dei due, Pietro Feng Xinmao, vescovo di Hengshui, ha assistito al rito senza parteciparvi. Mentre il secondo, Li Liangui, vescovo di Cangzhou, è riuscito a scappare e a non farsi riprendere fino al termine della cerimonia, disertata da gran parte dei fedeli.

 

A commento dell'ordinazione illecita la Santa Sede ha emesso il 2 dicembre una nota di protesta, nella quale ha sottolineato lo stato di costrizione in cui hanno dovuto agire sia i vescovi consacranti che il nuovo vescovo ordinato, il 34enne Giovanni Wang Reniei.

 

Il giorno dopo il Natale, Benedetto XVI ha additato come esempio i cristiani che accettano 'tribolazioni' pur di non 'cedere a compromessi'.

 

Ma poche ore dopo le autorità comuniste tornavano a colpire. Il 27 dicembre nove sacerdoti dell'Hebei, appartenenti alla Chiesa non ufficiale, sono stati arrestati. L'Hebei è la regione della Cina con la più alta densità di cattolici, circa un milione e mezzo. Ed è anche la più perseguitata, proprio a motivo del rifiuto della gran parte dei vescovi, dei preti e dei fedeli di iscriversi all'Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, l'organismo con cui il partito comunista esercita il controllo sulla Chiesa ufficiale.

 

Nell'Hebei, negli ultimi dieci anni sei vescovi sono spariti nel nulla. Fra essi, il vescovo della diocesi di Baoding, Giacomo Su Zhimin, arrestato nel 1996.

 

Tra i vescovi cinesi che oggi hanno più di cinquant'anni, anche appartenenti alla Chiesa ufficiale, praticamente tutti sono sono stati per un certo periodo in prigione o nei lager. Lo scorso 7 gennaio è morto il più anziano di loro, Giuseppe Meng Ziwen, vescovo non ufficiale di Nanning nel Guagxi. Aveva 103 anni e fino a poco tempo prima diceva messa ogni domenica in tre parrocchie diverse. Era stato per più di vent'anni ai lavori forzati. Il regime non lo riconobbe mai come vescovo.

 

Oggi in Cina le persecuzioni contro i cristiani continuano, sia pure non paragonabili a quelle degli anni di Mao Zedong e della Rivoluzione Culturale. Però stanno man mano scomparendo i testimoni del grande martirio.

 

Restano i loro resoconti. Sui quali si è pubblicato pochissimo, anche fuori della Cina, anche nei paesi liberi, anche nel resto della Chiesa cattolica, almeno fino a poco tempo fa.

 

Questo silenzio dipendeva in gran parte da ragioni politiche, e di politica ecclesiastica. 'Ma continuare sulla strada del silenzio sarebbe oggi un errore incomprensibile e imperdonabile', scrive il cardinale Zen.

 

Lo scrive nella prefazione a un libro uscito quest'inverno in Italia – curato dal Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano – che per la prima volta raccoglie e offre al grande pubblico i racconti di alcuni dei cattolici cinesi perseguitati o uccisi tra il 1940 e il 1983.

 

I primi due testi che compongono questo volume sono i diari della prigionia e dei lavori forzati, durati rispettivamente trenta e venticinque anni, dei sacerdoti Francesco Tan Tiande e Giovanni Huang, il primo dei quali tuttora in vita.

 

Il terzo documento è la vita di un altro sacerdote, padre Li Chang, morto nel 1981, scritta dal cugino Li Daoming, anch’egli prete.

 

Segue l'autobiografia di una giovane cattolica, Geltrude Li, scritta a penna su piccoli fogli che arrivarono in Occidente nascosti nelle scarpe di un missionario, padre Giovanni Carbone del Pontificio istituto Missioni Estere, espulso dalla Cina nel 1952.

 

Chiude la raccolta il resoconto del martirio di trentatré monaci cistercensi di stretta osservanza del monastero di Yangjiaping, uccisi al termine di una 'via crucis' di tormenti, nel 1947.

