Insegnare o imparare?

Gli ambiti educativi sono davvero moltissimi. Il primo posto spetta alla famiglia, ma non è certamente l'unico. La scuola, il doposcuola, l'oratorio, il centro sportivo, quello musicale sono altrettanti ambienti che, per vocazione o per necessità, si trovano rivestiti di una valenza prevalentemente e fondamentalmente educativa.

Insegnare o imparare?

da Quaderni Cannibali

del 06 aprile 2011

 

 

Gli ambiti educativi, all’interno della nostra società, sono davvero moltissimi.

          Se il primo posto – dal punto di vista non solo cronologico (per il bambino), ma anche sociologico, antropologico e, diciamolo pure, ontologico – spetta senz’alcun dubbio alla famiglia, non è però certamente l’unico.

          La scuola, il doposcuola, l’oratorio, il centro sportivo, quello musicale sono altrettanti ambienti che, per vocazione o per necessità, si trovano rivestiti di una valenza prevalentemente e fondamentalmente educativa. Suo malgrado, e spesso inconsciamente, vi è anche la televisione: se, una volta, rivestì questo ruolo, oggigiorno non è né predisposta né adeguata a ricoprire tale incarico, e mostra – impietosamente – al mondo le sue lacune.

          «L’educazione è questione del cuore… i ragazzi si sentano amati» ripeteva don Bosco. Inutile dire che tutto questo, parlando coi piedi per terra, è ancora lontano anni luce. I ragazzi sono – in buona sostanza – visti unicamente in base agli obiettivi, incasellati in tabelle precompilate, che devono raggiungere, da insegnanti preoccupati, più ancora che da profitto e comportamento degli allievi, dal ferreo adempimento dei programmi ministeriali (che, spesso, si rivelano una sorta di mission impossible, che manda nel panico i docenti e li spinge a non lasciare spazio anche alle più che legittime domande di chiarimento).

          Ed ecco che, per pressapochismo, superficialità e malintesa ricerca di efficienza, ci dimentichiamo della cosa più importante: la persona che abbiamo davanti! Col suo capitale – di valore inestimabile – di esperienze, di vissuto, di sentimenti, di emozioni, di passioni, di vitalità. Non c’è più tempo per ascoltare l’emozione nella voce del ragazzo che si mette a raccontarti di qualcosa che gli sta a cuore; non c’è n’è per assaporare la bellezza dei suoi occhi che s’illuminano per la passione più grande, che gli occupa tempo, mente e cuore, forse l’unica per cui sia disposto a sacrificarsi davvero (lo sport, la musica, un sogno per il futuro…); né, tanto meno, potrà esserci posto per far caso ai primi batticuori (bollati come gossip, quando non emulazione del mondo adulto), testimonianza di quel desiderio d’amore vero che è di tutti e che arde in particolar modo negli adolescenti.

          C’è una cosa che i ragazzi faticano molto a fare, di cui hanno tremendamente bisogno e che non impareranno mai, se nessuno trova il tempo per insegnargliela nell’unico modo possibile: saper ascoltare. Saper ascoltare è come saper amare: si impara per imitazione. Non è possibile poterlo insegnare a parole, darne un procedimento o farne un diagramma di flusso...

          C’è tanta apprensione per un brutto voto ricevuto, ma mi domando: ce n’è abbastanza per la perdita di un’amicizia? Per un’incomprensione in famiglia o tra compagni di scuola?

          Non rischiamo a volte – noi per primi – di inculcare, già sui banchi di scuola, una spietata logica della produttività (basata, appunto, sul profitto)?

          Accantonando per il momento la mia perplessità sull’effettiva utilità della scuola nel preparare al mondo del lavoro, senza dubbio c’è una carenza d’ascolto che denota una certa ‘massificazione’ anche in questo aspetto. Se ogni persona è diversa, con differenti propensioni, abilità, gusti e interessi, perché non sfruttarli anche in vista dello studio? Le passioni del ragazzo sono invece spesso sfruttate – unicamente – come ‘debolezze’ su cui rifarsi in caso di mancato successo e quasi mai diventano un rinforzo positivo (e propositivo) in occasione di un risultato soddisfacente.

          Nell’educazione dobbiamo, del resto, tenere presente che l’empatia è fondamentale, perché il rispetto e la fiducia reciproca facilitano l’apprendimento (se il ragazzo si sente preso in considerazione, acquista autostima, prende l’iniziativa, non teme di far domande e in tal modo approfondisce le proprie conoscenze, facendo leva sul proprio interesse personale).

          E in realtà, tutto questo è da considerare vero per tutti, non solo per coloro che sono ritenuti o si ritengono educatori. Ognuno è chiamato ad essere – a suo modo – educatore, e dobbiamo esserlo gli uni per gli altri. Ognuno, infatti, ha conoscenze, competenze, abilità ed esperienze peculiari. Quindi, scendendo dal piedistallo – su cui siamo spesso issati per vanagloria – ci rendiamo conto dell’ineluttabile dato di fatto per cui, nonostante la nostra conoscenza possa essere vasta, ci saranno sempre tantissime cose che sfuggono al nostro controllo, al nostro raggio d’azione o, semplicemente, al novero delle esperienze finora computate.

          E allora, cosa c’è di più bello che lasciarci guidare in nuove scoperte da qualche Virgilio, un amico più bravo di noi a districarsi in quel campo?

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Maddalena Negri

http://www.sullastradadiemmaus.it

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