L'itinerario di Emmaus

Siamo all'alba di una «nuova evangelizzazione», che impegna pastori e laici a fare un salto di qualità nel vivere la propria fede in Cristo e nel ricercare modi di comunicazione efficaci e rispondenti ai giovani. Il «cambio d'epoca », che stiamo vivendo, non facilita il compito. La sola certezza che abbiamo, proviene dalla convinzione che Dio opera nella storia e che lo Spirito del Signore risorto non ci lascia orfani, ma è presente in mezzo a noi.

L’itinerario di Emmaus

da L'autore

del 24 gennaio 2008

Immergersi nei problemi dei giovani è il modo migliore per superare il rischio che ogni associazione o comunità parrocchiale corre di venire privata di forti e drammatiche stimolazioni e di adagiarsi nella ripetizione monotona di gesti e di riti.

Siamo all’alba di una «nuova evangelizzazione», che impegna pastori e laici a fare un salto di qualità nel vivere la propria fede in Cristo e nel ricercare modi di comunicazione efficaci e rispondenti ai giovani. Il «cambio d’epoca », che stiamo vivendo, non facilita il compito. La sola certezza che abbiamo, proviene dalla convinzione che Dio opera nella storia e che lo Spirito del Signore risorto non ci lascia orfani, ma è presente in mezzo a noi.

L’immagine di Gesù Cristo, che incontra i discepoli sulla strada di Emmaus (Vangelo di Luca, 24,13-35) è «come un’icona» del cammino che le comunità cristiane, i gruppi e le associazioni, con umiltà e passione pastorale, debbono compiere per educare alla fede i giovani. L’iniziativa dell’incontro è di Cristo, del Pastore: è Lui «in persona» che si accosta. I discepoli non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, anzi sono delusi del loro Maestro, che è morto. Rinunciano a credere e sperare. Sono «incapaci di riconoscerlo» quando li avvicina.

Ma il Buon Pastore non perde la speranza, la pazienza: con dolcezza e calma istruisce quegli «sciocchi e tardi di cuore»: cammina con loro, si ferma a cena e spezza il pane, perché lo abbiano a riconoscere.

Quando questo avviene, sparisce dalla loro vista e i due pieni di ardore, tornano a Gerusalemme per annunciare che Cristo è risorto ed è apparso loro. Gesù si accosta ancora una volta Lui per primo: non aspetta che l’altro faccia il primo passo, lo previene, così come il Padre previene il figlio che si è allontanato da casa. È l’amore che anticipa, che non sta in difesa, che non si attende nulla, perché disinteressato, generoso, paziente, ricco di misericordia.

È questo l’atteggiamento del Pastore, oggi come ieri. Molti giovani, comunque, sono come i discepoli di Emmaus: non si danno da fare per incontrare il Cristo. Altri vivono nell’ignoranza, un ostacolo non indifferente nel nostro cammino di educazione dei giovani alla fede. Non sono raggiunti dal messaggio di Cristo, della Chiesa neppure della nostra testimonianza.

Rimane tra i credenti e la maggior parte di loro una distanza che non è solo fisica, ma che è anche psicologica e morale. Il primo passo è dunque eliminare le distanze che ci sono, è farsi prossimi, accostarsi a loro, andare loro incontro dove si trovano, accoglierli disinteressatamente nei nostri ambienti oratoriani, nei gruppi, mettendoci in ascolto delle loro domande e aspirazioni, anche se fanno problema, scomodano, creano crisi.

In un incontro con i giovani di una grande città del Nord, don Giuseppe Dossetti jr. ha affermato che i giovani non sembrano molto assillati da problemi di senso. Ritengo sia vero come è vero, che non sia facile da definire la soglia tra «il non credere» e «il credere».

Il criterio, per uscire dalle ambiguità è da ricercare seriamente: non è certo il comportamento, poiché a ben guardare, risulta che anche i maggiori credenti a volte sono un poco atei, e che gli atei, a loro volta, sono, alla loro maniera un poco credenti.

A questi giovani non ben definiti, noi dobbiamo andare incontro per stimolare in loro quella sensibilità religiosa che pure c’è, postavi come «piccolo seme» da Dio stesso al momento della loro nascita. Sarebbe già una prima introduzione alla fede invitarli a interrogarsi sul senso della vita, aiutarli ad essere «attenti» alle persone, «agli altri». Non è tutto, ma si sa: il cammino di educazione alla fede graduale e vanno valorizzati anche i piccoli segni positivi che sono nel cuore del giovane.

Il desiderio di Dio potrà essere sepolto, ma non sarà mai scomparso del tutto. In gioco è la nostra capacità di ragionare, di amare e di farci amare. È in gioco anche la nostra capacità di creare ambienti carichi di vita e ricchi di proposte, in grado di coinvolgere più da vicino e più profondamente i giovani.

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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