La vita quotidiana è scandita da momenti, ma in «questi momenti della nostra vita è racchiuso, come in un nocciolo, il germe dell'eternità». L'orologio ci offre la misura quantitativa del tempo, ma la sua qualità dipende da noi...
del 05 novembre 2008
Leggere nella propria storia personale le piccole e quotidiane chiamate di Dio.
 
I filosofi pagani avevano ragione quando dicevano che l’uomo è un albero capovolto:
le vere radici dell’uomo, benché nate dalla terra, sono le “radici del cielo”.
Come “l’albero, che non avendo sufficiente terra per coprire le radici, non può vivere”,
così “l’uomo, che non ha una particolare attenzione alle cose celesti, non può vivere”.
(FdSales, Sermons, vol. III)
 
 
In mezzo alle vicende del vivere quotidiano (studio/lavoro, attività di volontariato, divertimento) si alternano e si contrappongono, in noi, una gamma di sentimenti, desideri, emozioni diverse. Dentro di noi convivono, quasi inspiegabilmente, desideri inconciliabili e contrapposti fra loro, lasciandoci sempre nell’incertezza di ciò che veramente vogliamo.
 
«Un orologio, per buono che sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno... e almeno, una volta all’anno, bisogna smontarlo completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e sostituire quelli troppo consunti. La stessa cosa deve fare chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e mattina, per messo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve smontarlo almeno un volta all’anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi, ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti che vi scopre. E, allo stesso modo che l’orologiaio unge con olio speciale gli ingranaggi... così la persona devota, dopo aver smontato il proprio cuore per rinnovarlo, deve ungerlo con i Sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia»  (F V,1)
 
 
In questa “giungla” il Signore grida a noi: «Svegliati o tu che Dormi e Cristo ti illuminerà» è tutto il suo amore/desiderio che Lui ha di noi. È il Suo dolce richiamo che risveglia dentro di noi il nostro desiderio di Lui. Ora a noi il compito di riconoscere questo desiderio fargli spazio…
 
 
A un giovane che sta per «prendere il largo nell’alto mare del mondo» Francesco di Sales suggerisce di non trascurare «gli alimenti spirituali». Ne avrà bisogno, perché incontrerà non poche trappole: la vanità, l’ambizione, i «libri cattivi», l’incitamento alla «dissolutezza» da parte di «parecchie anime miserabili»… la «rilassatezza» che impedisce di «dominare gli stimoli sensuali»
 
Poiché l’orazione illumina l’intelletto con la chiarezza della luce di Dio e scalda il cuore al calore dell’amore celeste, nulla l’eguaglia nel purificare l’intelletto dall’ignoranza e il cuore dagli affetti disordinati (…)
Se consideri il suo modo di agire, prenderai le sue azioni a modello delle tue (…) osservando le sue parole, le sue azioni, e i suoi affetti, impareremo, con il suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui. (Filotea II,1)
 
La qualità della preghiera deriva dall’intimo, dal cuore di colui che prega: «Un solo Pater, detto con sentimento, vale più di molti recitati in fretta e furia» e «uno non prega se borbotta qualcosa con le labbra mentre il suo cuore non lo segue».
 
 
 
METTERSI ALLA PRESENZA DI DIO
 
Per metterti alla presenza di Dio ti propongo quattro vie, che, all’inizio, possono esserti utili.
 
1.      La prima è una viva e attenta presa di coscienza della onnipresenza di Dio: Dio è in tutto e dappertutto e non c’è luogo o cosa in questo mondo che non manifesti la sua presenza; noi siamo simili agli uccelli che sono circondati dall’aria ovunque indirizzino il loro volo: ovunque andiamo o ci fermiamo Dio ci è presente.
 