 

E questa che segue è la prefazione al libro, scritta dall'attuale vescovo e cardinale di Hong Kong:

 

 

 

'Quanti innocenti condotti come pecore al macello...'

di Giuseppe Zen Ze-kiun

 

Nel febbraio del 2006, mentre ero a Roma per essere fatto cardinale, ho celebrato una messa per i cattolici della mia nazione, la Cina, durante la quale ho detto: 'Il colore rosso che indosso esprime la disponibilità di un cardinale a versare il proprio sangue. Ma non è il mio sangue che è versato: sono il sangue e le lacrime dei numerosi eroi senza nome della Chiesa ufficiale e sotterranea che hanno sofferto per essere fedeli alla Chiesa'.

 

Tra i numerosi cattolici che sono stati imprigionati per trenta o più anni in Cina, non sono pochi coloro che ci hanno lasciato le loro memorie. Molte di esse sono state tenute nel cassetto per un lungo periodo. C’erano motivazioni valide per farlo: non si volevano urtare le autorità politiche e mettere ancor più in pericolo i nostri fratelli di fede. Però bisogna ammettere che c’era anche una specie di riluttanza, persino da parte di membri della Chiesa, nel denunciare chiaramente le persecuzioni subite sotto il regime di Mao. Per molti anni il maoismo è stato esaltato, oltre il limite della ragionevolezza. Anche coloro che non erano d’accordo non hanno avuto il coraggio, o la libertà interiore, di parlare fuori dal coro ideologico, forse per non essere annoverati fra i reazionari.

 

Ma oggi continuare sulla strada del silenzio sarebbe un errore incomprensibile e imperdonabile. Come spesso ci ha ricordato Giovanni Paolo II, abbiamo il dovere della memoria, e in particolare della memoria dei martiri del XX secolo, di tutti i martiri, sotto qualsiasi regime, senza pi√π nessuna reticenza.

 

I confessori e i martiri della Chiesa di Cina appartengono all’intera cristianità ed è nostro dovere, oltre che diritto, presentare le loro testimonianze perché alimentino la fede dei cristiani di tutto il mondo.

 

Oltretutto le vittime – o forse meglio i protagonisti – di quella stagione di persecuzione stanno ormai scomparendo. Davvero non c’è più nessun motivo per continuare a tacere. Anzi, mi auguro che i giovani sacerdoti e i fedeli cinesi raccolgano dalla bocca degli anziani le storie di sofferenza e martirio che non sono state ancora registrate, di cui si rischia di perdere la memoria per sempre. Questa “raccolta della memoria” credo sia uno dei servizi che i giovani cattolici cinesi possono rendere alla nostra Chiesa, alla nostra nazione e alla Chiesa universale.

 

Mi rendo conto che questo libro, tra i primi nel suo genere, raccoglie solo una frazione delle testimonianze disponibili. In ogni caso, la raccolta qui contenuta è di grande valore umano e spirituale.

 

Come vescovo di Hong Kong, mi sento particolarmente in dovere di segnalare la relazione tra alcuni dei protagonisti di questo libro e la Chiesa di Hong Kong.

 

Padre Francesco Tan Tiande ha trascorso trent’anni di durissimi lavori forzati, segnati dal freddo (fino a 40 gradi sotto zero), dalla fame e dalla depressione. È molto conosciuto e stimato dai cattolici di Hong Kong, che numerosi lo vanno a trovare nella vicina Canton. I nostri fedeli rimangono costantemente edificati dalla sua fortezza e serenità, che emerge così chiaramente anche dal suo diario pubblicato in questo libro. [...]

 

Padre Giovanni Huang è stato un sacerdote della diocesi di Hong Kong. [...] Ha vissuto venticinque anni terribili in un campo di lavoro del nord della Cina, con temperature glaciali. Oltre a quella di essere prete, la sua grande colpa fu di essere figlio di un piccolo proprietario terriero. Durante la Rivoluzione Culturale la fabbrica in cui fu mandato ai lavori forzati divenne un inferno: più di mille detenuti si suicidarono disperati. [...]

