Intervento di Tarcisio Bertone (arcivescovo di Genova) tenuto al Convegno 'La funzione sociale ed educativa degli oratori' a S. Benedetto del Tronto.
del 01 gennaio 2002
1. Criterio permanente
La parola e la realtà dell'Oratorio attraversano la vita e gli scritti di Don Bosco. La sua prima iniziativa germinale e «nomade», dopo successivi miglioramenti e completamenti, sfociò nell'Oratorio di San Francesco di Sales, culla e casa madre della Famiglia Salesiana. Per questo la narrazione degli inizi dell'Opera di Don Bosco è strettamente legata al racconto dell'evoluzione dell'Oratorio (cfr. San Giovanni Bosco, «Memorie»),
A ragione Don Eugenio Ceria, il biografo di Don Bosco, esprime il posto che occupa questa iniziativa nella immagine di Don Bosco educatore dei giovani: «L'Oratorio continua a essere l'opera veramente popolare di Don Bosco, opera alla quale è più legata la sua fama di apostolo della gioventù... che a poco a poco andò oltre i limiti espressi dalla denominazione...» (Annali, voi. I, p. 633).
Lo spirito che animò il momento fondazionale ebbe continuità. Quasi non c'è Capitolo Generale o Rettor Maggiore che non abbia dedicato pagine pregevoli all'opera dell'Oratorio e allo spirito di cui essa è frutto, riflesso e garanzia.
C'era dunque da aspettarsi che lo sforzo di rinnovamento iniziato sotto la spinta del Concilio Vaticano II, che chiedeva di ritornare alle origini, rivolgesse lo sguardo a questa attività così caratteristica della storia salesiana.
A seguito di questa riflessione il testo definitivo delle Costituzioni dei Figli di Don Bosco propose l'Oratorio come criterio permanente dell'agire salesiano, che, partendo dai bisogni dei giovani, li accoglie in clima di famiglia (casa), mira a sviluppare tutte le loro risorse umane (scuola), illuminandole e facendole rinascere, dalla fede (parrocchia) e fonde tutto in un ambiente di amicizia e di gioia, dove i giovani vedono riconosciute le loro aspirazioni e sono protagonisti corresponsabili insieme agli adulti nei processi di crescita (cortile).
In sintesi si viene a dire che l'Oratorio fu il luogo dove la carità pastorale di Don Bosco divenne quella prassi educativa e pastorale che chiamiamo «Sistema preventivo» (cf. Cost 20); che lo sviluppo ulteriore di questa prassi è ancora legata alle caratteristiche di stile e di inserimento tipiche dell'Oratorio; e che esso, piuttosto che soltanto una struttura o ambiente, è un «modello» per ogni opera salesiana.
Quest'ultima affermazione ovviamente non si riferisce solo a un'opera salesiana, ma ad ogni «centro giovanile». Qualunque siano le attività in cui una Chiesa locale è particolarmente impegnata (scuola, centro sportivo, parrocchia) essa rimane aperta ad una risposta molteplice ispirata alla carità pastorale che la rende punto di riferimento per i giovani del quartiere e per tutti coloro che si interessano della gioventù ed esprime quell'ambiente di accoglienza e quel clima di rapporti personali che la fanno diventare «un Oratorio».
2. Ambiente specifico
Fatta questa necessaria e più generale considerazione, vogliamo riferirci in forma particolare a quell'opera, ambiente o struttura pastorale con finalità, stile e organizzazione tipica in cui è possibile promuovere l'educazione umana e cristiana dei giovani come l'oratorio e il centro giovanile.
Noto a modo di premessa che non tutto ciò che è detto di un «Centro giovanile» può essere applicato a qualsiasi 'Oratorio', sia quanto ai destinatari, sia quanto al rapporto gruppo-massa, sia per ciò che riguarda la metodologia pedagogica da usare.
Nell'intento di favorire la chiarezza, possiamo intendere:
- per Oratorio: un ambiente indirizzato ai ragazzi, con prevalente apertura alla massa e con obiettivi e metodi appropriati;
- per Centro Giovanile: un ambiente destinato ai giovani, attento alle loro esigenze, dove prevale il rapporto di gruppo, i contatti personali sono più facilitati e l'impegno umano e cristiano assume un peso decisivo su altre attività (sportive, ricreative, ecc.);
- per Oratorio-Centro Giovanile: un ambiente complessivo che ha come destinatari sia i ragazzi che i giovani, e dove la metodologia e gli orientamenti vanno applicati in forma differenziata, a seconda delle fasce di età dei destinatari.
La prima cosa da considerare è il posto che occupa questo ambiente nella realtà attuale di ogni singola Comunità ecclesiale e nei suoi piani di sviluppo futuro. È difficile infatti che si abbia «spirito oratoriano» se non si ha nessuna attività in cui questo viene assunto nella sua espressione massima.
