“Io, bambino-soldato in Liberia”

Un giorno capita che riesce ad eludere, per caso, la sorveglianza. E scappa. Dopo varie vicissitudini arriva in Costa d'Avorio. E da lì comincia un'altra odissea...

“Io, bambino-soldato in Liberia”

da Un Mondo Possibile

del 26 ottobre 2010

         

          Lewis è oggi, come si dice, un uomo fatto; ha una compagna, Zita, che fa l’infermiera; è laureato in bioingegneria medica, in Finlandia, dove trascorre una parte dell’anno nell'attività professionale. L’altro tempo lo passa in Africa, in Camerun, dove vive, profuga, la sua famiglia. In Liberia teme ancora per la sua sicurezza. Vuole aiutare la sua gente perché, dice, “loro hanno bisogno soprattutto di africani”.

 

          Lewis è stato, nel passaggio tra infanzia e prima adolescenza, un soldato. Un bambino-soldato. È il più grande di 16 fratelli. La sua è una famiglia come tante in quella martoriata regione. In Liberia dilaga la la guerra civile, i ribelli antigovernativi imperversano seminando il terrore. Entrano nei villaggi e obbligano i ragazzi a seguirli; chi non lo fa si ritrova con le mani mozzate.

          Lui viene preso mentre percorre la strada da casa alla scuola, a parecchi chilometri di distanza. È così che inizia la sua odissea, il viaggio periglioso di un ragazzo africano come tanti che si trova costretto contro la sua volontà a lasciare la famiglia, il villaggio, la sua comunità per una terra incognita - la selva – piena di pericoli, tra gente che continuamente lo minaccia.

          Deve imparare – è obbligato - a fare la guerra. Imbraccia un fucile mitragliatore più grande di lui, è costretto a lunghe marce nei boschi insieme agli altri coetanei, gli sgherri che li tallonano non li perdono di vista un solo momento. Vengono ripetutamente drogati, la violenza fisica è, a volte, intollerabile. Quella psicologica, pervasiva di giorno e di notte. Arriva a pensare, Lewis, di non poter più sopportare quelle angherie, non sa niente della sua famiglia, dei suoi cari. Piuttosto è meglio se lo ammazzano e la fanno finita, non ce la fa più.

          Un giorno capita che riesce ad eludere, per caso, la sorveglianza. E scappa. Dopo varie vicissitudini arriva in Costa d’Avorio. E da lì comincia un’altra odissea. Con altri compagni di viaggio risale il continente, attraversa la Libia, e si ritrova su un barcone, tra costa africana e Sicilia, in quel mare nostrum che per tanti come lui –in questi anni- è diventato un mare monstrum, “l’esperienza più brutta della mia vita”, dice Lewis.

          E comincia così la sua “nuova” vita a fare il “vu cumprà” lungo la penisola... Quando casualmente incontra una signora che in un impeto di generosità lo aiuta e si interessa a lui, Lewis è disperato, il freddo dell’inverno è anche il freddo del suo animo, della sua solitudine: “Ero solo, non avevo nessuno a cui rivolgermi, non sapevo niente della mia famiglia lontana”.

          Alle volte basta poco per cambiare il corso di una vita: un interessamento, un po’ di attenzione, non girare lo sguardo dall’altra parte... Viene aiutato, Lewis; riprende gli studi, si trasferisce in Finlandia dove può frequentare l’università, alla fine laureandosi – nel maggio di quest’anno - in bioingegneria medica. Finalmente riesce a tornare in Africa dove ritrova, dopo vari anni, la madre e i fratelli. Il padre è stato ucciso dai ribelli.

          In una serata organizzata, qualche giorno fa, in una sala con una trentina di persone, Lewis racconta la sua storia. Mentre parla, scorrono veloci i fotogrammi di un video. Sono le immagini della vita di un villaggio africano. Il villaggio di Lewis. Sì, perché il giovane laureato, appena può, torna fra la sua gente. Una restituzione, una promessa di farsi a sua volta portatore di soccorso ed aiuto concreto.

          Lo farà da volontario, se non riuscirà ad avere un posto dal governo locale. Al piccolo presidio sanitario che ha messo in piedi Lewis tiene tantissimo. Si premura che non manchino medicinali essenziali nella minuscola farmacia; che venga tutelata la salute dei bambini che frequentano la scuola (con un aiuto di 35 euro l’anno si garantisce ad un bambino la frequenza di un intero anno scolastico!).

          Nel frattempo si è formato un piccolo gruppo di amiche e amici – si chiama “Arca per l’Africa” - che continuano a sostenere questa iniziativa che è anche una nobile causa, in quel contesto africano sconosciuto se non fosse per l’amicizia che si è creata con Lewis. E questo è l’epilogo - un epilogo del tutto aperto alle possibilità e quindi al futuro, un nuovo inizio - di questa storia al contempo drammatica e bella.

          Piccoli, ma significativi progetti di autosviluppo vengono messi in cantiere per quei villaggi africani, per la loro gente, gli amici di Lewis. Si va avanti, è una scoperta, uno scambio, arricchisce tutti, qui e lì. Le distanze si sono accorciate.

          Fonte: Vita Trentina

Roberto Moranduzzo

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