Tutti sanno questa verità, ma non tutti sono attenti a prenderne coscienza..
I ciechi, pur non vedendo il Principe al cui cospetto si trovano, non per questo non tengono un contegno rispettoso se sono avvertiti di tale presenza; però, non vedendolo, dimenticano facilmente la sua presenza; di conseguenza ancor più facilmente dimenticano il contegno rispettoso. Noi siamo così, Filotea: pur sapendo che Dio è presente, non lo vediamo; è la fede che ci ricorda la sua presenza. Non vedendolo materialmente con gli occhi ce ne dimentichiamo molto spesso e ci comportiamo come se Dio fosse molto lontano. Sappiamo bene che è presente in tute le cose, ma non ci pensiamo, ed è quindi come se non lo sapessimo. Ed è per questo che, senza eccezioni, prima della preghiera, dobbiamo svegliare nella nostra anima l’attenzione cosciente alla presenza di Dio.
Tornando alla preghiera, devi dire al tuo cuore con tutto te stesso: Cuor mio, Dio è proprio qui!
 
2.      La seconda via per mettersi alla presenza di Dio è pensare che non soltanto Dio è presente nel luogo in cui ti trovi, ma in modo particolare è presente nel tuo cuore e nel profondo del tuo spirito, ai quali dà vita e forza, quale cuore del tuo cuore e spirito del tuo spirito; come l’anima infatti è diffusa in tutto il corpo e presente in ogni parte di esso, e tuttavia ha nel cuore la sua sede privilegiata, similmente Dio, pur essendo presente dappertutto, sceglie la sua sede particolare nel nostro spirito. Pensando a questa verità, procurerai di avere nel tuo cuore un grande rispetto per Dio, perché ivi è presente in modo particolare.
 
3.      La terza via è di pensare al nostro Salvatore, che, nella propria umanità, vede dal cielo tutte le persone della terra e, in modo particolare, i cristiani suoi figli, e tra essi, particolarmente quelli che sono in preghiera, di cui nota gli atti e il comportamento. Questa non è fantasia, ma la pura verità; perché, anche se noi non lo vediamo, Lui dall’alto ci guarda. S. Stefano così lo vide durante il suo martirio.
 
4.      Una quarta via può essere quella di ricorrere alla immaginazione e rappresentarci il Salvatore nella sua umanità vicino a noi, proprio come siamo soliti fare con gli amici, quando diciamo: vedo il tale che fa questo, mi sembra proprio di vederlo, e simili espressioni (…)
 
Serviti di una di queste quattro vie per metterti alla presenza di Dio prima dell’orazione; non pretendere di impiegarle tutte insieme, ma una alla volta, con semplicità e brevità.
 
 
 
