«Io, occidentale, e i miei 66 schiavi»

Abbiamo fatto la scioccante scoperta visitando il sito internet Slavery Footprint. Si tratta di un'applicazione web che promette di rivelare quanti schiavi, senza saperlo, abbiamo ogni giorno alle nostre dipendenze in base allo stile di vita, abitudini e dimensioni del nucleo famigliare.

«Io, occidentale, e i miei 66 schiavi»

da Attualità

del 03 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

           Io ho ben 66 schiavi che lavorano per me. Proprio come la giornalista della MSNBC Suzanne Kantra e l’assistente editoriale della Rizzoli a New York, Serena Deni. Abbiamo fatto la scioccante scoperta visitando il sito internet Slavery Footprint. Si tratta di un’applicazione web che promette di rivelare quanti schiavi, senza saperlo, abbiamo ogni giorno alle nostre dipendenze in base allo stile di vita, abitudini e dimensioni del nucleo famigliare.

          L’innovativo sito internet è stato creato da Call+Response, organizzazione non profit che si batte da anni per porre fine alla schiavitù, in collaborazione con l’Ufficio per Monitorare e combattere il Traffico di Persone del Dipartimento di Stato Usa diretto da Hillary Clinton.

          PROBLEMA DRAMMATICO - «La schiavitù purtroppo è ovunque - punta il dito Justin Dillon, responsabile di Slavery Footprint -, ogni oggetto della nostra quotidianità viene realizzato sfruttando in maniera disumana ed illegale manodopera a basso costo». L’iniziativa ha come finalità quella di incentivare le multinazionali a far luce sulle loro pratiche «schiaviste», rendendo i consumatori più consapevoli su una piaga sociale che oggi affligge 27 milioni di persone, molte delle quali bambini. Nonostante sia stata messa al bando un po’ ovunque e sia stata ufficialmente proibita con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la schiavitù resta uno dei problemi più drammatici e allo stesso tempo meno discussi. Forme contemporanee di sfruttamento coinvolgono innumerevoli persone, senza distinzione di età, sesso e razza. Basti pensare alle donne dell’Europa dell’Est costrette a prostituirsi, ai bambini venduti in Africa al pari di merce qualsiasi, e agli uomini forzati a lavorare in condizioni estreme nelle fazende brasiliane.

         QUESTIONARIO - «E’ un fenomeno drammatico di cui bisogna ricordarsi quando si va a fare shopping e si acquista qualcosa», continua Dillon. Se volete conoscere quante persone sono state ridotte in schiavitù per realizzare il vostro computer, la bici, la borsa firmata oppure le scarpe all’ultima moda, la procedura è molto semplice. Basta rispondere a un questionario di 11 pagine con domande sull’età, il numero di figli, la dieta, l’attività sportiva, la tipologia della vostra abitazione e persino cosa avete nell’armadietto delle medicine. La battaglia multimediale di Slavery Footprint contro la schiavitù non si ferma qui. L’obiettivo è riuscire dove le politiche governative hanno fallito: debellare definitivamente la schiavitù coinvolgendo direttamente e in prima persona i consumatori. Il prossimo passo sarà quindi un’applicazione per telefonini attraverso la quale si potrà conoscere direttamente dalle aziende più responsabili e votate alla trasparenza se il prodotto che si vuole comprare è stato realizzato da lavoratori costretti in condizione di schiavitù.

Alessandra Farkas

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