Da sempre sono esistiti individui convinti che per essere felici sarebbe bastato raggiungere il piacere, il potere, la fama e la ricchezza, e che l'unica cosa da imparare non fosse tanto l'arte di vivere quanto il modo per ottenere abbastanza successo da acquisire i mezzi per vivere bene. Eppure...
del 01 gennaio 2002
L'idea che l'arte di vivere sia una cosa semplice è relativamente recente. Da sempre sono esistiti individui convinti che per essere felici sarebbe bastato raggiungere il piacere, il potere, la fama e la ricchezza, e che l'unica cosa da imparare non fosse tanto l'arte di vivere quanto il modo per ottenere abbastanza successo da acquisire i mezzi per vivere bene. Eppure, se anche esistevano individui e gruppi che praticavano il principio di un edonismo radicale, tutte le culture avevano maestri di vita e maestri di pensiero.
Questi proclamavano che vivere bene è un'arte che va imparata, che imparare quest'arte richiede fatica, dedizione, comprensione e pazienza, e tuttavia costituisce la cosa più importante da apprendere.
Oggi, invece, coloro che insegnano agli uomini come vivere - gli psicologi, i sociologi, i politici - dichiarano che imparare a vivere è assai semplice, al punto che basterebbe leggere qualche manualetto della serie 'Come fare'! Che cosa ha causato un cambiamento così sorprendente? Come si è giunti a credere che sia facile imparare l'arte di vivere, e che difficile sia solo guadagnarsi i mezzi per vivere?
Una delle ragioni che spiegano questo sviluppo va ascritta al fatto che viviamo in una società dominata dalle macchine, nella quale il lavoro artigianale è stato sostituito da quello meccanico. Un tempo produrre una scarpa o un tavolo era un compito arduo, per imparare il quale occorrevano anni. Oggi chi produce scarpe o tavoli utilizzando delle macchine non compie più un'operazione complessa né ha bisogno di anni di apprendistato. Sempre meno professioni specializzate richiedono una formazione paragonabile a quella di un falegname
Lo stesso sviluppo, la possibilità cioè di fare le cose con facilità, si può osservare nel settore dei consumi. Cucinare, guidare un'auto, fotografare: ebbene quasi tutte le attività legate al consumo non richiedono più capacità, né sforzo o concentrazione: basta seguire le semplici istruzioni per l'uso. Perché la vita dovrebbe dunque essere un'arte? Perché sobbarcarsi la fatica di imparare quest'arte, quando invece ogni cosa può essere sbrigata facilmente, quando ogni bambino, schiacciando il pulsante di un televisore, può produrre per incantesimo un intero mondo?
Eppure, vivere non è facile! L'uomo è dotato solo di alcune pulsioni istintive, che non può fare a meno di soddisfare per la sopravvivenza tanto del singolo quanto della specie. Sotto tale profilo non siamo diversi dagli animali. Ma, a differenza di questi, non possediamo un corredo istintuale innato che di volta in volta ci indichi come organizzare la nostra vita e che contenga un progetto per l'arte di vivere. Se noi uomini, nelle nostre azioni, fossimo determinati da queste necessità biologiche, agiremmo allora 'razionalmente' e - per fare solo un esempio - non ci uccideremmo a vicenda per questioni di onore, di fama o di ricchezza, ma saremmo solidali tra noi con l'obiettivo della sopravvivenza. Se il nostro agire fosse determinato solo dalla ragione, non sorgerebbero problemi; ma troppo spesso il nostro pensiero si pone al servizio di interessi egoistici e passioni irrazionali per essere una guida affidabile nell'arte del vivere.
In confronto all'animale, l'uomo viene al mondo prematuramente e completa la propria nascita fisiologica solo molti mesi dopo la nascita vera e propria. Ciò vale per l'aspetto psichico più ancora che per quello fisico. Sotto il profilo psichico all'uomo occorre tutta la vita per portare a pieno compimento la propria nascita. Nel corso di questo processo può anche accadergli di perdersi; in ogni momento del suo sviluppo può cessare di crescere per finire con l'approdare, come un menomato psichico, nella 'distruttività', nella depressione, nell'incapacità di amare e nell'isolamento.
L'uomo è soggetto alla legge di ogni vita fisica e psichica: vivere significa crescere ed essere attivi; se la crescita si interrompe, subentrano il decadimento e la morte. Non è difficile riconoscere la morte fisiologica, mentre la morte psicologica può essere percepita solo da chi è sensibile alla vitalità psichica. E' facile tenere in vita il corpo: gli sforzi necessari a tale scopo sono preordinati e ricevono energia dalla struttura neurofisiologica del cervello. Ma l'uomo non è ugualmente costretto - o lo è solo in misura assai minore - a continuare a essere attivo e a crescere a livello psichico. A tal fine egli deve compiere uno sforzo permanente, in se certamente stimolante, ma al quale non è 'indotto' come nel caso di un comportamento istintivo.