IL RACCOGLIMENTO SPIRITUALE
 
Ora, cara Filotea, ti auguro tanta buona volontà per seguire di cuore il mio consiglio: in questo capitolo ti porto a conoscenza di uno dei modi più sicuri per progredire spiritualmente.
Durante il giorno mantieniti alla presenza di Dio con uno dei quattro mezzi che ti ho indicato (vedi cap. II); dà uno sguardo all’azione di Dio e alla tua. Scoprirai che Dio ha sempre gli occhi rivolti verso di te e ti guarda con infinito amore. Tu dirai allora: O Dio, perché anch’io non ti guardo senza stancarmi, come tu guardi me? Perché tu pensi tanto a me e io così poco a Te? Dove ci troviamo, anima mia? Il nostro posto è in Dio; ma dove ci troviamo? Allo stesso modo che gli uccelli hanno i nidi sugli alberi per potercisi rifugiare quando ne sentono il bisogno, e i cervi hanno i loro cespugli e i loro rifugi, dove si raccolgono e si mettono al riparo, godendosi il fresco e l’ombra in estate, così, o Filotea, il nostro cuore, ogni giorno, deve cercare e trovare un posto per potersi, all’occorrenza, raccogliere: o sul Calvario, o nelle piaghe di Nostro Signore, o in qualche luogo vicino. Potrà quivi sostare e ritemprarsi, pur tra le occupazioni esteriori, e difendersi, se necessario, come in una fortezza, dalle tentazioni.
Beata l’anima che in tutta sincerità potrà dire al Signore: Tu sei il mio rifugio, il mio bastone di sicurezza, il tetto contro la pioggia, l’ombra che mi difende dal caldo.
Ricordati sempre, Filotea, di raccoglierti spesso nella solitudine del tuo cuore, mentre materialmente ti trovi coinvolta nelle conversazioni e negli affari; quella solitudine mentale non deve in alcun modo essere impedita da quelli che ti stanno intorno; infatti non si trovano intorno al tuo cuore, ma al tuo corpo; il tuo cuore può rimanere in solitudine in compagnia di Dio.
Questo esercizio lo faceva anche Davide in mezzo a tutte le occupazioni, come ci risulta da un’infinità di passi dei Salmi, come, quando dice: Signore, io sono sempre con Te. Vedo il mio Dio costantemente davanti a me. Ho alzato gli occhi verso di te, mio Dio, che abito in Cielo. I miei occhi sono sempre in Dio.
Abitualmente le conversazioni non sono così impegnative che non si possa, ogni tanto, sottrarre il cuore per condurlo in quella solitudine divina.
I genitori di Santa Caterina da Siena le avevano tolto ogni comodità di luogo e di tempo per pregare e meditare; Nostro Signore le ispirò di farsi un piccolo oratorio spirituale nella propria anima, nel quale si raccoglieva mentalmente e così, pur in mezzo a tutte le occupazioni esteriori, poteva consacrarsi a quella santa solitudine di cuore. In seguito, quando il mondo l’assillava, non ne soffriva alcun danno, perché, come essa diceva, si chiudeva nella sua cameretta interiore, nella quale restava in dolce compagnia con il suo celeste sposo. Per questo consigliava ai suoi figli spirituali di procurarsi una camera nel proprio cuore per potervi sostare.
Raccogli dunque qualche volta il tuo spirito nel tuo cure e lì, isolata dagli altri, potrai parlare con Dio, cuore a cuore, della tua anima e dirai con Davide: Ho vegliato e sono stato simile al pellicano nella solitudine; come un uccello notturno o un gufo tra le macerie, o come il passero solitario sul tetto.
Queste parole, oltre al senso letterale (provano che quel grande Re prendeva qualche ora di solitudine per contemplare le cose spirituali), prese nel senso mistico, ci indicano tre luoghi di ritiro, come tre eremi, nei quali possiamo trovare la solitudine, seguendo l’esempio del Salvatore che sul Monte Calvario è come il pellicano del deserto, che, con il proprio sangue, ridà la vita ai piccoli morti; nella nascita in una stalla abbandonata, assomiglia al gufo tra le rovine che si lamenta e piange le nostre mancanze e i nostri peccati; nel giorno dell’ascensione è come il passero che si isola e sale al Cielo che è il tetto del mondo. In questi tre luoghi anche noi possiamo raccoglierci pur essendo circondati dal frastuono delle nostre occupazioni.
 
