Agganciare la ricerca della felicità a valori in grado di durare ben oltre una fuggevole soddisfazione di esigenze materiali. La scoperta di una felicità di natura spirituale, che per i cristiani in particolare per i giovani, sulla scorta delle parole dell'indimenticato Papa Giovanni Paolo II, vede nella fede in Gesù Cristo l'approdo degli aneliti più profondi del cuore umano.
La sera di sabato 19 agosto 2000, nella spianata di Tor Vergata (Roma), davanti a quasi due milioni di giovani, nella veglia di preghiera per la Giornata Mondiale della Gioventù, il Beato Giovanni Paolo II pronunciò questa frase, all’interno di un discorso memorabile in cui rilanciava con forza l’idea di creare per i giovani veri e propri “laboratori della fede” per il terzo millennio.
In tali “laboratori”, spiegava il Papa, ogni giovane avrebbe potuto “ritrovare in se stesso la dialettica di domande e risposte sul senso dell’esistenza; […] vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche la tentazione dell’incredulità; […] ma anche sperimentare una graduale maturazione nella consapevolezza e nella convinzione della propria adesione di fede”. Tale laboratorio della fede, sottolineava il Santo Padre, è il luogo in cui “s’incontrano tra loro Dio e l’uomo”.
Nell’Anno della Fede, a distanza di oltre 13 anni da quell’evento, un altro Papa, Benedetto XVI, ha indicato per la Chiesa un cammino da percorrere che ricorda tanto la dinamica del “laboratorio” suggerito dal suo predecessore e questa dinamica non è solo destinata ai giovani di oggi, ma a tutti, adulti, bambini e anziani compresi. Come mai si è allargata questa offerta, perché si è sentito l’esigenza di proporre a tutti, indistintamente, questa dinamica per riscoprire la fede?
La felicità “materiale”: crollo di un mito
È vero che i tempi sono mutati e che quando parliamo del 2000 sembra che stiamo parlando di secoli fa. L’entrata nel terzo millennio sembrava l’inizio di una nuova e prosperosa era, sicuramente più felice della precedente. Tale previsione, però, è stata irrimediabilmente smentita da una serie di guerre, attentati e conflitti che si sono fatti sentire a livello mondiale ed hanno avuto conseguenze serie nella società e nell’economia globale. È crollato il mito della felicità e forse è proprio per questo, ci ricorda il Santo Padre, che è così necessario fare luce su ciò che davvero soddisfa pienamente l’uomo.
Oggi non di rado ci si imbatte con gravissimi casi di infelicità e di tristezza cronica tra i ragazzi e gli adolescenti, coloro che, proverbialmente, dovrebbero essere i più “spensierati” e “felici”. I casi di suicidio tra i più piccoli sono, nel nostro Occidente così avanzato, in spaventoso aumento. Nella società del progresso in cui si è mitizzata la pretesa di poter soddisfare l’io in tutti i suoi bisogni e desideri, alla fine si è creato un essere umano profondamente infelice.
Una felicità “spirituale”
Probabilmente a causare questo scompenso è stata la scelta di considerare la persona umana solo secondo alcune delle sue dimensioni, dimenticandone le più importanti. Si è infatti creduto che creando e soddisfacendo le esigenze umane dal punto di vista fisico, sociale e affettivo, si sarebbero controllati i conflitti e placati gli animi. Ci si è invece colpevolmente dimenticati che disattendendo le dimensioni più profonde, ovvero quella intellettuale e quella spirituale, si sarebbero creati gravi scompensi anche nelle altre dimensioni.
Quando si considera la spiritualità come una dimensione propria dell’essere umano, ci si riferisce proprio alla ricerca della felicità, che ognuno, coscientemente o inconsapevolmente, nell’arco della sua esistenza, compie con più o meno successo, secondo le sue credenze, inclinazioni e scelte religiose. Proprio perché è un essere umano, ognuno di noi è un cercatore di quell’Assoluto che lo fa sentire pieno, importante, amato. In altre parole, felice.
Purtroppo sembra che il mondo attuale (o meglio, l’ideologia imperante nel contesto occidentale avanzato) abbia scelto di non essere in grado di dare un nome all’Assoluto, rinchiudendo qualsiasi fede nell’ambito del privato o circondandola di un alone mitico che la rende affascinante ma, nello stesso tempo, lontana e priva di vero valore.
La fede che rende felici
È allora in questo contesto che la frase del beato Giovanni Paolo II ai giovani di Tor Vergata si rivela certamente profetica. In un mondo che non sa più cos’è la felicità, la parola del Papa ci ricorda che essa ha un nome ed è ben identificabile in Gesù di Nazaret, e che la nostra vita si risolve nella misura in cui ci si incontra con quella persona, l’unica che può soddisfare i più intimi desideri del nostro cuore.
Nelle catechesi che conduce nelle udienze generali, lo scorso 7 novembre 2012, Benedetto XVI ha lanciato l’idea della “pedagogia del desiderio”, per risvegliare l’uomo contemporaneo dal torpore in cui è caduto, per favorire in lui la nascita e lo sviluppo di quella sana inquietudine che lo porti a scrutare nel suo cuore e a trovare quegli interrogativi che lo spingano alla ricerca della felicità. Tale “pedagogia” potrà guarire l’uomo e aprirlo verso un processo nuovo di “incontro personale” con Cristo. E questo “processo”, finalmente, si potrà chiamare con il suo nome: “cammino di fede”.
Desiderare Gesù Cristo
“Pedagogia del desiderio”, “laboratorio della fede”, “cammino di fede”. Più si approfondiscono queste espressioni e più si ci rende conto che la ricerca della felicità è qualcosa di impegnativo e richiede fatica. Del resto, avvicinarsi a Gesù, conoscerlo, affidarsi a lui non è mai stato facile e si può avere paura di certe sue richieste. Il suo stile di vita è sempre andato controcorrente proprio perché è stato coerente fino alla fine nell’obbedienza al Padre e questo lo ha reso pienamente libero e fonte di libertà. E forse proprio questo lo ha sempre reso e sempre lo renderà attraente e affascinante.
La felicità non è un mito lontano dall’uomo. È possibile raggiungerla già qui e ora. Guardando a Gesù di Nazaret e imparando ad amare come ama lui, spingendoci, audacemente “oltre”, si può sicuramente realizzare quel “sogno” che oggi, con tanto affanno e in mille direzioni, si ricerca come non mai.
Matteo Sanavio
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