C'è un profondo bisogno di amore in ciascuno di noi, così spesso prigionieri delle nostre solitudini. È il bisogno di una parola di vita che vinca le nostre paure e ci faccia sentire amati. Il profeta Amos descrive con efficacia questa situazione: “Ecco, verranno giorni ‚Äì oracolo del Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore”...
del 04 giugno 2009
12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO
C’è un profondo bisogno di amore in ciascuno di noi, così spesso prigionieri delle nostre solitudini. È il bisogno di una parola di vita che vinca le nostre paure e ci faccia sentire amati. Il profeta Amos descrive con efficacia questa situazione: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore” (8,11). E sant’Agostino - che quella Parola ha incontrato, fino a farne la ragione di tutta la sua vita - così presenta la risposta del Dio vivente al nostro bisogno: “Da quella città il Padre nostro ci ha inviato delle lettere, ci ha fatto pervenire le Scritture, onde accendere in noi il desiderio di tornare a casa” (Commento aiSalmi, 64, 2-3).
Se si arriva a comprendere - come è capitato a tanti credenti di ieri e di oggi - che la Bibbia è questa “lettera di Dio”, che parla proprio al nostro cuore, allora ci si avvicinerà a essa con la trepidazione e il desiderio con cui un innamorato legge le parole della persona amata.
Allora, Dio, che è insieme paterno e materno nel suo amore, parlerà proprio a ciascuno di noi e l’ascolto fedele, intelligente e umile di quanto egli dice sazierà poco a poco il nostro bisogno di luce, la tua sete d’amore. Imparare ad ascoltare la voce di Dio che parla nella Sacra Scrittura è imparare ad amare: perciò, l’ascolto delle Scritture è ascolto che libera e salva.
 
Il Dio che parla
Solo Dio poteva rompere il silenzio dei cieli e irrompere nel silenzio del cuore: solo lui poteva dirci - come nessun altro - parole d’amore. Questo è avvenuto nella sua rivelazione, dapprima al popolo eletto, Israele, e poi in Gesù Cristo, la Parola eterna fatta carne. Dio parla: attraverso eventi e parole intimamente connessi, egli comunica se stesso agli uomini. Messi per iscritto sotto l’ispirazione del suo Spirito, questi testi costituiscono la Sacra Scrittura, la dimora della Parola di Dio nelle parole degli uomini. Il Signore dice ciò che fa e fa ciò che dice. Nell’Antico Testamento annuncia ai figli d’Israele la venuta del Messia e l’instaurazione  di una nuova alleanza; nel Verbo fatto carne compie le sue promesse oltre ogni attesa.
Antico e Nuovo Testamento ci narrano la storia del suo amore per noi, secondo un cammino con cui Dio educa il suo popolo al dono dell’alleanza compiuta: l’Antico Testamento si illumina nel Nuovo e il Nuovo è preparato nell’Antico. Perciò, i discepoli di Gesù amano le Scritture che lui stesso ha amato, quelle che Dio ha affidato al popolo ebraico, e che essi leggono nella luce di lui, crocifisso e risorto. Il compimento della rivelazione, infatti, è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per noi, la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui ci dice tutto e ci dona tutto. Nutrirsi della Scrittura è nutrirsi di Cristo: “L’ignoranza delle Scritture - afferma san Girolamo - è ignoranza di Cristo”
(Commento al Profeta Isaia, PL 24,17).
Chi vuole vivere di Gesù deve ascoltare, allora, incessantemente le divine Scritture. È in esse che si rivela il volto dell’Amato. Ed è lo Spirito Santo, che ha guidato il popolo eletto ispirando gli autori delle Sacre Scritture, ad aprire il cuore dei credenti all’intelligenza di quanto è in esse contenuto. Perciò, nessun incontro con la Parola di Dio andrà vissuto senza aver prima invocato lo Spirito, che schiude il libro sigillato, muovendo il cuore e rivolgendolo a Dio, aprendo gli occhi della mente e dando dolcezza nel consentire e nel credere alla verità.
È lo Spirito a farci entrare nella verità tutta intera attraverso la porta della Parola di Dio, rendendoci operatori e testimoni della forza liberante che essa possiede.
 
