“Crediamo che la miglior soluzione, della quale abbiamo parlato con la Santa Sede, sia quella di una Gerusalemme aperta, capitale di due Stati, perché in termini di pace è meglio pensare il meglio. Per esempio l'ovest palestinese, l'est israeliano". L'ingresso della Palestina all'Onu è una partita che si sta giocando su diversi piani...
del 30 settembre 2011
 
Consigliere di Mahmoud Abbas a Roma: “Grati per posizione della Santa Sede”          Nemer Hammad, ex rappresentante dell’Olp in Italia e oggi consigliere politico del Presidente Mahmoud Abbas, ha svolto questo mercoledì un briefing con i giornalisti della Stampa Estera, esponendo i punti di vista del suo Governo sulla richiesta in corso alle Nazioni Unite che sollecita il riconoscimento dei Territori Palestinesi come uno Stato.
          Interpellato da ZENIT sul discorso alle Nazioni Unite di monsignor Dominique Mamberti, segretario per le Relazioni con gli Stati della Santa Sede, Hammad ha espresso gratitudine e ha indicato: “La  Santa Sede storicamente ha questo grande rispetto per i valori religiosi, umanitari, e rispetto per la vita. Io non dimentico due cose: la prima è una frase di Giovanni Paolo II, ripetuta da Abu Mazen nell’Assemblea generale dell’ONU: 'Abbiamo bisogno di ponti e non di muri'”.
“La seconda è il viaggio in Medio Oriente di Benedetto XVI. Lui ha visto cosa significa vivere nei campi profughi, e che questa sofferenza deve finire”.
          “Io credo a questa posizione da parte della Santa Sede a favore del diritto del popolo palestinese allo stato di sovranità”, ha proseguito. “La Santa Sede sa che in Palestina non c’è alcuna differenza tra un palestinese cristiano e un palestinese musulmano. Siamo grati, riconoscenti per la posizione politica e anche per l’aiuto al nostro popolo e l’istruzione, anche universitaria”.
          Sulla proposta della Santa Sede a favore di uno status internazionale per Gerusalemme come soluzione valida, il consigliere palestinese ha indicato: “Se lo status internazionale vale per tutta Gerusalemme, vale a dire est o ovest, è possibile discutere. Non deve essere però una cosa teorica, perché sia gli israeliani che i palestinesi sono legati alla città”.
          “Crediamo che la miglior soluzione, della quale abbiamo parlato con la Santa Sede, sia quella di una Gerusalemme aperta, capitale di due Stati, perché in termini di pace è meglio pensare il meglio. Per esempio l’ovest palestinese, l’est israeliano. E i luoghi santi garantiti dai leader spirituali, perché Gerusalemme deve rimanere una città santa per tre religioni. Trovo invece l’internazionalizzazione molto più difficile”.
          Sul pericolo di una guerra di matrice religiosa collegata alla radicalizzazione esistente in alcuni Paesi contro le minoranze religiose, ha detto a ZENIT che “in qualsiasi parte del Medio Oriente noi condanniamo qualsiasi tipo di discriminazione religiosa. Crediamo in una patria per tutti e che ciascuno possa pregare Dio come crede. Speriamo tutti lo possano capire”.
E l’atteggiamento dell’Iran? “Danneggia solo la causa palestinese”, ha detto Hammad.
          Durante il briefing ha anche parlato della proposta alle Nazioni Unite. “Non è ancora chiaro – ha detto - se ci saranno i voti per la richiesta. Ci appoggiano 128 Stati e siamo fiduciosi. Poi non è che l’Assemblea delle Nazioni Unite dà lo status come membro effettivo. Si passa prima a essere osservatore”.
          Circa la posizione dell’Italia, il consigliere di Mahmoud Abbas ha considerato che “era tra i maggiori sostenitori di 'due popoli e due Stati'”, e ha auspicato che “esprima una chiara condanna per gli insediamenti, visto che rendono difficile il processo di pace. Mi auguro che il Ministro Frattini non usi le stesse parole degli americani, come ‘dispiaciuti’, e invece impieghi parole come 'condanna'”. E ha aggiunto: “Oggi noi riconosciamo Israele, e vorremmo sentir dire dall’Italia qualcosa su chi non riconosce lo Stato palestinese”.
          Hammad ha considerato che i negoziati con Israele si devono basare o sulle frontiere del 1947 o su quelle del 1967. Circa la prima possibilità, Israele non è d'accordo. Allora, ha detto, “bisogna riconoscere quelle del '67, perché per poter negoziare ci vuole il riconoscimento ufficiale del nostro Stato su un territorio ben definito e conosciuto. Questo non significa l’indipendenza il giorno dopo. Poi bisognerà negoziare, profughi, acqua, insediamenti, ecc”.  Il consigliere palestinese ha considerato che se si parte da qui per il futuro si potranno avere due Stati, quello ebraico e quello palestinese; al contrario, “fra 20 anni nascerà una situazione diversa e si dovrà pensare a uno Stato binazionale”.
          Hammad ha indicato ai giornalisti un punto centrale: “Israele ha bisogno di sicurezza e noi di sovranità”, e ha aggiunto che in un recente piano di sicurezza americano la proposta era presenza internazionale delle forze NATO guidate dagli USA alle frontiere; impegno della forza internazionale NATO guidata dagli Usa per addestrare le forze dell'ordine palestinesi; garantire che lo Stato palestinese non possa avere armi pesanti né patti militari con altri Paesi.
Nell’incontro con Condoleezza Rice, il territorio palestinese è stato definito come la striscia di Gaza, la Cisgiordania compresa Gerusalemme Est e il Mar Morto.
Questo, ha detto, “è stato accettato dal Governo israeliano e da noi, ma Netanyahu non lo riconosce”.
          Ha poi indicato come il Presidente Obama in un discorso nel 2010 abbia detto: “Mi auguro il lavoro per la presenza di uno Stato dentro le Nazioni Unite che aspettiamo da molti anni, la Palestin”,  anche se oggi “siamo un po’ sorpresi dal suo cambiamento”, ha confessato Hammad.
La costruzione di nuovi insediamenti, ha ribadito, aggrava il problema. “Oggi sono 325 mila i coloni, entro due mesi saranno 340 mila. Questo complica un accordo”.
           Sulla “Primavera araba”, il consigliere palestinese ha indicato “Appoggiamo chi cerca la sua libertà”, e ha precisato che “l’attuale richiesta all’ONU era stata preparata molto prima di questi fatti”.
          “La richiesta sta arrivando un po’ tardi, ma ora il punto è capire come continuare”, ha riconosciuto. “Ci sono israeliani che vogliono dei leader palestinesi che parlino di missili, kamikaze ecc.”, ha concluso. “Invece noi vogliamo una resistenza pacifica e popolare, ma mai usare le armi e neanche i sassi”.
 
