C'è tanto lavoro da compiere per superare e per rimuovere le discriminazioni: a condizione che le si individui nella loro esatta realtà e consistenza, non cedendo a norme che, con la buona intenzione di combatterle, rischiano di introdurne altre, e più pesanti.
È un riflesso condizionato. Ogni qual volta si ha notizia di violenze o di intimidazioni contro una persona che ha un orientamento omosessuale, si esige l’introduzione del delitto o dell’aggravante dell’«omofobia», come strumento infallibile di lotta alla discriminazione. Chi osa sollevare perplessità è una specie di concorrente esterno in bullismo. Corro il rischio di ricevere questa etichetta, e provo a ricordare che il nostro ordinamento punisce senza distinzioni ogni aggressione alla integrità della persona e alla sua sfera morale: esistono ancora i reati di percosse, lesioni, ingiurie, minacce. L’introduzione da quattro anni delle norme sullo stalking (sempre che le si applichi ovunque) rende inoltre possibile una efficace prevenzione. In più, il codice penale contiene le aggravanti dei «motivi abietti», e dell’approfittamento delle condizioni di debolezza della vittima: sono le situazioni in cui lo scopo è, fra gli altri, quello di offendere, a causa dell’orientamento sessuale, la dignità di ogni persona.
Dunque, il reato o l’aggravante di omofobia per un verso sono inutili; per altro verso sono rischiosi per la libertà dei cittadini. La discriminazione è un concetto ampio: consiste, in base alla normativa europea (si veda, per esempio. la Direttiva 2000/78/CE della Ue), nel trattare una persona in modo meno favorevole di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga. A questa discriminazione, che viene detta "diretta", va aggiunta una nozione di discriminazione "indiretta", che si verifica quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di svantaggio talune persone rispetto ad altre. Da un concetto così esteso deriva uno spazio enorme di intervento penale. Se costituisse aggravante qualsiasi discriminazione per motivo di orientamento sessuale, la madre che prova a persuadere la figlia a non sposare una persona che manifesta un orientamento "bisessuale", e le illustra i problemi che sorgerebbero per un nucleo familiare stabile, rischierebbe l’imputazione di violenza privata, aggravata da discriminazione per motivo di orientamento sessuale. Conseguenze come questa limiterebbero in modo inaccettabile sia la libertà di espressione del pensiero, sia la libertà e l’autonomia delle persone nell’esercizio dei propri diritti e nella regolazione dei propri interessi.
La probabilità di avvio di procedimenti penali aumenterebbe di fronte a qualsiasi giudizio critico, sul piano scientifico, etico ed educativo, di determinati orientamenti sessuali; o di fronte a qualsiasi posizione religiosa o espressione educativa, che sostenga la contrarietà al diritto naturale degli orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale: nei seminari, nei corsi di catechismo, nella preparazione al matrimonio, in convegni e conferenze.
Attribuire una specifica tutela penale «all’orientamento sessuale della persona offesa dal reato» significa attribuire all’orientamento omosessuale – che in questo momento lamenta le maggiori "discriminazioni" – non un valore in sé positivo, ma un valore maggiormente positivo rispetto ad altri motivi discriminatori, non previsti in modo altrettanto specifico dall’ordinamento. L’aggravante rivela così il suo contenuto simbolico, e per questo la pretesa del suo inserimento nell’ordinamento è contestuale, oggi, alla richiesta del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali; domani, all’adozione di bambini da parte di coppie del medesimo sesso, o al ricorso per le stesse coppie alle tecniche di fecondazione artificiale, o infine alla penalizzazione di quegli educatori per i quali essere sessuati non è una questione di scelta, ma di natura.
Far coincidere la prevenzione delle violenze con la legge penale è, poi, un alibi rispetto al mancato impegno preventivo su altri fronti, compreso quello, spesso disatteso, di una sana educazione al rispetto di ogni essere umano, a prescindere dalle sue condizioni di vita, di salute e, ovviamente, dalle sue stesse scelte. Di più: con l’espressione «orientamento sessuale» non si farebbe riferimento al fatto che l’esercizio in concreto della sessualità è lasciato alla libertà individuale, quali ne siano le modalità, purché non coercitive; si affermerebbe per legge che la sessualità in sé costituisce un orientamento soggettivo. E dare queste definizioni, se non corrisponde ai compiti di uno Stato laico, si traduce in intolleranza verso chi ritiene doveroso difendere la differenza sessuale uomo-donna e la complementarietà eterosessuale.
C’è tanto lavoro da compiere per superare e per rimuovere le discriminazioni: a condizione che le si individui nella loro esatta realtà e consistenza, non cedendo a norme che, con la buona intenzione di combatterle, rischiano di introdurne altre, e più pesanti.
Alfredo Mantovano
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