 
LE ASPIRAZIONI, LE GIAGULATORIE E I BUONI PENSIERI
 
Ci raccogliamo in Dio perché aspiriamo a Lui e aspiriamo a Lui per poterci in Lui raccogliere, di modo che l’aspirazione a Dio e il raccoglimento spirituale si sostengono a vicenda, ed entrambi hanno origine e nascono dai buoni pensieri.
Aspira dunque spesso a Dio, Filotea, con slanci del cuore brevi ma ardenti: canta la sua bellezza, invoca il suo aiuto, gettati in ispirito ai piedi della croce, adora la sua bontà, interrogalo spesso sulla tua salvezza, donagli mille volte al giorno la tua anima, fissa i tuoi occhi interiori sulla sua dolcezza, tendigli la mano come fa un bambino con il papà, perché ti guidi; mettilo sul petto come un profumato mazzolino di fiori, innalzalo nella tua anima come uno stendardo e conduci il tuo cuore in mille modi alla ricerca dell’amore di Dio, e scuotilo perché giunga ad un appassionato e tenero amore per questo Sposo divino.
Questo è il modo di innalzare le orazioni giaculatorie, che il grande S. Agostino consigliava con tanto zelo alla devota Proba. Se il nostro spirito si mette a frequentare con intimità e familiarità il suo Dio, o Filotea, rimarrà profumato delle sue perfezioni; questo esercizio non disturba l’andamento della giornata perché può trovare posto tra gli affari e le occupazioni, senza recar loro alcun pregiudizio, poiché, nel raccoglimento spirituale, come in questi slanci interiori, si operano soltanto piccole e brevi interruzioni che non nuocciono a quello che stiamo facendo, ma anzi sono di giovamento.
Il pellegrino che prende un sorso di vino per sollevare il cuore e rinfrescare la bocca, benché per fare questo sosti un po’, non si può dire che interrompa il viaggio, anzi recupera le forze per poi portarlo a termine con più celerità e maggior facilità; si ferma per poter proseguire più speditamente.
Esistono molte raccolte di aspirazioni vocali, che sono veramente utili; ma, se tu mi ascolti, non devi legarti a nessuna formula, ma dire dentro di te o a voce, quelle che ti suggerirà il cuore sul momento; te ne suggerirà a volontà!
E’ vero che ci sono certe massime che possiedono una forza particolare per dare soddisfazione al cuore in questo campo, come gli slanci profusi così abbondantemente nei Salmi di Davide, le varie invocazioni del nome di Gesù, e le espressione d’amore che si trovano nel Cantico dei Cantici. Anche i Canti spirituali possono servire allo scopo, purché siano cantati con attenzione.
Voglio farti un paragone: coloro che si amano di un amore umano e naturale, hanno quasi costantemente il pensiero rivolto alla persona amata, il cuore trabocca di amore per lei, la bocca non fa che tesserne le lodi, e quando l’amata è assente manifestano la loro passione con lettere e non c’è albero su cui non lascino inciso il loro amore; allo stesso modo coloro che amano Dio non possono passare un momento senza pensare a Lui, respirare per Lui, tendere a Lui, parlare di Lui, e vorrebbero, se fosse possibile, incidere sul petto di tutti gli uomini il santo nome di Gesù.
Tutte le creature ti invitano a questo. Non c’è creatura che non proclami la lode dell’Amato; dice S. Agostino, seguendo S. Antonio, che tutto ciò che esiste al mondo parla, magari con un linguaggio muto, del proprio amore; tutte le cose ti incitano a buoni pensieri, da cui vengono, per forza, slanci e aspirazioni a Dio. Eccone qualche esempio:
S. Gregorio, Vescovo di Nazianzo, raccontava al popolo che, mentre un giorno passeggiava lungo la riva del mare, guardava le onde che, giungendo sulla spiaggia, lasciavano conchiglie e chiocciolette, ciuffi d’erba, ostriche e altri rifiuti che il mare rigettava, si potrebbe quasi dire, sputava sulla spiaggia; poi, ritornava con altre onde, riprendeva e inghiottiva di nuovo una parte del tutto. Gli scogli invece rimanevano ben saldi, nonostante che le onde li investissero con violenza. E fece questa riflessione: i deboli, come conchiglie, chiocciole e ciuffi d’erba si lasciano trascinare un momento nell’afflizione, un altro nella gioia, in balia delle onde della sorte; ma la gente che ha coraggio, rimane salda e immobile in mezzo a qualsiasi bufera. Da questo pensiero passava allo slancio di Davide: Signore, salvami, perché le acque sono penetrate fino in fondo all’anima; Signore, salvami dalle acque profonde; sono trascinato in fondo al mare, la tempesta mi fa affondare. Era un momento in cui era nella sofferenza, perché massimo aveva iniziato i suoi maneggi per usurpargli la Diocesi.
(…)
Costantino il Grande aveva scritto una lettera a S. Antonio; ciò meravigliò molto i religiosi che gli stavano intorno. Antonio disse: Perché vi meravigliate che un Re scriva ad un uomo? Ammirate piuttosto che Dio eterno abbia scritto la sua legge ai mortali, anzi, abbia loro parlato direttamente per mezzo del Figlio!
S. Francesco, vedendo una pecora, tutta sola in mezzo ad un gregge di capre, disse al suo compagno: Guarda com’è dolce quella pecora in mezzo a quelle capre; così era Nostro Signore, dolce e umile in mezzo ai Farisei!
Un’altra volta, vedendo un agnello sbranato da un maiale piangendo esclamò: Piccolo agnellino, quanto mi ricordi la morte del mio Salvatore.
Il grande S. Basilio diceva che la rosa tra le spine è un insegnamento per gli uomini: Le cose più gradevoli di questo mondo, o mortali, sono frammiste a sofferenza. Niente è schietto: il rimpianto è sempre unito alla gioia, la vedovanza al matrimonio, la premura al risultato, l’umiliazione alla gloria, il prezzo agli onori, la ripugnanza alle delizie, la malattia alla buona salute.
La rosa, dice il nostro Santo, è un bel fiore, ma mi dà una grande tristezza, perché mi ricorda il mio peccato, a causa del quale la terra è stata condannata a produrre spine.
Un’anima devota, vedendo il cielo stellato, che si specchia nell’acqua limpida di un ruscello dirà: Mio Dio, queste stelle le avrò sotto i piedi quando mi avrai accolto nelle tue tende. E come le stelle del cielo le vedi specchiate sulla terra, allo stesso modo gli uomini della terra li vedi riflessi nel cielo della sorgente purissima della carità divina.
Ci sarà anche chi, vedendo scorrere un fiume dirà: La mia anima non avrà riposo finché non si immerga nel mare profondo di Dio che è la sua origine.
S. Francesca Romana, un giorno, mentre contemplava un ruscello, sulla cui sponda si era fermata a pregare, fu rapita in estasi e, senza sosta, ripeteva queste belle parole: La grazia del mio Dio scende con la dolcezza e la soavità di questo ruscello.
Un altro, vedendo gli alberi in fiore, esclamerà: Perché solo io sono senza fiori nel giardino della Chiesa?
Un altro, osservando dei pulcini raccolti sotto la chioccia, dirà: Signore, conservaci sotto la protezione delle tua ali.
Un altro ancora, alla vista del girasole, penserà: Quando avverrà, Dio mio, che la mia anima segua le attrattive della tua bontà?
Vedendo poi delle viole del pensiero coltivate, belle a vedersi, ma senza profumo, dirà: Ecco come sono i miei pensieri, belli a chiacchiere, ma poi non sanno di niente!
Ecco, Filotea, come si possono ricavare buoni pensieri e sante ispirazioni dalle situazioni di questa vita mortale. Infelici sono coloro che distolgono le creature dal loro Creatore per ricondurle al peccato; beati invece quelli che indirizzano le creature alla gloria del loro Creatore e si servono del poco che sono per fare onore alla verità. S. Gregorio di Nazianzo dice di avere l’abitudine di indirizzare tutte le cose al profitto spirituale.
Nell’esercizio del raccoglimento spirituale e delle preghiere giaculatorie si trova la profonda radice della devozione: può supplire alla mancanza di tutte le altre forme di orazione. Ma se manca questo non c’è modo di rimediare.
Senza questo esercizio non è possibile la vita contemplativa, anzi sarà mal condotta anche quella attiva; senza questo il riposo è ozio, il lavoro preoccupazione; perciò ti supplico di abbracciarlo con tutto il cuore, senza staccartene mai!
 
