Intervista a Alessandro D'Avenia

Alessandro D'Avenia: uno scrittore e insegnante perdutamente innamorato della realtà. Ama insegnare. Ama scrivere. E cerca il paradiso impastato nella polvere della vita quotidiana e nel cuore delle persone che incontra. Esordisce con il romanzo "Bianca come il latte rossa come il sangue".

Intervista a Alessandro D'Avenia

da Quaderni Cannibali

del 14 dicembre 2010

 

           Alessandro D’Avenia, nato a Palermo il 2 maggio 1977 vive a Milano, è laureato e dottorato in Lettere classiche, insegna Lettere al liceo, è sceneggiatore ed autore di un “Bianca come il latte rossa come il sangue” è il suo primo romanzo. D’Avenia ha parlato a metà novembre a Monza invitato dal Centro Culturale Talamoni per una serata intitolata “I sogni, la realtà, le stelle: l’avventura dell’adolescenza”.  Conversazione con un professore che ama il suo lavoro.  In tale circostanza gli ho rivolto alcune domande.           Come vede gli adolescenti oggi, quali aspetti la preoccupano e quali ritiene positivi e generatori di speranza?           Non mi preoccupano i giovani, ma gli adulti. L'uomo è uno spirito in carne e ossa. Lo spirito oggi è invitato a dormire, a lasciarsi andare ad una dolce anestesia interrotta periodicamente da dolorosi risvegli: insoddisfazione, paura, smarrimento. I ragazzi non trovano maestri capaci di svegliare il loro spirito. La crisi dei ragazzi è crisi di chi li ha generati.            Centinaia di ragazzi mi scrivono dopo aver letto il mio libro e mi ringraziano per aver affrontato temi come la morte, il dolore, Dio dal punto di vista di un sedicenne. I veri problemi dei ragazzi non sono l'alcool, le droghe, le dipendenze… Queste sono solo conseguenze di una libertà che gira a vuoto, perché non ha scoperto l'orizzonte in cui essere impegnata. La crisi dei ragazzi è crisi di senso. I ragazzi però non hanno smesso di cercare, questo li caratterizza.  Nella sua professione di insegnante come stimola e coinvolge i ragazzi nel lavoro in classe?           Imparo da loro e loro da me. Quando il mio professore di lettere mi prestò la sua edizione del poeta da lui preferito dicendomi “Questo tu forse lo puoi capire”, faceva scaturire la responsabilità dall'interno della libertà. Mi aiutava a vedere una mia qualità ancora tenue e la incoraggiava riponendo in essa una fiducia maggiore di quello che in quel momento valeva. Quel gesto mi obbligò senza obbligarmi a mettermi in gioco. Faceva nascere la libertà di impegnarmi da un surplus di fiducia, che nello stesso atto mi comprendeva e mi lanciava nel futuro. La libertà è parola che viene dal latino: liber, che vuol dire figlio. Se mi rapporto ai miei alunni come un padre allora cominciano ad essere liberi, cerco di mettermi al servizio di ciò che hanno di più intimo, per preservarlo, incoraggiarlo, li aiuto a diventare sè stessi nel massacro di identità odierno. Si parla molto di emergenza educativa. Condivide questa preoccupazione ed ha qualche indicazione per rispondervi?           Preferisco parlare di sfida educativa. Gli adolescenti non cambiano nel profondo. Le domande, le battaglie, i sogni, le sconfitte sono le stesse. Ciò che è cambiato è la rapidità con cui si entra in contatto con il mondo. Tutto era più graduale quando avevo 15 anni, adesso tutto ti arriva addosso subito e la quantità di messaggi confonde la possibilità di decodificarli in un età di per sé già confusa per i mutamenti personali. Nel romanzo questo si vede nel continuo cambiare di Leo, che si lascia guidare dalle emozioni come vento in tempesta, ma a poco a poco trova la rotta... Come mai ha sentito l’esigenza di scrivere un libro?           Scrivere per me è un modo di stare nella realtà, di portare ad unità i personaggi che mi porto dentro, imparando così a voler bene a loro e quindi a me stesso. Pensa, visto l’interesse suscitato dalla sua prima opera, di proseguire anche nella attività di autore?           Continuerò a farlo. Sto lavorando alla sceneggiatura del film per il cinema che sarà tratto dal libro e sto scrivendo un altro romanzo.

Seregni Marina

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