La casa della Parola
Nella sua Parola è Dio stesso a raggiungere e trasformare il cuore di chi crede: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12). Affidiamoci, allora, alla Parola: essa è fedele in eterno, come il Dio che la dice e la abita. Perciò, chi accoglie con fede la Parola, non sarà mai solo: in vita, come in morte, entrerà attraverso di essa nel cuore di Dio: “Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio” (San Gregorio Magno).
Alla Parola del Signore corrisponde veramente chi accetta di entrare in quell’ascolto accogliente che è l’obbedienza della fede. Il Dio, che si comunica al nostro cuore, ci chiama ad offrirgli non qualcosa di nostro, ma noi stessi. Questo ascolto accogliente rende liberi: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8,31-32).
Per renderci capaci di accogliere fedelmente la Parola di Dio, il Signore Gesù han voluto lasciarci - insieme con il dono dello Spirito - anche il dono della Chiesa, fondata sugli apostoli. Essi hanno accolto la parola di salvezza e l’hanno tramandata ai loro successori come un gioiello prezioso, custodito nello scrigno sicuro del popolo di Dio pellegrino nel tempo. La Chiesa è la casa della Parola, la comunità dell’interpretazione, garantita dalla guida dei pastori a cui Dio ha voluto affidare il suo gregge. La lettura fedele della Scrittura non è opera di navigatori solitari, ma va vissuta nella barca di Pietro.
 
Accogliere la Parola nel silenzio e nella contemplazione
È l’amore il frutto che nasce dall’ascolto della Parola: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (Giacomo 1,22). Chi si lascia illuminare dalla Parola, sa che il senso della vita consiste non nel ripiegarsi su se stessi, ma in quell’esodo da sé senza ritorno, che è l’amore. L’ascolto costante della Sacra Scrittura ci fa sentire amati e ci rende capaci di amare, dando gioia e speranza al nostro cuore: se ci consegniamo senza riserve al Dio che ci parla, sarà lui a donarci agli altri, arricchendoci di tutte le capacità necessarie per metterci al loro servizio.
La Parola è guida sicura perché - fra i rumori del mondo - ci conduce a impegnarci per gli altri sui passi di Gesù, a riconoscere negli altri la sua voce che chiama: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25,40).
Chi ama la Parola, sa quanto sia necessario il silenzio, interiore ed esteriore, per ascoltarla veramente, e per lasciare che la sua luce ci trasformi mediante la preghiera, la riflessione e il discernimento: nel clima del silenzio, alla luce delle Scritture, impariamo a riconoscere i segni di Dio e a riportare i nostri problemi al disegno della salvezza che la Scrittura ci testimonia.
Certo, il silenzio necessario all’ascolto non è mutismo, ma espressione di un amore che supera ogni parola. Solo l’amore apre alla conoscenza dell’Amato, come è stato per il discepolo, che ha posato il suo capo sul petto del Signore nell’ultima cena: “Poteva comprendere il senso delle parole di Gesù, soltanto colui che riposò sul petto di Gesù” (Origene, In Joannem, 1,6: PG 14,31). Anche noi dobbiamo poggiare il capo sul cuore di Cristo e ascoltare le sue parole, lasciando che esse parlino al nostro cuore e lo facciano ardere del suo amore.
 
13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO
 
Forse ci sarà capitato di entrare in una chiesa, magari nel tentativo di dare un nome alla nostra ricerca interiore. Anche vuoto, l’ambiente evoca una presenza e favorisce l’interiorità. Ma ogni chiesa si anima soprattutto quando da edificio di pietra diviene Chiesa di volti: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, (…) quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale” (1Pietro 2,4-5).
Per questo, la manifestazione più significativa della Chiesa avviene ogni domenica, giorno del Signore, memoria viva della risurrezione di Cristo, quando la comunità si raduna per la celebrazione dell’Eucaristia. La Messa domenicale è il grazie settimanale, condiviso da ognuno, per il dono della fede, dell’amore e della speranza più forte di ogni morte.
L’Eucaristia, cioè il rendimento di grazie, ci fa Chiesa e manifesta la Chiesa nella varietà e ricchezza dei doni che la compongono.
 
