I "neet" sono i giovani under 35 che non studiano e non lavorano...
«L’Italia è in Europa il maggior “produttore” di “neet”, cioè giovani under 35 che non lavorano e non studiano». Lo ha affermato nei giorni scorsi Alessandro Rosina, docente dell’Università Cattolica di Milano, presentando “La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2016”, nel corso dell’incontro dei responsabili degli uffici diocesani e regionali per le comunicazioni sociali riuniti a Roma: «Con i “neet” – osserva Rosina -, nel nostro Paese l’unica altra categoria in crescita è quella degli “expat”, formata da giovani under 35 che cercano opportunità di studio e lavoro oltre i confini».
Il Rapporto, promosso dall’Istituto Toniolo, ha visto coinvolti 9 mila giovani dai 18 ai 34 volendo cogliere le caratteristiche dei cosiddetti “millenials” (i giovani nati a cavallo tra gli anni ’80 e i 2000), in uno scenario diverso da quello delle generazione precedenti e che ha perfino costretto a coniare neologismi: «Ne emerge – rileva l’esperto – una generazione disorientata più che disillusa, dispersa più che disperata».
Partendo da questo presupposto, lo studioso si è chiesto se ci troviamo davanti ad una generazione perduta: «In realtà – spiega -, i giovani si sentono chiusi in una sfera per difendersi o per necessità, mentre vorrebbero spostarsi nella sfera di opportunità. Si sentono come dentro un labirinto, ma riescono a trovare con difficoltà qualcuno o qualche indicazione che li aiuti a giungere all’uscita».
Ciononostante, molti giovani fanno fronte a questo smarrimento,assumendo un certo spirito di adattamento: «Ma – precisa il docente dell’Università Cattolica di Milano – ai loro progetti non rinunciano.Rinviano il loro futuro per quanto riguarda la formazione di una famiglia o il lavoro sognato, perché sono combattuti tra l’idea di adattarsi e il rischio che adattandosi troppo rimangono intrappolati».
Anche per questo, i millenials chiedono alla scuola competenze adeguate e di alto livello: «Vorrebbero una formazione – denota Alessandro Rosina – che non aiuti tanto a trovare lavoro, ma che aumenti conoscenze e abilità personali. Aspetti che caratterizzano non solo la scuola, ma anche il volontariato e il servizio civile».
Un altro capitolo, riguarda poi il riconoscimento dell’importanza delle nuove tecnologie: «I giovani – illustra ancora il demografo -, considerano l’informazione online più importante e alcune volte di maggiore qualità rispetto a quella cartacea, sicuramente superiore a quella televisiva. Ma, sono consapevoli che le nuove tecnologie, lo strumento che conoscono meglio,non sono quelle che possono produrre cambiamenti dello stato delle cose. Inoltre, i giovani sono disposti ad accettare un lavoro diverso dal percorso di studio e attribuiscono più importanza al reddito che all’autorealizzazione».
Un ultimo dato riguarda, infine, la volontà di mettere al mondo dei figli: «Idealmente – afferma l’accademico -, i giovani italiani vorrebbero tanti figli (più di due), quanto i coetanei francesi. Ma realmente sono disposti ad averne meno dei francesi».
Infatti, tra i due Paesi, il gap aumenta ancora per quanto riguarda i figli effettivamente messi al mondo: «Mentre in Francia – conclude – aumentano rispetto ai figli che i giovani realisticamente prevedono, in Italia il numero diminuisce ulteriormente. Per invertire la rotta, dobbiamo capire i loro progetti di vita e dare loro gli strumenti per realizzarli».
Davide De Amicis
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