Ogni Chiesa locale esprime la 'missione' attraverso impegni scolastici, parrocchiali, di promozione culturale, di servizi vari educativi e catechistici, di comunicazione sociale. L'esperienza di questi anni sembra rivelare che sovente la sua immagine complessiva si va definendo più in forza di decisioni congiunturali che di un disegno riflesso. Così alcune Chiese, sotto la spinta di richieste occasionali, hanno sviluppato la componente parrocchiale o associativa, mentre altre si sono attestate prevalentemente sul campo culturale e scolastico, oppure sul settore caritativo.
Non dappertutto la componente oratoriana ha avuto eguale fortuna. Nel Nord, ad esempio, le statistiche indicano che operano centinaia di Oratori-Centri giovanili. Ma la distribuzione geografica presenta concentrazioni e vuoti.
In alcune parti c'è, a questo riguardo, una mancanza di tradizione ecclesiale, che lo sviluppo della pastorale giovanile non ha modificato. Qui il centro giovanile, come alternativa all'attività scolastica, deve ancora superare difficoltà provenienti dal suo carattere meno strutturato e dalla sua apparente debolezza educativa. Viene considerato un'opera complementaria, di seconda importanza, non paragonabile ai consistenti programmi culturali dell'educazione formale.
In altre zone, dove gli inizi erano stati favorevoli, sono sopravvenuti in seguito arresti e declini per mancanza di adeguamento a nuove situazioni e bisogni giovanili. Si sa infatti che la forma «domenicale» e «di fine-settimana» in molte parti è venuta ad esaurirsi con l'avvento di modalità di vita giovanile e familiare più libera e mobile; che l'Oratorio per soli «ragazzi» risulta insufficiente in un momento in cui i bisogni educativi e religiosi di massa appaiono prepotenti anche nella fascia femminile; che l'Oratorio «ambiente di gioco e catechismo» risulta inadeguato là dove la realtà del tempo libero richiede iniziative culturali più qualificate e varie; che l'Oratorio ambiente gestito da soli religiosi, preti e suore, e «usato» dai giovani, deve cedere il passo a una comunità in cui questi partecipano insieme ai laici collaboratori, inserendosi pienamente nella dinamica del territorio.
Ciò per non parlare della necessaria qualificazione di alcuni aspetti tradizionali dell'Oratorio: la catechesi di fronte ai bisogni di una nuova evangelizzazione e all'aumento consistente dei «lontani», l'associazionismo in un momento di appartenenze molteplici e di identità deboli.
Accanto a questi accenni, che possono sembrare «critici», vanno rilevati sia il cammino di ripensamento sistematico che alcune regioni e Chiese locali stanno portando avanti; sia le nuove forme «oratoriane» che la creatività pastorale sta sviluppando nei quartieri poveri. Aggiungiamo inoltre la qualificazione degli Oratori tradizionali, mediante l'assunzione di iniziative e linee pastorali corrispondenti alla sensibilità attuale (emarginazione, volontariato, associazionismo, inserimento ecclesiale, ecc.).
N.B. La funzione sociale e non solo ecclesiale degli Oratori è stata riconosciuta dalla legge 1° agosto 2003 n. 206, denominata «Disposizioni per il riconoscimento della funzione sociale svolta dagli oratori e dagli enti che svolgono attività similari e per la valorizzazione del loro ruolo».
In ogni caso, le caratteristiche fondamentali che definiscono questi ambienti pastorali, e li legano strettamente all'intuizione originale dei Santi educatori, sono: il rapporto personale «di amicizia», e la «presenza» fraterna dell'educatore tra i ragazzi; la creazione di un ambiente che facilita l'incontro; l'offerta di svariate attività per il tempo libero; il senso missionario delle «porte aperte» a tutti i ragazzi che vogliono entrare; l'apertura alla «massa», ma con attenzione alla persona e al gruppo; la formazione progressiva di tutta la comunità giovanile attraverso la pedagogia della festa, la catechesi occasionale e anche sistematica, l'impegno di solidarietà, la vita di gruppo... al fine di condurre alla formazione di una forte personalità umana e cristiana. Alcune di queste caratteristiche, come l'apertura alla massa e le svariate attività del tempo libero, sportive, turistiche, ecc. esigono dagli educatori particolare attenzione perché non diventino prevalenti, con danno degli stessi giovani che vi partecipano.
3. Le finalità dell'Oratorio
Gli esperti di pastorale giovanile indicano per l'Oratorio e il Centro Giovanile questa finalità: tendano all'evangelizzazione e alla catechesi dei ragazzi e dei giovani di una zona, soprattutto attraverso le attività del tempo libero organizzate in forme aperte.