 

I protagonisti della “marcia della morte”, una dolorosissima via crucis, sono monaci della trappa di Nostra Signora della Consolazione, situata a Yangjiaping nell'Hebei, un centinaio di chilometri a nord-ovest di Pechino. A Hong Kong, nell’isola di Lantau, abbiamo il dono della presenza di altri monaci che provengono dalla trappa di Nostra Signora di Liesse, sempre nella provincia dell'Hebei, a sua volta colpita dalla furia della persecuzione. La testimonianza dei trappisti di Yangjiaping tiene viva la memoria di uno degli atti di crudeltà più atroci compiuto dai comunisti contro la comunità cattolica.

 

Molto importanti sono anche le altre testimonianze incluse in questa raccolta: quella di padre Li Chang, che pure ha studiato nel seminario di Hong Kong, originario della vicina provincia di Guangdong, e di Geltrude Li, la cui autobiografia ci è pervenuta nascosta nelle scarpe di un missionario.

 

L’editore mi ha anche chiesto di aggiungere a questa introduzione una mia testimonianza personale, diretta. Io sono nato a Shanghai, ma ho lasciato la mia città natale nel 1948, prima dell’ascesa al potere del partito comunista, in quanto il noviziato dei salesiani, ai quali appartengo, era a Hong Kong. Personalmente dunque, grazie a Dio, non sono stato vittima diretta del regime. Ma conosco bene le sofferenze inflitte alla Chiesa della mia città natale.

 

L’episodio più rilevante accadde il tragico 8 settembre del 1955, quando con una gigantesca retata la polizia arrestò centinaia di cattolici, dal vescovo ai sacerdoti, dai catechisti ai fedeli membri delle associazioni, soprattutto la Legione di Maria. Furono condotti allo stadio delle corse dei cani, dove il vescovo, l’eroico Ignazio Gong Pinmei – creato cardinale in pectore nel 1979 mentre era ancora in prigione –, invece che rinnegare la fede gridò, tra la commozione dei cattolici là ammassati e lo sdegno dei carcerieri: 'Viva Cristo re, viva il papa'.

 

La chiesa di Shanghai annovera decine e decine di confessori della fede: sacerdoti, religiosi e laici morti in prigione, a causa dei maltrattamenti e della fame. Molti sacerdoti di Shanghai erano gesuiti, a causa dell’antichissima presenza della Compagnia di Gesù nella mia città. Sono gesuiti anche gli attuali due vescovi della diocesi, Luigi Jin e Giuseppe Fan.

 

C’era una famiglia, di cognome Zhu, che era particolarmente nota ai cattolici di Shanghai e la cui storia ha commosso persone in tutto il mondo. Mamma Martina, vedova, aveva otto figli, di cui quattro divennero sacerdoti gesuiti. Con l’eccezione di Michele, che si trovava a Roma presso la curia generalizia, furono tutti imprigionati l’8 settembre: anzi, il maggiore, Francesco Saverio, era ai lavori forzati già da due anni. Mamma Martina, chiamata “l’addolorata” dai cattolici di Shanghai, per quasi tre anni si recò a trovare ciascuno dei figli nelle diverse prigioni in cui erano rinchiusi. Andava a piedi, facendo chilometri per risparmiare quei pochi centesimi che le permettevano di portare loro qualche piccola cosa. Sebbene insultata dalle guardie, incoraggiava ciascuno dei figli ad andare avanti, ad accettare volentieri le sofferenze, a conservare la fiducia in Dio. Infine i figli furono trasferiti in campi di lavoro, in province lontane. Per oltre vent’anni mamma Martina non li ha più rivisti. Furono liberati solo all’inizio degli anni Ottanta, ma non Francesco Saverio, che morì in carcere nel 1983.

 

Una figura notevole fu anche il gesuita padre Beda Zhang, una personalità molto nota a Shanghai, tra i primi a essere arrestato. Il governo sperava di convincerlo a persuadere i cattolici a staccarsi dalla Chiesa e dal papa. Subì ogni sorta di pressione, e quando divenne chiaro che non si sarebbe lasciato convincere, passarono alla violenza e alla tortura. I detenuti vicino alla sua cella lo udivano spesso invocare i nomi di Gesù, Maria e Giuseppe, poi sentirono solo i suoi lamenti. Dopo 94 giorni di detenzione padre Beda morì: il primo martire della nostra Chiesa di Shanghai.

