Uno scrittore racconta la sua battaglia. Non è vero che un bravo insegnante deve insegnare bene, e basta. L'insegnamento non è cultura soltanto. È vita. Per insegnare ai ragazzi, devi vivere la vita dei ragazzi. Leggere quel che leggono...
Non è vero che un bravo insegnante deve insegnare bene, e basta. L’insegnamento non è cultura soltanto. È vita. Per insegnare ai ragazzi, devi vivere la vita dei ragazzi. Leggere quel che leggono. Interessarti a quel che li interessa. Vedere i film che vedono. E, oggi, fare i viaggi che fanno, anche i viaggi in web.
Un insegnante è una guida, e oggi dovrebbe essere (è la mia opinione) anche una guida nel web. Alcune esperienze che, mentre le vivevo, mi sembravano devianti rispetto all’insegnamento, più passa il tempo più mi accorgo che erano centrali. Tra queste, il lavoro nel primo Centro Regionale Anti-Droga fondato in Italia. Ci si riuniva tutte le settimane, tre professori e uno psichiatra che faceva da presidente, si discutevano i rapporti della polizia (arresti, sequestri, furti, risse), si discutevano le ultime notizie (droghe tagliate male, cecità, collassi), si esaminavano le direttive comportamentali dei movimenti giovanili, si visionavano i filmati di test ai ragazzi sotto droga, droghe leggere, droghe pesanti. I movimenti giovanili più seguiti allora diffondevano (anche nei manifesti e nelle scritte sui muri) una direttiva che torna periodicamente fuori: «Fumo sì, buco no».
Tradotto significava: marijuana sì, eroina acido e coca no. Si diceva che il fumo non faceva male. Anzi, consolava, ritemprava, confortava, infondeva euforia, faceva dormire bene, aiutava a socializzare. Perciò, quando visionavamo i filmati dei test su ragazzi che facevano uso di droghe, osservavamo con più attenzione i casi che presentavano le droghe leggere. Erano test sull’attenzione, la sveltezza, la reattività.
Il ragazzo è seduto, ha fumato una buona quantità di marijuana, viene filmato di spalle. È alla playstation. Deve guidare un’auto che va in là. Su una strada a due corsie, una in là, l’altra in qua. Vede in tempo le auto che vengono in qua, sta sulla sua destra, le evita. Gira il volante con garbo, ha una guida elegante, mi sembra sicuro. C’è un incrocio, un’auto si sta immettendo da destra, ha già iniziato la manovra. Il nostro pilota avanza imperterrito, l’auto da destra deve frenare di colpo. Non succede niente, nessun incidente. Ma lo psichiatra ha un sussulto, e capisco che nel suo cervello entra lo stesso dubbio che è entrato nel mio: il nostro pilota vede in tempo le auto che s’immettono dai lati? Ha una buona visione laterale? O ha soltanto una visione frontale? Poi, nel commento del test, lo psichiatra ci spiega che il ragazzo sotto marijuana «non sta bene in piedi»: se si mette su una gamba sola, cade. E non rispetta le distanze di sicurezza, nel senso che per lui le distanze diventano più lunghe. Se l’auto davanti a te impacca le ruote, tu, se sei sotto cannabis, perdi qualche secondo prima di frenare, col risultato che vai a sbattere.
Nei test, i nostri spinellati non vedono sempre lo stop, o lo vedono con ritardo, quando ormai non ha più senso fermarsi, e allora proseguono. Un’indagine che ho qui davanti dice che in Italia i consumatori di marijuana sono il 15% della popolazione. In quel 15% ci sono in gran parte i ragazzi delle scuole, ed esattamente nelle suole medie superiori. Ogni volta che sento le stragi del sabato sera, mi domando: non è che c’è un rapporto col non vedere le auto che s’immettono dai lati, e non vedere in tempo gli stop, e non farsi bastare le distanze di sicurezza?
Ho avuto studenti che fumavano marijuana, me li ricordo bene. Non erano infelici. Ma erano, moravianamente, indifferenti. Se prendevano un brutto voto, non se ne facevano un problema. Li vedevo peggiorare di settimana in settimana. Ero io ad essere infelice, per loro. Dico questo perché ho rilasciato dichiarazioni e interviste allarmate per la liberalizzazione delle droghe leggere, e mi arrivano insulti da ogni parte, come se io non volessi la felicità dei ragazzi. Ma se non ho cercato altro che quella, in tutta la vita! Ne ricordo di così spinellati, che non han superato la Maturità e si son ritirati. Non era meglio se si maturavano e poi si laureavano?
Ferdinando Camon
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