Risposta del direttore di Avvenire al portavoce di Amnesty International Italia. "Quelle inermi vite di bimbi negate tra molte sofferenze e altrettante leggerezze non sono ipotesi, ma sono pratica banalizzata e a lungo incentivata. E sono forse la più cupa e anti-umana eredità dei regimi del cosiddetto "socialismo realizzato" che soffocarono per decenni la libertà."
del 03 maggio 2011
 
 Gentile direttore,           da tempo Avvenire, pur continuando a dare spazio ai nostri rapporti sulle violazioni dei diritti umani, è estremamente critico nei confronti della posizione di Amnesty International sui diritti sessuali e riproduttivi.           Rispetto la posizione del suo giornale, ma vorrei fornire a lei e ai suoi lettori una visione più completa delle preoccupazioni che Amnesty International nutre rispetto all’articolo II della Costituzione ungherese. La formulazione dell’articolo («la vita del feto sarà protetta dal concepimento»), rischia di creare ostacoli e barriere all’accesso a cure mediche necessarie alle donne e alle ragazze in gravidanza e di generare confusione legale sull’effettiva disponibilità di opzioni sanitarie quali cure mediche d’emergenza, interruzione di gravidanza, trattamento a seguito di aborto spontaneo, esami diagnostici che possono avere un impatto sulla salute del feto. Il personale sanitario potrebbe essere indotto a dare priorità all’interesse del feto a scapito di quello di una paziente in gravidanza: nel timore di essere accusati di un reato, i medici potrebbero sentirsi pressati a negare o ritardare cure mediche alle donne, ponendo la salute e persino la vita di queste ultime a rischio.L’articolo II apre la strada all’incriminazione nel caso in cui una gravidanza non dia luogo alla nascita.          In questo modo, le donne e le ragazze potrebbero sentirsi indotte a non chiedere informazioni e cure mediche in un ambiente sanitario idoneo, ciò che aumenterebbe il rischio di aborti clandestini. In terzo luogo, l’articolo II potrebbe essere usato per adottare misure legislative, giudiziarie e amministrative per restringere o persino proibire l’accesso a cure mediche essenziali per le donne e le ragazze in gravidanza. Gli obblighi di diritto internazionale dell’Ungheria (tra cui la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e la Convenzione sui diritti dell’infanzia) prevedono l’adozione di una serie di misure relative alla vita pre-natale, come quelle per la protezione della salute e dei diritti delle donne e delle ragazze durante la gravidanza e quelle relative a un parto sicuro, alle cure mediche neonatali e post-parto. Alla luce di tali obblighi, Amnesty International chiede che tutte le misure per proteggere la vita pre­natale siano compatibili coi diritti delle donne e delle ragazze alla vita, alla salute, all’autonomia, alla vita privata e alla non discriminazione. Per inciso, la Costituzione ungherese presenta altri elementi di preoccupazione e di contrasto con le norme del diritto internazionale. Con la stima di sempre, la ringrazio per l’attenzione e le invio un cordiale saluto. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia            Mi pare evidente che la sua lettera, gentile portavoce, ribadisce e spiega con molta chiarezza la posizione che Amnesty International è andata assumendo e, certo oltre le sue intenzioni, motiva in modo nitido la preoccupazione che questa deriva filo-abortista suscita anche in noi di Avvenire. L’aborto non è un diritto umano, è una tragedia umana.           E i molti condizionali e i richiami a 'rischi' che lei usa per evocare 'danni' incombenti sulle donne a causa della civilissima norma a difesa del bimbo concepito contenuta nella Costituzione ungherese si scontrano con la cruda realtà di pratiche abortive ancora terribilmente diffuse in Ungheria come in tutto l’Est europeo. Quelle inermi vite di bimbi negate tra molte sofferenze (che non oso giudicare) e altrettante leggerezze (che invece segnalo, anch’io, con sofferenza) non sono ipotesi, ma sono pratica banalizzata e a lungo incentivata. E sono forse la più cupa e anti-umana eredità dei regimi del cosiddetto 'socialismo realizzato' che soffocarono per decenni la libertà, e l’anima stessa, di popoli di antica e nobile civiltà.          Ancora una volta devo annotare, con tristezza, che su questi punti cruciali Amnesty non vede più chiaro a sufficienza e, pur essendo stata a lungo capace di una felice e 'scorretta' politica dal basso a difesa dei più deboli e indifesi, oggi sta concedendo molto al 'politicamente corretto'. Me ne dispiace, caro Noury, perché questo affievolisce l’autorevolezza di un’organizzazione per altri versi e su altri fronti – a cominciare da quelli delle storiche battaglie contro detenzioni e sanzioni ingiuste – assai lodevolmente impegnata.          Quanto a ulteriori punti contestati o controversi della nuova Carta ungherese, non me ne sono occupato in questa sede (ma ne abbiamo trattato altrove) perché mi sono concentrato sui quattro casi segnalati da Amnesty come seriamente «problematici» e, in particolare sui primi due 'addebiti': quello pro-aborto e quello contro il matrimonio uomo-donna. Francamente continuo a non capacitarmi che anche una norma che, in sostanza, stabilisce che il matrimonio è tra un marito e una moglie sia stato definito da Amnesty «problematico» dal punto di vista della tutela dei diritti umani. So che quel comunicato non è stato diffuso in italiano, ma è stato diffuso.L’abbiamo letto anche in Italia, e ne abbiamo purtroppo verificato i termini. Ricambio volentieri il cordiale saluto.  
Dino Boffo
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