Non invidio chi trascorre questi giorni bollenti poltrendo o vagando o perdendoli: il volontariato è ogni giorno un viaggio...
– Che ci fai sola soletta? Vieni, siamo tutti insieme!
– In realtà vorrei stare un po’ da sola.
– Vuoi che vada via?
– No, tu resta.
Restiamo da sole insieme, io ed Elisa (che in realtà, come gli altri che nominerò, non si chiama così).
La guardo mangiare polpette dal contenitore che le ha dato la mamma stamattina, prima di lasciarla in oratorio. Intorno a noi i bimbi pranzano: torneremo a ridere con loro tra un attimo; adesso no, adesso silenzio.
Mi sorprendono sempre i bambini. Siamo abituati a vederli come bruchi delle farfalle che saranno da grandi o come piccoli adulti, raramente li pensiamo personaggi a sé, minuti barattoli dotati di quanta più saggezza sappia inserirvi dentro il Cielo.
Il grest mi ha insegnato questo: m’ha aperto occhi e mani, m’ha offerto fotografie colorate di una dolcezza per nulla campata in aria. Mi ha fatto conoscere ottimi amici alti un metro e un pacco di chewing-gum.
Come Clarissa, cinque anni, che conserva minuziosamente in un pacchetto di fazzoletti i suoi tesori: una pallina da softair, i nodi di due palloncini e mille altre cose che conta e riconta nella speranza di non perderne nessuna. Talvolta, prima di giocare, me le affida come un segreto, con doloroso commiato.
Poi c’è Federica, che non ricorda mai il mio nome ma mi vuole tanto di quel bene; Maria a cui sono stati regalati cinque centesimi e sogna di comprarci mezzo bar; Elena che ha una montagna di cibo ma si concede a fine pasto il lusso di un ghiacciolo; Luisa, di cui riconosco il soffocamento dell’abbraccio.
“Sabrina, lo sai che…?” e inizia il racconto, spesso collettivo, di un milione di avventure: storie di cuginetti e di nonni, di feste di compleanno, di medaglie vinte, di ferite da bici.
Il grest mi ha insegnato questo: ad ascoltare. Sedermi per terra a gambe incrociate ad assistere allo spettacolo più bello al mondo, il regalo di una vita che si rivela.
Giocare, sì, ma non per vincere, per vivere. Per stare insieme, sentirci indispensabili a noi stessi e a chi ci circonda, per gridare chi siamo, per ridere. I punti non contano, quelli sono solo l’avanzare di una pedina sul tabellone, sono i sorrisi il vero guadagno, il bianco bianchissimo dei nostri denti mentre cantiamo una canzone e ci scopriamo stranamente intonati, uniti, unici.
Del grest si riportano, lo so, i giochi svolti, gli inni di squadra, i colori delle maglie. Io ricordo le storie che mi raccontano, le canzoni che s’inventano, i colori degli occhi.
Torno a casa stringendo in pugno il senso di tutto, e come sabbia lo disperdo salendo le scale di casa, vivendo di corsa. Allora ho bisogno di tornare al mio oratorio, dai miei bambini, per ricordarmi che il tempo è un dono troppo prezioso per non venir condiviso, che la presunzione con cui diciamo la mia estate sa svanire quando la prestiamo agli altri spezzettando la nostra solitudine; e non invidio chi trascorre questi giorni bollenti poltrendo o vagando o perdendoli: il volontariato è ogni giorno un viaggio.
– Vuoi che vada via?
– No, (g)resta.
Sabrina Sapienza
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