Questo obiettivo richiede personale preparato e sufficiente e, insieme, la gerarchizzazione delle attività in modo che i fini non vengano compromessi. Non c'è dubbio che questa modalità esiga un continuo adattamento nella organizzazione e nella scelta dei contenuti. La verifica di questi anni segnala che là dove è venuto meno da parte degli educatori lo stare con i giovani, si è perso anche il passo con i cambiamenti, con le richieste, con gli interessi dei giovani stessi, e non si è instaurata una presenza efficace nella zona.
Là dove è diminuita la capacità di aiutare i giovani a impegnarsi su ideali cristiani, ha preso il sopravvento la tendenza, già forte a motivo di stimoli reali e ambientali, a impegni semplicemente sportivi e ricreativi, o a impegni sociali, ma senza un chiaro orientamento cristiano. I limiti non provengono solo né principalmente dalle disposizioni delle persone. Oggi l'accostamento ai giovani è reso difficile dalle numerose proposte di tempo libero che li attirano in svariate istituzioni e ambienti. E da parte nostra, in un momento di contrazione numerica, forse non c'è stata una decisa scelta pastorale per destinare il personale necessario a questa presenza così specificamente educativa. Si aggiunga la crisi dell'associazionismo cattolico e, in molte Chiese locali, la carenza di una efficace pianificazione.
Nonostante questi limiti, dove gli Oratori e i Centri Giovanili hanno rafforzato o recuperato il loro carattere «integrale»; dove hanno fatto delle scelte operative riguardanti la «massa», i gruppi e le persone, offrendo proposte precise in ordine alla formazione dei giovani; dove hanno avuto la franchezza di presentare l'esplicita proposta del Vangelo con un programma di educazione alla fede, con attività di preghiera e di intensa vita sacramentale, qui le caratteristiche pastorali sono apparse con speciale e insolita chiarezza, e il Vangelo si è fatto presente nella zona.
4. Le condizioni da assicurare
Ma affinché l'Oratorio-Centro giovanile abbia questa rilevanza nell'immagine globale della Chiesa è necessario assicurare alcune condizioni per un suo continuo consolidamento educativo e pastorale.
La prima di queste condizioni è certamente il personale. Come una scuola non può funzionare senza il suo organico sufficiente in numero e competenze, così l'Oratorio-Centro giovanile non libera le sue potenzialità educative e pastorali senza un personale sufficiente e preparato.
I compiti educativi, pastorali, di animazione comunitaria esigono conoscenze e competenze provate. C'è la lettura della condizione giovanile da aggiornare ininterrottamente, c'è la realtà del territorio da riconsiderare, ci sono i collaboratori da corresponsabilizzare e formare, c'è la scelta accurata delle iniziative e soprattutto la loro qualificazione educativa, c'è il rapporto personale con i giovani che deve trovare gli educatori sempre disponibili e calmi, c'è l'animazione dei gruppi.
Non si intenda questa insistenza come richiesta di un numero di persone che nel calcolo attuale delle parrocchie risulterebbe utopico. Si sa che ogni nostra presenza, oggi e per il futuro, punta su un nucleo sufficiente di Educatori capaci di coinvolgere altre numerose forze. Ma una distribuzione più equa va ripensata là dove gli Oratori hanno avuto una considerazione marginale.
Il «direttore» dell'Oratorio, o figura analoga, fu una figura chiave ieri e lo è ancora oggi, sebbene con modalità diverse, in un contesto comunitario di corresponsabilità e di collaborazione. A lui tocca assicurare lo spirito e le finalità pastorali della totalità. Egli deve essere attento all'animazione dell'intera comunità e alla formazione delle persone, sia quelle investite di ruoli particolari (catechisti, animatori, capi-gruppi, collaboratori, allenatori), sia di ogni singolo giovane. Ma ciò richiede che possa delegare mansioni organizzative ed economiche.
È auspicabile infine una certa permanenza in questo settore di attività, particolarmente di quelli che riescono meglio nell'aggancio con i giovani e con il quartiere.
Ma non basta provvedere personale sufficiente e preparato. Nelle analisi realizzate per rilanciare l'Oratorio si è indicata, tra le cause principali dei suoi alti e bassi, la discontinuità nell'orientamento, dovuta al cambiamento di criteri riguardo a quegli aspetti che oggi sono ancora in rodaggio, sebbene siano stati sovente raccomandati.
La seconda condizione è allora assicurare uno stile comunitario di gestione. Questo non risulta sempre facile, date le abitudini precedenti, e presenta sbalzi indietro anche in strutture in cui sotto la guida di un determinato parroco o curato aveva avuto inizi felici.
