“Vado io”: sono queste le due parole che raccontano la storia di padre Daniele. È instancabile nel suo ministero, sempre vicino ai poveri, con la sua chitarra con cui compone anche diverse canzoni...
del 05 ottobre 2018
“Vado io”: sono queste le due parole che raccontano la storia di padre Daniele. È instancabile nel suo ministero, sempre vicino ai poveri, con la sua chitarra con cui compone anche diverse canzoni...
Era una “missione normale”, quella di padre Daniele Badiali, un sacerdote della diocesi di Faenza missionario fidei donum in Perù, ucciso nel 1997 a soli 37 anni, probabilmente solo perché aveva riconosciuto uno dei suoi rapitori. Ma la Chiesa di Perù è anche fatta di “missioni normali” come quella di padre Daniele.
Papa Francesco conosce la sua storia perché il vescovo Mario Toso di Faenza gliela ha presentata al termine di una udienza generale, insieme ad un libricino edito dalla diocesi e dall’Operazione Mato Grosso, intitolato “La tua mano mi darai”, e al libro "Vado Io" di Girolamo Fazzini, edito dall'Editrice Missionaria Italiana.
La causa di beatificazione è stata avviata nel 2010, dalla diocesi di Faenza-Modigliana. Quella che si racconta è la storia di una vocazione attuale, di un giovane che vive anche l’esperienza del silenzio di Dio, ma che non si fa mai lo scrupolo di non essere di aiuto.
“Vado io”: sono queste le due parole che raccontano la storia di padre Daniele. È tra il libro di Fazzini e quello della diocesi che ricostruiamo la storia di questo missionario normale.
A quindici anni, padre Daniele conosce l’Operazione Mato Grosso, un movimento educativo missionario, formalmente aconfessionale, ma in realtà molto caratterizzato da missionari. E decide di partire, seguendo Giorgio Nonni, faentino come lui, che diventerà poi sacerdote, e conoscendo lì il fondatore dell’Operazione, il salesiano Ugo De Censi.
Dopo una prima esperienza missionaria, torna in Italia, per studiare al seminario di Bologna, e, nel 1991, viene inviato sulle Ande peruviane, come missionario fidei donum. È instancabile nel suo ministero, sempre vicino ai poveri, con la sua chitarra con cui compone anche diverse canzoni. Sente il desiderio di trovare un nuovo modo di evangelizzare, e la necessità di essere di esempio.
Eppure, la missione di padre Daniele è una missione di un giovane normale, con la barba incolta, in mezzo ai poveri che lo sconvolgono. “La gente – si legge nei suoi diari – bussa continuamente alla porta per chiedere viveri e medicine, per chiedere, per chiedere, per chiedere… non so cosa fare… scapperei di fronte a tutto questo”.
Ed è anche in questa confessione, nella crisi di fede che lo tocca quando vede i poveri e che gli strappano “quel Dio che mi ero costruito studiando teologia”, che padre Daniele si mostra un missionario normale, con i suoi dubbi, ma anche con una fede che resta sullo sfondo, e che lo fa resistere.
Era partito per la prima volta per il Perù nel 1984, a 22 anni, ed era vissuto a Chacas dove era parroco padre De Censi. Quando nel 1991 verrà ordinato sacerdote, viene inviato come sacerdote fidei donum nella vastissima parrocchia di San Luis, a 3500 metri di altezza, sulle Ande. Sei anni da parroco, durante i quali cammina tantissimo, raggiunge i suoi 60 villaggi, celebra Messa, amministra battesimi.
Succede che il 16 marzo 1997, dopo aver celebrato le Messe a San Luis, va verso Yauya, per la Messa della sera. Sulla via del ritorno, la jeep su cui viaggiava viene bloccata da grosse pietre sul cammino, e un uomo mascherato ed armato e chiede un ostaggio, da scambiare poi con denaro.
Una ragazza scende, ma padre Daniele la ferma e dice: “Tu rimani. Vado io”.
Doveva essere un rapimento a scopo di riscatto, ma riconosce uno dei rapitori. Decidono di ucciderlo, gli sparano un colpo di pistola alla testa. L’assassino ha riferito che le ultime parole di padre Daniele furono: “Gesù, Gesù, Mamma, Maria, Maria, Gesù”.
Il suo corpo viene ritrovato da una pastorella la mattina del 18 marzo. Due funerali: uno sulle sue amate Ande, e il 24 marzo nella cattedrale di Faenza, piena di persone per dargli l’ultimo saluto.
Il 18 ottobre 2014 si è conclusa la fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Padre Daniele Badiali. Potrebbe essere il beato del Sinodo dei Giovani. Di certo, la sua storia è una delle tante, luminose storie di testimonianza e martirio. (tratto da Acistampa)
Da una sua lettera
Sono a casa di Maximo, un ragazzo del taller, arrivato oggi da Chacas per fare domani una giornata di oratorio con i ragazzi di questo caserio. C’è tanta pace, non mi sembra vero, e così avendo già preparato il piano d’attacco per domani ne approfitto par scrivere un po’…..
Mi sento più chiamato in causa con la mia vita, e per di più ora che ho vissuto e ho visto i poveri, li ho conosciuti, tengo nel mio cuore volti noti, non posso tornare indietro.
Così ognuno nella vita piano piano deve lasciarsi intrappolare, e anch’io ora mi ritrovo a dover essere ben deciso su ciò che voglio vivere. Sì…desidero percorrere questo cammino verso il Signore, come un incredulo, un cieco, un peccatore… Così mi sento: un peccatore, uno che non ha fede, che però ha capito che solo nella direzione del Signore è possibile incontrare una verità.
Tutto ciò che facciamo è solo un mezzo per poter dire alla fine della vita:”Signore, ho cercato di fare qualcosa per te, perdona i miei peccati, abbi pietà di me”.
Mi ritrovo tanto contento nell’essere qua in mezzo a questa povera gente, in mezzo ai bambini, in tutto ciò che facciamo i momenti più veri sono ancora quando facciamo la carità. Così piano piano è scoprire che per seguire il vangelo non devi guadagnare niente, tutto ciò che hai dallo gratis. E invece quante volte si lavora soltanto per un rendiconto, nello stesso lavorare per i poveri sempre si aspetta il momento in cui la gente stessa sia capace di portare avanti le cose. Ma l’autosufficienza non è la strada del vangelo, e la vita ci dice che quando uno prende in mano un peso quello sarà la sua croce. Lo vediamo bene qua a Chacas, ora come ora è impensabile poter andare via, ma piano piano devi capire che devi giocarci la vita. Ugo già da tempo ha capito questo, gli insuccessi sono sempre alle porte, ciò che lo spinge ad andare avanti è la speranza che il Signore possa accoglierlo tra le sue braccia quando dovrà presentarsi al suo giudizio e rendere conto di ciò che ha vissuto.
Mi fanno sempre più paura le parole di Gesù: “dar da mangiare agli affamati,… dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi…” Il Signore ci ha detto che saremo giudicati su questo, e se non lo facciamo, dove andremo a finire? Se mi guardo un poco dentro mi ritrovo ancora tanto lontano dal vangelo, da Gesù, dai suoi insegnamenti, vorrei saper vivere di più… non sono capace, spero il Signore mi aiuti ad essere più fedele a lui. Desidero tanto incontrarlo al termine di questa vita.
Un saluto alla tua famiglia. Con affetto
Daniele
Alcuni link:
Cos'è l'operazione Mato Grosso
La Redazione
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