Il buon sapore di una vita donata
Quando diciamo che non ci sono più i buoni sapori di un tempo, in realtà stiamo constatando una sorta di smarrimento del senso profondo delle cose. Mangiare pane profumato di forno o bere vino che sa di uva è come ritrovare l’autenticità in noi stessi e nelle nostre relazioni. Se poi lo si fa a tavola con gli amici, davvero qualcosa cambia nell’esistenza.
Nella notte del tradimento, quando all’orizzonte si sta profilando la condanna a morte per Gesù, egli non rinuncia a porre un segno di luce nelle tenebre che avvolgono i cuori. A tavola con gli amici, nei giorni in cui si ricorda il passaggio di liberazione sperimentato dal popolo ebraico nell’esodo dall’Egitto, prende del pane, lo spezza e invita a mangiarlo: è il suo corpo! Quindi, prende un calice e invita a bere il vino versato: è il suo sangue! Gesti che i suoi non capiscono subito.
Quando lo vedranno appeso al legno della croce, cominceranno a comprendere che il pane spezzato e il vino versato sono segni profetici del dono di sé. Ma ne è valsa la pena?
Solamente incontrandolo risorto si convinceranno, grazie al dono del suo Spirito, che egli aveva proprio ragione: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Giovanni 12, 24). Quando nella cena li aveva invitati a fare questo in sua memoria, voleva che partecipassero al suo stesso dono d’amore attraverso il gesto del mangiare e del bere.
Ecco perché, fin da subito, i cristiani si radunano ogni domenica a celebrare la memoria viva - o, come si dice, il memoriale - della sua Pasqua di morte e di risurrezione, nel segno del pane che è il suo corpo e del vino che è il suo sangue. Mangiano, cioè entrano in comunione profonda con lui e tra loro, per avere la forza di entrare nel senso del vivere, nel buon sapore dell’esistenza: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Marco 8,35).
 