La gestione comunitaria si riferisce in primo luogo alla comunità Diocesana. Essa, responsabile principale della missione, aiuta a formulare un progetto e garantisce la sua continuità al di là del cambio di persone, in maniera particolare riguardo a quegli aspetti che oggi stanno più a cuore alla Chiesa: la conveniente apertura a tutti i giovani, l'identità cristiana, la consistenza educativa, il coinvolgimento dei laici, la partecipazione nella Chiesa e nel quartiere, la qualità dell'evangelizzazione, l'associazionismo. Per definire questo progetto ci sono oggi alla portata di mano sussidi e documenti che chiariscono obiettivi e linee di azione, condizioni richieste per l'ambiente e le persone, modalità di collegamento con la Chiesa e la società civile.
La gestione comunitaria si riferisce in secondo luogo alla comunità locale. L'opera educativa non deve risultare divisa..., ma deve comporsi delle diverse attività che configurano la missione in un determinato posto. La comunità deve dunque considerare l'Oratorio-Centro giovanile come oggetto della sua attenzione, del suo discernimento e della sua solidarietà, senza delegare totalmente preoccupazioni e responsabilità ad un solo incaricato.
La gestione comunitaria comporta finalmente che la responsabilità del progetto e la sua attuazione venga condivisa largamente con i laici e con i giovani, secondo le loro possibilità, attraverso modalità e strutture di partecipazione. Non si tratta tanto di offrire strumenti e spazi da usufruire, quanto di creare una comunità in cui ci si sente accolti e realizzare processi dei quali si è soggetti attivi.
Conclusione
5. Linee di orientamento
Alla riaffermata validità dell'Oratorio e del Centro Giovanile devono corrispondere proporzionate scelte per assicurare a tale opera una relativa stabilità nella cura pastorale e nell'organizzazione dei ruoli. Tutto questo farà superare lo stato di perpetua «emergenza» che costringe a ricominciare sempre da capo nel reimpostare l'azione catechistica ed educativa. Soprattutto si sente la necessità di «animatori» capaci di proporre ai giovani impegni forti. C'è il rischio che l'Oratorio e il Centro Giovanile, nati con finalità di promozione e di evangelizzazione, non aprano gli orizzonti cristiani ai giovani per mancanza di stimoli profondi di fede.
Va prevista la programmazione e la revisione periodica dell'azione pastorale svolta nell'Oratorio e nel Centro Giovanile, specialmente per quanto riguarda il progetto educativo e la catechesi sistematica, e gli orientamenti della Chiesa locale.
Il Centro giovanile per essere proposta e ambiente di promozione integrale cristiana per i giovani dovrà procedere a precise scelte metodologiche, quali:
- l'organizzazione a gruppi preferendo quelli a carattere formativo e apostolico e svolgendo in essi una educazione esplicita alla fede;
- la formazione della comunità educativa, con la partecipazione attiva e responsabile dei giovani e dei collaboratori laici, specialmente genitori;
- la gerarchizzazione nelle varie attività per rispondere alle esigenze della spontaneità, agli interessi della creatività e alle richieste del «tempo libero» dei giovani; e per impegnare i giovani in attività apostoliche e sociali nell'ambiente e nella zona, ispirate all'ideale cristiano;
- un vero sforzo nelle sue scelte, per aprirsi con spirito missionario e di dialogo a tutti i giovani, soprattutto i lontani.
Ma il motore di tutto questo lavoro è «il prete». Il Sacerdote nell'Oratorio e nel Centro giovanile è il buon pastore, l'evangelizzatore dei giovani. Non si appartiene: è per loro, sta con loro, è l'amico dei giovani, è il segno dell'amore di Dio in mezzo a loro.
Concludo rifacendomi ancora una volta a un pensiero chiave di Don Bosco.
Il terzo Capitolo Generale, sotto l'ispirazione diretta di Don Bosco, nel 1883, dava queste indicazioni sul «primo esercizio di carità della Pia Società di San Francesco di Sales»: - «Ogni direttore si dia sollecitudine d'impiantare un Oratorio... se ancora non esiste e di dargli sviluppo se è già fondato. Egli consideri quest'opera come una delle più importanti di quante gli furono affidate... - In essi vengano impiegati i chierici e gli altri soci salesiani affinché si rendano ognor più capaci di esercitare un sì importante ministero di carità a vantaggio della gioventù. - Tutti i soci salesiani così ecclesiastici come laici si stimino fortunati di prestarvi l'opera loro persuadendosi che questo apostolato... è per molti giovanetti, specialmente nelle città e nelle borgate, l'unica tavola di salvamento» (MB 18, 703).
La preoccupazione è chiara! A noi tocca tradurla oggi con modalità diverse, ma con il medesimo «cuore oratoriano».
Tarcisio Bertone, SDB
Arcivescovo di Genova
Redazione GxG
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