Se davvero amiamo la libertà non è bene che l'uomo sia solo. “La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri”. Quante volte abbiamo sentito risuonare questo pensiero, tramutatosi ormai in luogo comune, quando la discussione sul grande tema della libertà diventa più accesa?
del 27 aprile 2009
“La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri”. Quante volte abbiamo sentito risuonare questo pensiero, tramutatosi ormai in luogo comune, quando la discussione sul grande tema della libertà diventa più accesa? Un modo per esprimere un’idea che oggi pare andare per la maggiore: ogni azione del singolo individuo è lecita fin quando non lede i diritti altrui e non priva il prossimo di ciò che gli appartiene, a prescindere dagli esiti dell’azione stessa.
Eppure, se ci soffermiamo a riflettere, non si può fare a meno di notare lo stridente contrasto con la nostra esperienza di uomini. La comunità umana, così come viene raffigurata dai sostenitori della libertà individuale, ci appare come una miriade (circa sei miliardi, in continua ascesa!) di insiemi disgiunti. Nulla in comune tra me e l’altro da me, nulla che riguardi la mia sfera personale che sia patrimonio da porre in relazione con gli altri. Nessuno può negare che tutto questo non abbia la minima corrispondenza coi fatti della storia del genere umano e con quella di ciascuno di noi: la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro, solo per citare alcuni esempi di vita quotidiana, presentano situazioni in cui il “mio” tempo, le “mie” scelte, le “mie” idee necessitano di un confronto costante con gli altri, anche quando non invadono gli spazi di chi mi sta di fronte.
Altrettanto innegabilmente si rende necessario fare i conti con molti paradossi delle nostra epoca, quella di facebook, dei social network, della e-mail, delle chat, dei rapporti personali a portata di mouse. Il primo dei quali è proprio questo: la diretta proporzionalità tra la frenesia e la rapidità dei contatti con il resto del mondo e la totale autodeterminazione eretta a totem delle proprie decisioni, della gestione di sé, quasi come se gli altri neppure esistessero.
In secondo luogo, non può sfuggire a quali conclusioni giungono i teorici dell’autodeterminazione tout-court: una libertà che si spinge a negare la sorgente del suo stesso essere, che è la vita ad ogni suo stadio, subordinata appunto ai desideri dell’individuo.
Infine, nel tempo in cui l’aiuto al debole, all’indigente, all’emarginato, che è prima di tutto attenzione e relazione con lui, viene visto come segno di civiltà e di progresso e magari usato come metro di giudizio delle politiche di un governo, ecco che all’essere umano in estremo bisogno, in stato di totale fragilità, vengono sottratti i nutrimenti vitali in nome della libertà individuale. Portando tutto alle estreme conseguenze, fino a consentire a qualcuno di affermare che l’aiuto e l’amore di chi, con spirito caritatevole e gratuito, assiste il prossimo, umiliano in quanto elemosina non richieste. Se questo è il pedaggio da pagare sulla strada della libertà individuale e della autodeterminazione, che alla luce di quanto detto si mostrano come vere e proprie ideologie in aperto contrasto con l’autentica natura umana, molto laicamente vien da dire: “Non è bene che l’uomo sia solo”.
 
Lorenzo Schoepflin
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