Da oltre 40 anni a fianco dei malati di mente: «La loro semplicità mi ha trasformato dentro». Parla il fondatore della comunità dell'Arca: «Spesso le persone con gravi handicap sono molto vicine a Dio. Hanno l'intelligenza della semplicità».
del 13 gennaio 2009
«Lasciarsi conquistare dalla semplicità di chi ha una disabilità mentale. Di più: farsi mettere in discussione, sperimentando la propria aggressività e incapacità di accogliere l'altro quando ci si sente sfibrati dalle sue urla, dai suoi gesti incomprensibili, dal suo dolore insondabile. Percorrere questo cammino scoprendo il mistero dell'amore in coloro che portano scritto nel loro corpo e nella loro testa un handicap. Sperimentando che dal contatto con loro scaturisce a livello spirituale una profonda trasformazione e guarigione interiore, perché coloro che rifiutiamo ci insegnano chi siamo». È da oltre quarant'anni l'esperienza di Jean Vanier, classe 1928, fondatore in Francia delle comunità dell'Arca, che in tutto il mondo accolgono chi vive un disagio mentale. Ad oggi sono 130 luoghi divenuti una casa «per molti santi: uomini e donne molto vicini a Dio. Mi colpisce sempre - spiega - il loro modo di parlare di Gesù, percependolo come una persona, un amico».
Vanier gira tutto il mondo raccontando la sua esperienza fatta di mille piccoli gesti feriali, ma soprattutto di incontri che hanno cambiato gradualmente la sua esistenza. Nei giorni scorsi, parlando agli studenti della Pontificia università Gregoriana, ha sottolineato: «Il nostro popolo è molto semplice, ma ha l'intelligenza della semplicità». Nella sua casa André, un ragazzo imponente ma un po' difficile che doveva essere operato alle gambe, si sottopose a una visita cardiologica prima dell'intervento. Jean gli chiese cosa avesse visto il dottore nel suo cuore, per accertarsi delle sue condizioni; la risposta del giovane fu comica e sorprendente allo stesso tempo: «Ha visto Gesù, è evidente!».
«A volte vivere con loro è faticoso. La nostra esistenza in comunità viene condivisa con persone che non vogliono starci», ha confidato Vanier, raccontando la storia di Janine, morta serenamente qualche mese fa a 74 anni, piena di tenerezza. «Nel novembre 2005, durante un pellegrinaggio a Lourdes, disse a un volontario che pregava di morire nel sonno; la mattina del giorno di santa Bernadette, a febbraio, siamo andati a svegliarla e lei lo aveva già fatto in Cielo. Appena arrivata all'Arca urlava, gridava, rompeva tutto. Non poteva picchiare gli altri perché era instabile, a motivo della sua gamba inferma; se lo avesse fatto, sarebbe caduta». Quando qualcuno degli ospiti esprime tali pulsioni violente, «ci obbliga a chiederci da dove viene l'aggressività. Con gli psichiatri abbiamo cercato di capire la sofferenza di questa donna - ha riferito il fondatore della comunità - . La sua storia è simile a quella di altre persone: la sua collera derivava dal fatto di non avere figli, dalla gelosia nei confronti delle sorelle che ne avevano tanti; la mamma era appena morta e le sorelle non la volevano con loro; l'avevano portata all'Arca contro la sua volontà». I membri della comunità hanno cercato di capire cosa stesse succedendo a Janine: «Aveva un'immagine rotta di se stessa. Quando era nata, era stata considerata una delusione dai suoi genitori. Difficile per un bambino essere diverso da quello che mamma e papà si aspettano. Cosa succede nel neonato che non si sente amato, accolto? La madre gli dice: 'Non volevo che fossi così, sei la fonte delle mie lacrime'. Così il suo cuore è ferito: si sente non amato per quello che è» - ha osservato Vanier.
A questo riguardo, il fondatore dell'Arca ha parlato anche con un giovane a cui era stato detto che la madre avrebbe voluto abortire se avesse saputo che suo figlio aveva la Sindrome di Down. «Per fortuna sono nato vent'anni fa - ha detto il ragazzo - , altrimenti oggi non sarei qui». Pazienza, tempo, tenacia: bisogna attendere perché «le persone compiano il passaggio da un'immagine negativa a un'immagine positiva di sé», secondo Vanier: piccoli passi segnati dalla gradualità in cui si scoprono i propri doni e «si ritrova la gioia perché ci si sente scelti e amati da Gesù». Un itinerario durante il quale la fede assume un ruolo fondamentale, anche nei più piccoli: tra i numerosi episodi, il fondatore dell'Arca ha raccontato il suo incontro con un ragazzo parigino di 11 anni, con problemi mentali. Il giorno della sua Prima Comunione, dopo la liturgia curata e la festa in famiglia, uno zio (che era anche padrino del ragazzo) disse alla madre: «L'unica cosa triste è che lui non abbia capito nulla». Il bambino sentì la frase e con le lacrime agli occhi rispose alla mamma: 'Non ti preoccupare: Gesù mi ama come sono'. «Lo direste voi: Gesù mi ama così come sono, con le mie difficoltà e i miei handicap? - è la provocazione di Vanier - . È una visione del Vangelo, della Chiesa. Queste persone sono chiamate ad avere un posto speciale».
 
Laura Badaracchi
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