Se prendiamo in considerazione gli ostacoli e le difficoltà che dobbiamo affrontare nel praticare l'arte di vivere, come possiamo sperare di apprenderla senza un qualche insegnamento? In effetti addestrare all'arte di vivere è stato da sempre il compito dei maestri di vita, come Lao-Tzu, Buddha, i profeti, Gesù, Tommaso d'Aquino, Meister Eckhart, Paracelso, Spinoza, Goethe, Marx e Schweitzer, la maggior parte dei quali sono stati anche maestri del pensiero. Sostanzialmente essi hanno insegnato gli stessi principi fondamentali, anche se talvolta hanno espresso concezioni apparentemente configgenti (queste concezioni risultano in contrasto tra loro solo a chi è più interessato alle parole che all'esperienza cui queste rimandano).
I principi essenziali dei maestri di vita sono semplici: scopo supremo della vita di un uomo, dal quale derivano tutti gli altri, è quello di sviluppare appieno la propria umanità.
Questo processo, nel corso del quale l'uomo partorisce se stesso, porta al benessere (well-being) ed è accompagnato da gioia di vivere.
L'uomo può raggiungere questo obiettivo solo nella misura in cui supera l'odio, l'ignoranza, l'avidità e l'egoismo, e cresce nella propria capacità di amore, solidarietà, razionalità e coraggio.
Non è sufficiente conoscere queste mete: l'uomo deve cercare di raggiungerle praticamente in ogni stadio della sua vita.
Che senso ha attribuire tutta questa importanza ai maestri di vita - qualcuno potrebbe obiettare - quando le attuali condizioni dimostrano quanto inefficaci siano stati i loro insegnamenti? Certo, è vero che si è dato troppo poco ascolto alla loro voce; eppure, senza di loro, forse l'umanità sarebbe perita da tempo per mancanza di una guida.
La risoluzione del nostro dilemma dipenderà in larga misura dalla possibilità di ricominciare a imparare da questi maestri di vita; e non perché essi 'incarnino la tradizione', ma perché rappresentano il sapere consolidato, la saggezza, le conoscenze dell'umanità. Se prendiamo sul serio il loro punto di vista, ebbene, questo risulta rivoluzionario e radicale. Senza di loro, ogni radicalismo che sia soltanto politico, non può che rimanere inefficace. D'altro canto va anche detto che i loro insegnamenti saranno ancora meno efficaci se non verranno affiancati da un mutamento radicale delle nostre strutture economiche, sociali e politiche, dal momento che queste stanno diventando un ostacolo sempre maggiore alla nostra crescita e al nostro personale benessere.
Io non sostengo che sia necessario sottoporsi alle autorità religiose e filosofiche del passato, ma che da loro bisogna trarre insegnamento. Io esorto a pensare criticamente, a ridestarsi, a riconoscere che siamo condizionati da cattivi maestri, camuffati da maestri di vita e divenuti famosi e potenti perché non sono riusciti a realizzare pienamente le proprie potenzialità umane.
C'è un'altra ragione per cui si ritiene che sia facile apprendere l'arte di vivere. A differenza dei motivi già esposti, questa è profondamente inconscia. Affonda le sue radici nella convinzione che l'uomo non sia importante o, per dirla con altre parole, che vivere non sia importante. Questa convinzione non può che essere inconscia, poiché effettivamente contraddice l'ideologia dominante e comunemente accettata che attribuisce grande importanza alla vita umana.
Ma questa ideologia nasconde il dato di fatto che l'uomo è diventato un attributo della macchina, una sua componente che non può essere (ancora) sostituita da un elemento meccanico, e che non è l'uomo a dominare la macchina, ma sono la macchina e l'intero sistema economico, a tenerlo soggiogato. L'uomo è importante in quanto è un dente della ruota, necessario al funzionamento del tutto, ma non in quanto essere umano vivo, ricco, produttivo.
Non si riconosce neppure che l'uomo è diventato una merce, il cui valore è determinato dalla sua vendibilità. Deve funzionare bene; deve essere allegro e soddisfatto solo nei limiti e nei modi in cui ciò è necessario al suo funzionamento. Ma se così è, se il 'buon funzionamento' ha sostituito il 'ben-essere', a che scopo sforzarsi di imparare l''arte di vivere'?
Erich Fromm
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