Vincitore o perdente, il marciatore di Vipiteno ancora una volta ha raccontato in mondovisione quant'è arduo e insidioso il sentiero che conduce all'olimpo degli dei: un percorso dove la forza del fisico e l'esplosività dei muscoli deve sapersi armonizzare con l'ordine del cuore e la serenità della testa: pena la stonatura di un gesto atletico.
del 04 agosto 2010
             La diagnosi è stata sorprendente e per certi versi tenerissima: 'il vero problema è che da due anni non riesco più a gioire'. Ecco spiegato il vero motivo per cui, a 15 km dall'arrivo della 50 km di marcia agli Europei di Barcellona 2010, l'altoatesino Alex Schwazer ha ammainato la bandiera e si è ritirato.
 
             Dopo la medaglia d'argento nella 20 km di marcia, l'Italia dell'atletica s'era aggrappata alla tenacia sobria di questo ragazzo del profondo Nord per ripetere quella bellissima pagina di storia scritta a Pechino 2008 dove, dopo aver conquistato l'oro dell'olimpiade, se ne uscì con un'espressione degna della migliore prefazione a qualsiasi trattato di educazione sportiva: 'non sono felice perchè ho vinto, ma ho vinto perchè sono felice'. A distanza di due anni, invece, la sobrietà delle sue parole - asciutte come il fisico impeccabile - hanno dato ragione al rovescio della vittoria: la sconfitta come mancanza di gioia.
             Vincitore o perdente, il marciatore di Vipiteno ancora una volta ha raccontato in mondovisione quant'è arduo e insidioso il sentiero che conduce all'olimpo degli dei: un percorso dove la forza del fisico e l'esplosività dei muscoli deve sapersi armonizzare con l'ordine del cuore e la serenità della testa: pena la stonatura di un gesto atletico. Gli allenamenti in altura, la capacità di sopportare quella solitudine dalla quale emerge la concentrazione, la meticolosità degli allenamenti, la massacrante costanza di tempi e ritmi da rispettare: dentro il suo sito internet è registrato tutto il perfetto iter d'avvicinamento.
             Eppure venerdì mattina la testa ha presentato un conto altissimo: ha mostrato che il talento, fosse anche il più brillante possibile, necessita della gioia per poter esplodere in pienezza. Persa dunque la medaglia, rimane la lezione più bella che, al pari delle profezie raccontate dalla Scrittura Sacra, necessita adesso di qualcuno che ne raccolga il mantello per farne tesoro. Ed è bello che s'offra al mondo proprio nella stagione del riposo e del relax: stagione nella quale gli argini di città accolgono gente che s'appresta a correre, i villaggi turistici registrano il pienone nelle loro palestre, le montagne raccontano di sfide amatoriali per ritrovare il gusto del combattimento sportivo.
             Perchè lo sport, per sua natura, è una bellissima metafora sulla quale salire per allenarsi a decifrare l'esistenza. Non sarà forse un caso che anche quest'anno lavorativo - che c'apprestiamo a chiudere con le meritate vacanze - c'abbia lasciato il sospetto di una gioia che è venuta a mancare.
             A Schwazer la mancanza della gioia ha reso una sconfitta continentale: all'uomo del quotidiano la mancanza della gioia ha recato l'annuncio di decine di suicidi di imprenditori, di parecchie famiglie che passeranno divise le vacanze, di giovani storie ormai incapaci di spiccare voli degni della loro età. Di una triste malinconia che serpeggia devastante tra le increspature delle anime. Cosicchè paura e desiderio, fiducia e imprecazione, lamento e gioia, passione e desolazione, angoscia e turbamento, smarrimento e coinvolgimento, apprensione e amabilità, spossatezza e brio non sono stati d'animo poi così banali ma mostrano essere condizioni necessarie per costruire e inseguire la vittoria in qualsiasi settore della nostra vita.
             Sotto il sole dell'estate e la dolcezza del riposo, quest'anno troviamo forse la possibilità più bella: allenarci a riconquistare la gioia di vivere partendo dalle cose più semplici e quotidiane. Perchè correre in 'debito d'ossigeno' è presupposto di una possibile crisi. Ma anche vivere il 'debito di gioia' non è da meno.
don Marco Pozza
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