Don Bosco offriva ai suoi ragazzi opportunità educative e formative su vari fronti. I suoi ragazzi lo cercavano e lui li accoglieva non solo per giocare, per “ricrearsi”: gran parte del tempo era dato alle attività culturali e formative, prime fra tutte quelle religiose. Oratorio, dunque, nella sua etimologia precisa: luogo dove si prega: orare = pregare.
Oratorio non ricreatorio
Lo ammette Don Bosco stesso che per tanti ragazzi, quella casa era un vera “meschinità”. Ma acquistata con un formale contratto dava sicurezza e stabilità. Ne era felicissimo e con lui i suoi ragazzi non costretti a emigrare da un luogo all’altro. Inoltre, scrive nelle sue Memorie, «mi sembrava essere veramente quello il luogo dove avevo sognato scritto: Haec est domus mea, inde gloria mea: Questa la mia casa, di qui la mia gloria». Vicino c’erano abitazioni di persone equivoche da cui doveva tutelarsi e tutelare i suoi ragazzi che regolarmente alla domenica andavano al “loro” oratorio... Con il tempo riuscirà a porre rimedio, come scriverà agli stesso. Per ora si trattava di sistemare al meglio la chiesetta e avere tutti quei permessi per celebrarvi le sacre funzioni e i santi sacramenti, cosa che ottenne dall’Arcivescovo appena la chiesa fu sistemata a dovere. Per Don Bosco tutto questo era veramente segno che la Provvidenza lo stava seguendo. Scrive: «Il sito stabile, i segni d’approvazione dell’Arcivescovo, le solenni funzioni, la musica, il rumore di un giardino di ricreazione, attraevano fanciulli da tutte le parti…». Ritornarono anche alcuni ecclesiastici che, per le dicerie della sua malferma salute mentale, lo avevano abbandonato.
Quando era ora di tornare a casa
Ecco una giornata tipica all’Oratorio come lo racconta Don Bosco e dove si evidenzia con estrema chiarezza che i suoi ragazzi lo cercavano e lui li accoglieva non solo per giocare, per “ricrearsi”: gran parte del tempo era dato alle attività culturali e formative, prime fra tutte quelle religiose. Oratorio, dunque, nella sua etimologia precisa: luogo dove si prega: orare = pregare. Scrive nelle sue Memorie: «Nei giorni festivi, di buon mattino, si apriva la chiesa e si cominciavano le confessioni, che duravano fino all’ora della Messa. Essa era fissata alle ore otto, ma per appagare la moltitudine di quelli che desideravano confessarsi, non di rado era differita fino alle nove ed anche di più. Qualcuno de’ preti, quando ce n’erano, assisteva, e con voce alternata recitava le orazioni. Durante la Messa facevano la santa Comunione quelli che erano preparati. Finita la Messa, io montava sopra una bassa cattedra per fare la spiegazione del Vangelo… raccontare la Storia Sacra. Questi racconti ridotti a forma semplice e popolare… piacevano assai ai piccolini, agli adulti ed agli stessi ecclesiastici che trovavansi presenti. Alla predica teneva dietro la scuola che durava fino a mezzogiorno». Come si vede, Don Bosco offriva a quei ragazzi insegnamenti su vari fronti: religiosi, spirituali, culturali: aveva una alto concetto del valore del tempo. Diverso il pomeriggio, dedicato alla ricreazione (dove sfruttava per i suoi ragazzi le arti di saltimbanco imparate in gioventù), al catechismo, alla preghiera del Rosario. Il tutto terminava con un sermoncino – la tradizionale buona notte – che per lo più era un esempio su qualche vizio o su qualche virtù e la benedizione del SS. Sacramento. Don Bosco sapeva di dover riempire tanti vuoti. Scrive: «L’ignoranza in generale era grandissima… Debbo dire che, nella grande ignoranza, ho sempre ammirato un grande rispetto per le cose di chiesa, per i sacri ministri ed un grande trasporto per imparare le cose di religione. Anzi io mi serviva di quella smodata ricreazione per insinuare ai miei allievi pensieri di religione e di frequenza ai santi Sacramenti.
Anche le guardie si vogliono confessare
Succede ancora oggi negli Oratori di Don Bosco. Quando è ora di tornare a casa, ci vuole un po’ di insistenza. Una “tradizione”, sembra, che risale al primo Oratorio di Don Bosco. Scrive: «Una scena singolare era la partenza dall’Oratorio. Usciti di chiesa ciascuno dava le mille volte la buona sera senza staccarsi dall’assemblea dei compagni. Io aveva un bel dire: “Andate a casa, si fa notte, i parenti vi attendono”. Inutilmente. Bisognava che li lasciassi radunare. Sei dei più robusti facevano con le loro braccia una specie di sedia, sopra cui, come sopra di un trono, era giuoco forza che io mi ponessi a sedere. Messisi quindi in ordine a più file, portando Don Bosco sopra quel palco di braccia, che superava i più alti di statura, procedevano cantando, ridendo e schiamazzando fino al circolo detto comunemente il Rondò (qualche centinaio di metri distante dall’Oratorio). Colà si cantavano ancora alcune lodi, che avevano per conclusione il solenne canto del Lodato sempre sia. Fattosi di poi un profondo silenzio, io poteva allora augurare buona sera e buona settimana. Tutti con quanto avevano di voce rispondevano: Buona sera. In quel momento io veniva deposto dal mio trono; ognuno andava alla propria famiglia, mentre alcuni dei più grandicelli mi accompagnavano fino a casa mezzo morto per la stanchezza».
Don Emilio Zeni
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