 
 
E’ in mezzo la più banale quotidiano che può avvenire l’incontro con Dio.
 
La vita quotidiana è scandita da momenti, ma in «questi momenti della nostra vita è racchiuso, come in un nocciolo, il germe dell’eternità». L’orologio ci offre la misura quantitativa del tempo, ma la sua qualità dipende da noi. Se lo vogliamo, noi «possiamo passare tutti i nostri anni, i nostri mesi, i nostri giorni e le nostre ore, facendole sante mediante un uso buono e fedele» (…) «Le piccole ingiurie, questi piccoli fastidi, queste perdite poco importanti che capitano ogni giorno», le «piccole occasioni», «quotidiani piccoli gesti di carità», «questi piccoli incomodi», «questa piccola umiliazione», «queste piccole sofferenze» (…)
«Non è il cumulo di opere che facciamo ciò che ci rende graditi a Dio, ma l’amore con cui le compiamo… La perfezione delle nostre azioni è data dall’amore».
 
 
Capaci di silenzio e di ascolto profondo del proprio cuore.
 
Conoscete la domanda al monaco di clausura: «A che ti serve il silenzio?»
Buttò il secchio nel pozzo e chiese:«Che cosa vedi?»
 «Dell’acqua mossa»
Lasciò passare qualche istante e poi chiese di nuovo:
«Che cosa vedi adesso?»
«Me stesso»
«Ecco a che cosa a serve il silenzio».
 
 
Gruppo Ricerca
Mestre, 18-19 ottobre ‘08
 
don Paolo Pontoni
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