Intervista a Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, in Iraq

Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, città a 250 km da Baghdad, descrive la sconvolgente e drammatica situazione alla quale sono costretti a vivere i cristiani in Iraq!

Intervista a Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, in Iraq

da Quaderni Cannibali

del 24 novembre 2010

 

Mons. Sako, vi serviranno davvero le preghiere dei cristiani europei?           Abbiamo bisogno delle vostre preghiere. Le preghiere possono essere molto efficaci e qui abbiamo bisogno di nutrire la nostra speranza, di alimentarla perché si sta affievolendo. Sono a Suleimania per portare conforto e aiuto concreto a persone che hanno lasciato tutto a causa della loro fede e non sanno la sorte che le attende. Come può descrivere l’attuale situazione dei cristiani iracheni?            «Pensate alla famiglie dei profughi che sto visitando in queste ore. Sono famiglie scappate dopo che uno di loro è stato ucciso e dopo aver ricevuto a loro volta, sui cellulari o in lettere infilate sotto le porte di casa, delle minacce deliranti, spesso accompagnate da versetti coranici traditi nel loro significato. Le autorità locali dicono loro che prenderanno presto provvedimenti per difenderli, ma il governo è debole, la situazione di Bagdad con più di 5 milioni di abitanti è fuori controllo.Tutto è settario. La polizia, l’esercito… Nulla dà sicurezza.              In questo contesto se ti arriva una lettera con scritto: “Voi cristiani dovete andare via, la vostra religione è una religione straniera. Se non andate via, vi ammazziamo”, l’unica immediata reazione è la fuga. Chi scrive quelle minacce non ha nulla a che vedere con il vero Islam. Sono degli ignoranti della religione musulmana. Le tensioni principali sono a Bagdad, mentre per fortuna a Kirkuk la vita scorre abbastanza tranquilla: si va a scuola e al lavoro. A Mosul gli studenti non vanno all’Università, e sono oltre duemila, perché c’è molta paura dopo l’attacco ai pulmini degli studenti di qualche tempo fa, nei quali una ragazza è rimasta uccisa e 120 studenti sono stati feriti». Cosa chiedere per voi? In cosa sperate?           La vostra preghiera ci aiuterà. Noi chiediamo che la situazione si stabilizzi, che il governo iracheno si attivi per proteggere i cristiani, ma non solo loro, anche tutti i cittadini che vivono sulla pelle questa situazione di violenza. Che lo Stato vigili sugli insegnamenti che vengono impartiti ai giovani musulmani, che le preghiere del venerdì siano ispirate alla pace, non siano occasioni per incitare alla violenza. Chiediamo che siano davvero rispettati i diritti fondamentali dell’uomo, che siano protette le nostre case, che sia spazzato via l’odio e il rancore, che si scopra la ricchezza della presenza di religioni diverse in un Paese. Chiediamo che sia favorita l’unità nazionale, che si applichi il rispetto di tutti i cittadini, che siano trattati alla pari. Che si riscopra il valore di una storia di convivenza pacifica che in Iraq è durata 14 secoli. Qual è l’ultimo giorno felice per la sua comunità che ricorda?           Ricordo i giorni elettrizzanti e carichi di pace e di speranza dei primi mesi dopo la caduta del regime di Saddam Hussein: erano così tranquilli, c’era tanta libertà per tutti. Si poteva andare a prendere il tè dagli amici senza timori. Tutto in breve è stato stravolto. Ma sono convinto che il male non resiste. Che il bene vincerà con la libertà. Spero che i cristiani siano ancora qui quando questo accadrà, perché la storia della Chiesa caldea è un patrimonio per tutti, per l’Iraq e l’Occidente. Se andasse dispersa sarebbe una grave perdita per tutti. La nostra è una chiesa martire, ma anche molto dinamica.

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