 

Quanti ricordi dei miei confratelli salesiani! Quelli stranieri furono espulsi, anche se non erano affatto 'nemici del popolo', anzi, erano umili, generosamente dedicati alla loro missione. E quanti innocenti confratelli cinesi condotti, come pecore al macello, verso lunghe e strazianti detenzioni!

 

Qualche volta mi chedono: la Chiesa in Cina è ancora perseguitata oggi? Non è semplice rispondere a questa domanda con una breve frase perché, come si sa, la situazione è assai complessa. Il regime comunista, responsabile delle sofferenze descritte in questo libro, è ancora al potere; pur avendo rigettato la politica radicale del maoismo, non ha mai chiesto perdono per le violenze inflitte ai credenti e a tantissimi altri cinesi innocenti. Dal punto di vista politico, la causa ultima della persecuzione contro i cristiani è ancora ben in piedi: il sistema del partito unico, che governa ininterrottamente da quasi sessant’anni, senza mandato e verifica popolare, senza democrazia.

 

Se certamente non ci sono più le persecuzioni sistematiche e in larga scala del periodo maoista, tuttavia la sofferenza della Chiesa non è affatto terminata. Le comunità e i vescovi della Chiesa ufficiale o “aperta”, cioè riconosciuta dal governo, sono sottoposti a continui controlli, interferenze, abusi e molestie. Quindi le comunità della Chiesa ufficiale e i suoi leader non sono affatto liberi, come sembra a qualche osservatore superficiale. Quanto alle comunità chiamate “clandestine” o “sotterranee”, che rifiutano a buon diritto di sottomettersi alla politica religiosa del governo, sono sottoposte a continui soprusi e violenze, cosicché non sarebbe esagerato parlare, in questi casi, di persecuzione.

 

Devo denunciare che, purtroppo, ci sono ancora varie decine di vescovi, preti e laici detenuti, agli arresti domiciliari o confinati. Ci sono persino sei fratelli vescovi di cui, da vari anni ormai, non si hanno pi√π notizie. Vorrei in particolare menzionare il vescovo Giacomo Su Zhimin, della diocesi di Baoding, nell'Hebei, scomparso da circa dieci anni. Anche del suo ausiliare, Francesco An Shuxin, per nove anni non si sono avute notizie. [...]

 

Anch’io, come i protagonisti di questo libro, mi sono chiesto più volte il perché di tanta sofferenza e violenza. La nostra fede in Dio, anche se non sempre sembra darci risposte immediate, rimane l’unico modo per conservare la speranza e la forza. Mentre sto scrivendo queste pagine, ho letto la bellissima catechesi che Benedetto XVI ha offerto ai fedeli mercoledì 23 agosto 2006.

 

Commentando l’Apocalisse, il Santo Padre affronta con la sua impareggiabile profondità il dramma della persecuzione contro i discepoli di Cristo. Desidero concludere questa mia presentazione con le parole stesse del papa:

 

'La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così scuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà e incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell’uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio. [...] L’Apocalisse di Giovanni, benché pervasa da continui riferimenti a sofferenze, tribolazioni e pianto – la faccia oscura della storia –, è altrettanto permeata da frequenti canti di lode, che rappresentano quasi la faccia luminosa della storia. [...] Siamo qui di fronte al tipico paradosso cristiano, secondo cui la sofferenza non è mai percepita come l’ultima parola, ma è vista come punto di passaggio verso la felicità'. 

 

Sì, è proprio così: le pagine che leggerete non sono innanzitutto pagine di sofferenza e dolore; sono anche, e soprattutto, pagine di gioia. Con tanti altri, posso confermare anch’io le parole del Santo Padre. I numerosi vescovi, sacerdoti e fedeli incontrati nelle mie lunghe permanenze in Cina, nonostante i lunghi e terribili periodi di detenzione, erano persone felici e serene. Nessuno ci potrà togliere la gioia e la bellezza di essere discepoli di Gesù.

 

Hong Kong, 27 agosto 2006

Sandro Magister

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