Perché i giovani hanno essenzialmente bisogno di questo: di sapere perché vivono e, nel contempo, di trovare delle ragioni per vivere. Occorre intervenire nell'ambito scolastico. Innanzitutto per chiarire che il fine della scuola non deve essere esclusivamente quello di istruire, bensì quello di ‚Äòinsegnare educando'...
Tra poche ore oltre sette milioni di studenti – ripartiti tra le scuole elementari, medie e superiori – torneranno sui banchi di scuola. Come ogni anno, l’apertura del nuovo ciclo scolastico è accompagnata dalle polemiche più disparate: si va dai dibattiti circa la penalizzazione inflitta dall’attuale governo alle scuole private, alla ridicola telenovela estiva della prima prova nazionale per l’abilitazione all’insegnamento tramite il Tirocinio Formativo Attivo (il cosiddetto “Tfa”, che si sta rivelando un buco nell’acqua), per finire con il recente annuncio di un concorso indetto per coprire circa 12.000 cattedre nelle scuole statali di ogni ordine e grado.
Ma il vero punto focale, quando si parla di scuola, riguarda il come affrontare l’attuale emergenza educativa, che è un fedele specchio della crisi di valori che attanaglia la nostra società.
S. E. Monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino–Montefeltro, ha trattato questa tematica in varie occasioni e alcuni di questi sui interventi sono stati raccolti nell’utilissimo libro Emergenza educativa – Che fare?, edito da Fede&Cultura (Verona, 2008, pp. 131, 13 euro).
Per prima cosa, Monsignor Negri definisce il concetto di educazione: essa è “la comunicazione che l’adulto fa al giovane di un’ipotesi di vita” (op. cit., p. 40). Ipotesi di vita che ha come fine ultimo quello di portare ogni giovane a porsi la domanda di che cosa sia la verità, nella ricerca di un “[…] rapporto con se stesso e contestualmente con il reale, chiedendo il senso della propria vita e il senso della realtà” (op. cit., p. 33). Perché i giovani hanno essenzialmente bisogno di questo: di sapere perché vivono e, nel contempo, di trovare delle ragioni per vivere.
Oggi ci troviamo però in una situazione di emergenza educativa che si rende presente in tutti gli ambiti del vivere sociale e che consiste, secondo Monsignor Negri, in “[…] una impossibilità comunicativa fra il mondo adulto e il mondo giovanile. […] C’è questa impossibilità comunicativa perché le generazioni precedenti sono state lentamente espropriate dalla loro cultura, che è stata sbrigativamente sostituita dall’opinione comune massmediatica” (op. cit., p. 8). In sintesi: nella nostra società vi è stata una progressiva eutanasia dei valori e gli adulti di oggi non sono più in grado di rispondere adeguatamente alla sete di verità che è prerogativa – finché non sopraggiungono la delusione o l’inerzia – dell’animo giovanile. Ai ragazzi d’oggi mancano dunque dei padri, degli esempi autorevoli da seguire.
Ma è possibile porre freno a questa emergenza educativa? Certo. E non solo è possibile, ma è altresì doveroso. Ognuno, nel proprio piccolo, è chiamato ad agire in tal senso, in comunione con quando afferma la Dottrina Sociale della Chiesa, ovvero che il vertice dell’umanità è costituito dalla paternità e dalla maternità educativa (Cfr. op. cit., p. 27).
In primo luogo è doveroso agire affinché la famiglia – che è attaccata con la stessa violenza con la quale è perseguitata la Chiesa – torni ad essere il primo soggetto educativo, mentre gli altri organi deputati a tale funzione (la scuola, la parrocchia, etc.) dovrebbero svolgere un ruolo esclusivamente sussidiario e non, come oggi troppo spesso accade, sostitutivo.
In seconda istanza, la nostra società dovrebbe tornare ad appropriarsi della cultura, intesa come insieme tradizionale di valori atti a domandarsi la verità sulla propria vita e sul mondo. Giovanni Paolo II, in un discorso all’Unesco il 1 luglio 1980, disse: “La cultura è il modo specifico di essere e di esistere dell’uomo”. Ma questo è vero solo nel momento in cui si ha a che fare con una cultura dell’essere e non con la cultura dell’avere (o dell’apparire), attualmente dominante. A questo proposito Monsignor Negri osserva: “[…] c’è un problema culturale ed etico alla radice dell’educazione, cioè il fare esperienza dell’umanità, della cura di se stesso” (op. cit., p. 35)
Come terzo ed ultimo punto, occorre intervenire nell’ambito scolastico. Innanzitutto per chiarire che il fine della scuola non deve essere esclusivamente quello di istruire, bensì quello di ‘insegnare educando’, perché altrimenti si formano delle persone-automi preparate sotto il versante didattico, ma non formate sotto il profilo umano.
Inoltre, è necessario creare una comunicazione culturale che faccia sì che gli insegnanti che interagiscono con i giovani siano in grado di suscitare in loro una domanda di senso rispetto alla loro vita e di fornire loro anche un’ipotesi di risposta, ovvero Cristo come risposta ultima all’anelito di verità insito in ogni essere umano.
Ovviamente questa risposta non deve essere imposta, bensì lasciata alla verifica e alla libertà degli alunni. Tuttavia è doveroso proporla, altrimenti – da cattolici e da adulti – si viene meno alla propria responsabilità educativa.
“Ex nihilo nihil fit” diceva Melisso di Samo. Ecco dunque perché i genitori e gli insegnanti hanno il delicato ruolo di proporre Cristo come senso ultimo del vivere: infatti, “[…] l’esperienza cristiana non è una possibilità, ma è la via lungo la quale ritrovare l’umano nella sua pienezza” (op. cit., p. 22).
di Giulia Tanel
tratto da: http://www.campariedemaistre.co
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