I sacramenti e la vita nuova in Cristo
Scommettere su questo stile di vita offerta in dono non è frutto della generosità di un momento: tutta l’esistenza è chiamata a plasmarsi diversamente, anche perché fuori e dentro di noi c’è una spinta, che ci trascina verso l’egoismo, la prevaricazione, il tornaconto individuale. Gesù, decidendo di condividere il peso di questa realtà di male con noi, si è messo in fila con in peccatori e si è immerso nel fiume Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni Battista.
I cristiani riprendono questo battesimo con un senso nuovo. Immergono chi viene battezzato nell’acqua del fonte battesimale, o gli bagnano il capo, a significare l’unione al Cristo stesso, nell’atto del suo entrare nel sepolcro in solidarietà con le nostre morti e del nostro uscirne con lui, partecipi della sua vittoria sulla morte. Una volta per tutte, in maniera indelebile, nel battesimo la nostra esistenza è saldamente unita a quella del Cristo e a quella di tutti gli altri cristiani; diventiamo un corpo unico, il corpo di Cristo che è la Chiesa: corpo donato, vita vissuta nella logica evangelica del seme consumato per dare frutti d’amore.
Tutti i sacramenti sono partecipazione della nostra vita a quella di Cristo. Essi rinviano al cuore incandescente del Vangelo, alla Pasqua di Cristo che va fino in fondo nel dono di sé e così vince la morte. Attraverso i sacramenti, la vita nei suoi vari passaggi (nascita e morte, salute e malattia, amore di coppia e servizio alla comunità, peccato e perdono…) viene inserita nell’evento pasquale di Gesù, da cui riceve forza e senso. È Cristo stesso mediante i sacramenti a entrare nella nostra vita, agendo in essa con la potenza del suo amore. Lo esprime incisivamente questo bel testo di un antico scrittore cristiano:
“Sebbene tale ufficio [la celebrazione dei sacramenti] appaia esercitato per mezzo di uomini, l’azione tuttavia è di colui che è autore del dono ed è egli stesso a compiere ciò che ha istituito. Noi compiamo il rito, egli concede la grazia. Noi eseguiamo, egli dispone. Ma suo è il dono, anche se nostra è la funzione. Noi laviamo i piedi del corpo, ma egli lava i passi dell’anima. Noi immergiamo il corpo nell’acqua; egli rimette i peccati. Noi immergiamo; egli santifica. Noi sulla terra imponiamo le mani; egli dal cielo dona lo Spirito Santo” (San Cromazio di Aquileia, Sermone XV: La Lavanda dei piedi, 6).
Esprimiamo questo incontro della nostra vita con l’azione potente di Dio nel rito,
esperienza di cui l’umanità non ha mai fatto a meno. C’è bisogno infatti di dare valore alle cose della vita con il linguaggio della gioia e della festa, del ritrovarsi insieme e del condividere: parole e silenzi, musiche e canti, vesti e segni, tutto concorre a esprimere quanto è più grande di noi, eppure ci avvolge. I riti esprimono l’indicibile e l’ineffabile, l’essenziale invisibile agli occhi che rimanda al mistero stesso di Dio.
Così, il battesimo è lo schiudersi del senso profondo di tutta l’esistenza, l’ingresso nella partecipazione alla vita stessa del Dio, che è Amore. Proprio per questo non riguarda unicamente il bambino, ma chiama in causa tutta la comunità e interpella ogni cristiano sul modo in cui vive il dono ricevuto nel proprio battesimo. A sua volta, l’Eucaristia – memoriale della Pasqua di Gesù - va compresa e vissuta come il culmine e la fonte dell’intera esistenza cristiana e della vita della Chiesa.
In modo analogo, la confermazione o cresima - in quanto è l’atto in cui Dio viene a confermare col dono del suo Spirito Santo il battezzato - va colta come una grazia per tutti, perché attraverso la forza della testimonianza data al cresimato raggiunge l’intera comunità dei credenti e può vivificare ogni rapporto umano. Battesimo, confermazione ed Eucaristia costituiscono i sacramenti dell’iniziazione cristiana, quelli che ci consentono di divenire cristiani e di crescere nella vita teologale della fede, della speranza e della carità.
A essi si aggiungono i sacramenti di guarigione - la penitenza, che dà il perdono dei peccati e ci riconcilia con Dio e con la Chiesa, e l’unzione degli infermi, che fortifica nella  debolezza della malattia e dona vigore spirituale - e i sacramenti del servizio della comunione, l’ordine sacro e il matrimonio. Questi ultimi due edificano la comunità cristiana rispettivamente attraverso il ministero dell’unità - vissuto nel servizio della Parola, nella liturgia e nella guida pastorale - e attraverso la costruzione di quella cellula vitale del popolo di Dio e dell’umanità, che è la famiglia.
L’incontro, poi, con i differenti cammini religiosi, oggi reso come mai prima possibile dal villaggio globale in cui viviamo, è invito al confronto con altre ritualità. Esse dicono gli aneliti sinceri dell’uomo in cerca di Dio e di Dio alla ricerca dell’uomo. Dal momento che nella Pentecoste lo Spirito del Signore ha riempito l’universo, il cristiano può leggere in questa ritualità diffusa dei frammenti preziosi, come “bagliori della Verità che tutti illumina” (Concilio Vaticano II, Nostra aetate 2), che manifestano “una segreta presenza di Dio” (Ad gentes 9). L’unico Padre rivelatoci da Gesù nella sua Pasqua è il Dio verso il quale l’umanità intera è incamminata. Nell’atto del celebrare i sacramenti, pertanto, la Chiesa afferma sì la sua fede, ma dà anche voce all’attesa del mondo e della storia, pregusta cieli e terra nuovi nell’impegno condiviso per una vita vivibile e buona per tutti.
Conferenza Episcopale Italiana
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