Nuovi insediamenti israeliani, dure reazioni
          L’annuncio israeliano della costruzione di 1100 nuovi insediamenti a Gerusalemme est piomba come un macigno sulle speranze di un nuovo negoziato di pace accese dalla richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese appena avanzata all’Onu.
La reazione del capo negoziatore palestinese.
“Annunciando questi nuovi insediamenti – dice Saeb Erekat – , oggi Israele ha pronunciato 1100 ‘no’ alla ripresa del negoziato e alla soluzione dei due Stati. Americani, europei, russi e l’Onu si confrontano ora con questi 1100 ‘no’ detti da Netanyahu. Il suo governo ha scelto gli insediamenti e non la pace”.
La responsabile della diplomazia europea Catherine Ashton ha criticato la decisione israeliana e una ferma reazione è giunta anche dagli Stati Uniti.
“Lo consideriamo – ha detto la portavoce del Dipartimento di Stato Usa Victoria Nuland – un atto controproducente rispetto ai nostri sforzi di riprendere un negoziato diretto tra le parti; da tempo abbiamo sollecitato le parti a evitare azioni che possano compromettere la fiducia reciproca, anche a Gerusalemme”.
Nel suo discorso all’assemblea generale dell’Onu, il premier israeliano Benyamin Netanyahu si era detto pronto a un negoziato senza precodinzioni, mentre il presidente dell’Anp Mahmud Abbas aveva chiesto il congelamento di nuovi insediamenti.
 
Al Consiglio di sicurezza si discute la candidatura palestineseDopo l’approvazione di massima, da parte di Israele, del processo di pace stilato dal Quartetto dei mediatori per il Medio Oriente, cioè Onu, Unione Europea, Stati Uniti e Russia, lo Stato ebraico ha annunciato la realizzazione di nuovi insediamenti, proprio mentre da domani al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si discute la candidatura della Palestina alle Nazioni Unite, dove sembrano esserci almeno otto membri non permanenti favorevoli.
Su questi aspetti, Giancarlo La Vella ha raccolto l’analisi di Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente: R. - L’ingresso della Palestina all’Onu è una partita che si sta giocando su diversi piani. C’è la questione della domanda ufficiale, presentata al Consiglio di Sicurezza, che sta andando avanti con le sue procedure, procedure che però, già non immediate di per sé, andranno poi a rilento anche per il tentativo – soprattutto da parte degli Stati Uniti – di evitare di arrivare ad utilizzare il diritto di veto e quindi di evitare di doversi esporre nei confronti dell’opinione pubblica dei Paesi arabi. Teniamo presente che serve, comunque, una maggioranza di nove voti per avere il “sì” del Consiglio di Sicurezza e, in questo momento, la Palestina non ce li ha ancora. Parallelamente a tutto questo, sta andando avanti anche il tentativo del Quartetto di rimettere attorno al tavolo dei negoziati gli israeliani e i palestinesi, ma questo è un tentativo tutto in salita.D. - Quali sono i punti di base del piano di pace stilato del Quartetto su cui sembra ci sia stata un’approvazione di massima israeliana?R. - Il piano del Quartetto è molto vago: non si va oltre la questione di una ripresa del negoziato. Ci sono, è vero, delle scadenze, nel senso che entro tre mesi ci sarebbe un impegno a portare le proposte sul tavolo per quanto riguarda la definizione dei confini, però questo è un tema sul quale le parti sono talmente lontane che, senza un forte arbitrato da parte della comunità internazionale, è impensabile un accordo. Dall’altra parte, i palestinesi ripetono comunque la loro condizione: non negozieranno sinché non ci sarà un congelamento dell’espansione degli insediamenti, cosa che Israele non accetta.D. - Proprio su questo aspetto, l’argomento degli insediamenti sembra essere usato da Israele sia nei confronti della comunità internazionale sia nei confronti dei palestinesi stessi…R. - Qui si gioca sostanzialmente su un’ambiguità di fondo. Per la legge israeliana gli insediamenti e le costruzioni all’interno di Gerusalemme est sono due cose diverse. Mentre Gerusalemme est è un territorio dello Stato israeliano a pieno titolo, gli insediamenti, invece, hanno uno status giuridico particolare e questi di Ghilo – di cui si parla in queste ore – sono di Gerusalemme est. In queste ore Netanyahu sta quindi rispondendo alle obiezioni, dicendo che questi non sono insediamenti ma trattasi della normale espansione della città di Gerusalemme. La verità è che, ancora una volta, siamo di fronte all’ambiguità di questo processo di pace, perché è evidente che c’è una “questione-Gerusalemme” che, prima o poi, bisognerà mettere al centro dell’attenzione. (vv)
 
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