Jean Vanier, Il coraggio di affrontare una sofferenza più profonda

L'amore è dolce e bello ma può essere accompagnato da una terribile paura: la paura dell'avvenire e del rischio di andare troppo oltre, la paura che il tutto conduca soltanto alla morte della nostra cosidetta libertà, la paura di essere feriti, perché amare significa diventare vulnerabili. Amare è sempre un rischio.

Jean Vanier, Il coraggio di affrontare una sofferenza più profonda

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Nella bellezza e nella fragilità di questa esperienza di comunione, c'è anche una sofferenza. Perché con la nostra capacità di amare sono risvegliate anche la nostra vulnerabilità e sensibilità più profonda. La scomparsa delle barriere e dei nostri sistemi di difesa e di controllo, lasciano emergere alla nostra coscienza non soltanto le acque vive dell'amore ma anche le potenze delle tenebre: il nostro bisogno di possedere, il nostro desiderio di attaccarci agli altri, a volte cercando una fusione, per riempire il nostroi vuoto, gli accessi di gelosia e, insieme, la capacità di odiare, le pulsioni sessuali che disturbano la coscienza.

L'amore è dolce e bello ma può essere accompagnato da una terribile paura: la paura dell'avvenire e del rischio di andare troppo oltre, la paura che il tutto conduca soltanto alla morte della nostra cosidetta libertà, la paura di essere feriti, perché amare significa diventare vulnerabili. Amare è sempre un rischio.

Quando ci avviciniamo a persone spezzate, possono risalire alla superficie del nostro essere sofferenze nuove, magari quando siamo stanchi o depressi, o quando abbiamo perso il contatto con il centro del nostro essere o quando la persona ferita ci provoca. In questo caso, la persona ci chiede qualcosa che noi siamo incapaci di dare, sia perché il nostro pozzo è secco e ci sentiamo vuoti, sia perché la persona  che ci sta di fronte chiede troppo.

(...)

La grazia tranquilla della comunione è scomparsa. - Era solo illusione? - Al suo posto c'è solo un terribile disordine interiore.

È la scoperta delle nostre spaccature, nascoste dietro la capacità di "fare" e di conoscere, nascoste dietro la noncuranza, la sicurezza, il buonumore, nascoste anche dietro le opere di pietà e i momenti di preghiera. Quando tocchiamo le nostre tenebre - così profonde, così terribili - ci vergognamo talmente da voler fuggire.

Allora troviamo ogni sorta di scuse per lasciare gli altri alla loro sofferenza e poterci sottrarre totalmente alla relazione con loro. E non osiamo parlare a nessuno di questa penosa espoerienza, cerchiamo di dimenticarla e ci sentiamo colpevoli.

Oppure possiamo accettare di guardare ciò che abbiamo dentro e scoprire chi siamo, in verità. Sotto quest'apparenza di gioiosa generosità, sotto quest'immagine di bontà che amiamo dare agli altri, e che forse abbiamo curato, non siamo nient'altro che una persona spezzata che ha bisogno di guarigione.

Può essere questo il momento della nostra salvezza, un passaggio di crescita verso l'unità interiore, una traversata spirituale che ci farà rinascere in verità, se l'accogliamo umilmente. Ma non è facile. È  grande la tentazione di fuggire la realtà ferita del nostro essere, di non guardarla, di non ammetterla.

Abbiamo bisogno di una guida che possa aiutarci a interpretare questa sofferenza e a capire quello che succede. È un'esperienza terribile e umiliante, ma è anche un'esperienza di verità. Meglio sapere chi siamo realmente, conoscere le tenebre che ci abitano, accettarle e affrontarle, piuttosto che pretendere che non esistano e organizzare la vita in modo tale che le tenebre restino nascoste. In questo modo non faranno altro che aggravarsi e governeranno la nostra vita a livello inconscio fino a quando, forse, riappariranno sotto un'altra forma.

Tratto da: Jean Vanier, Il corpo spezzato, Jaka Book, pp 89-92

Jean Vanier

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