Ogni giorno celebro l'eucaristia. A volte nella mia chiesa parrocchiale con centinaia di persone presenti, a volte nella cappella di Daybreak con dei membri della mia comunità, a volte nell'appartamento di un hotel con pochi amici e a volte nel soggiorno di mio padre con lui e me solamente.
del 01 gennaio 2002
Ogni giorno celebro l’eucaristia. A volte nella mia chiesa parrocchiale con centinaia di persone presenti, a volte nella cappella di Daybreak con dei membri della mia comunità, a volte nell’appartamento di un hotel con pochi amici e a volte nel soggiorno di mio padre con lui e me solamente.
Veramente pochissimi giorni passano senza che io dica: «Signore, pietà», senza le letture quotidiane e un po’ di riflessione, senza professione di fede, senza partecipare al corpo e al sangue di Cristo e senza preghiera per una giornata fruttuosa.
Eppure mi chiedo: So quello che sto facendo? E quelli che stanno o siedono intorno alla mensa con me sanno a che cosa prendono parte? Avviene veramente qualcosa che dà forma alla nostra vita quotidiana -anche se è così familiare? E che cosa ne è di tutti quelli che non sono lì con noi? L’eucaristia è ancora qualcosa di cui sanno, a cui pensano o che desiderano? Come si collega questa celebrazione quotidiana alla vita quotidiana degli uomini e delle donne comuni, siano essi presenti o meno? È più di una bella cerimonia, di un rituale consolante o di una tranquilla routine? E infine, l’eucaristia dona vita, vita che ha la forza di superare la morte?
Tutte queste domande sono molto reali per me; chiedono costantemente una risposta. Oh, sì! Ho avuto delle risposte, ma sembra che non durino molto a lungo nel mio mondo che cambia così velocemente. L’eucaristia dà senso alla mia esistenza nel mondo, ma in quanto il mondo cambia, l’eucaristia continua a dargli significato?
Ho letto molti libri sull’eucaristia. So stati scritti dieci, venti, trenta, persino quaranta anni fa. Benché contengano molte profonde intuizioni, non mi aiutano più a fare l’esperienza dell’eucaristia come il centro della mia vita.
Oggi le vecchie domande sono lì di nuovo: come può tutta la mia vita essere eucaristica e come può la celebrazione quotidiana dell’eucaristia renderla tale? Devo raggiungere una mia risposta. Senza questa risposta l’eucaristia può diventare poco più che una bella tradizione.
Questo piccolo libro è un tentativo di parlare a me stesso e ai miei amici dell’eucaristia e di intessere una rete di relazioni tra la celebrazione quotidiana dell’eucaristia e la nostra esperienza umana quotidiana.
Ci inoltriamo in ogni celebrazione con un cuore pentito e preghiamo il Kyrie eleison. Ascoltiamo la Parola -le letture della Sacra Scrittura e l’omelia -, professiamo la nostra fede, offriamo a Dio i frutti della terra e del lavoro dell’uomo e riceviamo da Dio il corpo e il sangue di Gesù e, infine, siamo inviati al mondo con il compito di rinnovare la faccia della terra. L’evento eucaristico rivela le esperienze umane più profonde, quelle della tristezza, della sollecitudine, dell’invito, dell’intimità e dell’impegno.
Riassume la vita che siamo chiamati a vivere nel Nome di Dio. Solamente quando riconosciamo la ricca rete di connessioni tra l’eucaristia e la nostra vita nel mondo l’eucaristia può essere del mondo e la nostra vita ‘eucaristica’.
Come base per le mie riflessioni sull’eucaristia e sulla vita eucaristica userò la storia dei due discepoli che -- andarono da Gerusalemme a Emmaus e tornarono indietro.
Dal momento che il racconto parla di perdita, presenza, invito, comunione e missione, abbraccia i cinque aspetti principali della celebrazione eucaristica.
Insieme formano un movimento, il movimento che va dal risentimento alla gratitudine, vale adire, da un cuore indurito a un cuore grato.
Mentre l’eucaristia esprime questo movimento spirituale in modo molto conciso, la vita eucaristica è una vita in cui siamo in- vitati a far esperienza di e ad affermare questo movimento in ogni momento della nostra esistenza quotidiana.
In questo libricino spero di sviluppare le cinque fasi di questo movimento che va dal risentimento alla gratitudine in modo che diventi chiaro che ciò che celebriamo e ciò che siamo chiamati a vivere sono essenzialmente la stessa cosa.
Henri Jozef Machiel Nouwen
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